Il vetro è stato elemento fondamentale nel corso della storia dell’arte, ma anche della decorazione, di ogni secolo seppure utilizzato in particolar modo nelle vetrate artistiche e negli oggetti di arredo e per questo mai concepito per essere un’opera d’arte nel senso più classico del termine. Tuttavia ogni mezzo espressivo può subire trasformazioni inaspettate dal momento in cui un artista sceglie di creare qualcosa di nuovo laddove prima non c’era mai stato. Il protagonista di oggi, unico nel panorama internazionale, ha saputo dar vita a un nuovo e inedito linguaggio.
Le tecniche della lavorazione del vetro hanno avuto continue evoluzioni fino a permettere a questo affascinante materiale di essere protagonista di splendidi esempi di anfore, brocche ma anche vetrate artistiche grazie all’utilizzo di colori, smalti, che hanno visto il loro massimo splendore tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento con lo Stile Liberty, o Art Nouveau, che si è poi successivamente alla fine della Grande Guerra trasformato e spostato verso l’Art Deco, con linee più geometriche e rigorose avvicinandosi agli ideali del Cubismo. Eppure l’utilizzo del vetro non è mai stato pensato per essere parte integrante dell’atto pittorico, come se fosse esso stesso uno dei colori necessari per comporre l’immagine finale che esce dal supporto che l’artista sceglie per dare corpo all’emozione del momento. Nando Fara, vetraio da sempre e dunque abituato a gestire e plasmare questo materiale come se fosse creta, ha dato vita a un modo assolutamente inedito di inserire il vetro nelle sue opere pittoriche, quasi alla maniera dell’Action Painting di Pollock, lasciandolo cadere sulle tele, o sulle tavole, dove in precedenza dipinge l’immagine che desidera immortalare. Il suo stile si pone a metà tra l’Espressionismo Astratto e un personalissimo Simbolismo Materico, in cui l’astrazione si alterna alla figurazione, in cui lo sfondo scuro sembra essere un pretesto per svelare la luce che si concentra sulle immagini o i concetti principali. La discesa casuale dei piccoli frammenti di vetro, evidenzia i contorni e le linee precedentemente accennate e compone nuovi dettagli che catturano lo sguardo dell’osservatore.
Ma l’unicità di questo artista romano non si ferma all’uso del vetro perché compie la scelta di utilizzare il colore non colore per eccellenza, il nero, sfatando il luogo comune che vede quella tonalità come la negazione della luce dandogli invece vita, luminosità, movimento, sia per le sfumature che infonde ai suoi disegni attraverso un leggero tratto bianco, sia grazie a quei frammenti di vetro attraverso i quali evidenzia dettagli e particolari spargendoli sulla tela quando il colore è ancora fresco, pronto ad accogliere i piccolissimi tasselli che saranno destinati a rifrangere e amplificare la luce.
L’impulso creativo di Fara si sposta dallo scorcio urbano, come nelle opere Acquedotto romano, in cui l’astrazione prevale sulla figurazione pur infondendo al soggetto riprodotto un’aura di rassicurante familiarità, e La fontanella, più legata al Simbolismo, al senso di un luogo apparentemente poco importante eppure racchiuso nella memoria dell’artista, alla narrazione di oggetti quotidiani, come nel lavoro Pentola che bolle, passando per animali metaforici nell’immaginario comune – il Toro per la sua potenza, il Lupo per il suo senso di appartenenza ai propri simili, il Cavalluccio marino, quasi una figura mitologica per la rarità con cui viene avvistato – e tuttavia non è tanto l’immagine in sé il fondamento della sua carica espressiva bensì il concetto stesso del mescolarsi di materiali differenti che, insieme, riescono a dare vita a una sinergia forte, a un accordo corale che illumina il nero rendendolo protagonista assoluto al punto di far dimenticare l’importanza del colore.
Le scaglie di vetro riflettono la luce e modificano i dettagli in risalto in base al punto di osservazione, come in una danza in cui le ombre si inseguono e si muovono al passare dello sguardo del fruitore che resta affascinato e calamitato dalla materia lucida sulla base scura tanto quanto, a una seconda occhiata, viene invece incuriosito dalla figurazione che sembra nascondersi al di sotto della superficie, come se fosse solo comprimaria di un’immagine in cui ciò che prevale è il concetto, la struttura.
Nonostante il risultato finale Nando Fara, nell’atto creativo, si lascia in realtà trascinare dall’istinto, si mette al servizio dell’impulso che decide quali figure o scene riprodurre e poi lascia, ancora una volta, che le scaglie di vetro scelgano dove posizionarsi sull’opera; solo in un secondo momento solleva in verticale le opere per permettere al materiale riflettente di aggiustarsi sfaccettandosi maggiormente. Infine dona all’opera il tocco finale aggiungendo polvere e scaglie di ferro e di alluminio, infondendo alle sue tele quell’effetto brillante, quello scintillio che non può fare a meno di catturare l’attenzione. Nando Fara, che vive e opera a Roma da sempre, ha al suo attivo numerose mostre personali presso importanti gallerie cittadine dal 1985, e ha presto parte diverse collettive dei Cento Pittori di via Margutta, molte nello spazio espositivo Area Contesa, e a due edizioni di Exedrartexpo dove è stato insignito del Premio della Critica Mara Ferloni, nell’anno 2017. Un artista che ha saputo creare un nuovo e inedito modo di esprimere emozioni, sintetizzando stili e tecniche diverse che affascinano e conquistano chi osserva le sue opere.
NANDO FARA-CONTATTI
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