LONDRA – George Martin, il produttore discografico dei Beatles, è morto ieri a Londra. Aveva 90 anni. Oltre che con il quartetto di Liverpool, aveva lavorato con numerosi artisti come America e Ultravox. Nato a Londra il 3 gennaio 1926, George Martin giunse per caso alla produzione discografica, dopo aver studiato come oboista. A 22 anni accettò di lavorare per la EMI e fu in veste di assistente alla produzione che ascoltò il gruppetto di Liverpool presentatogli dal loro manager, Brian Epstein, nell’aprile del 1962.
“In quell’occasione”, aveva ricordato Martin in un’intervista al Times, “mi fu anche fatto ascoltare un orribile nastro delle loro musiche che era stato respinto dalla Decca. Ma quei quattro ragazzi allegri mi avevano colpito. Ne rimasi incantato. E volli ascoltarli io stesso. La registrazione avvenne in giugno nello studio n. 3 di Abbey Road”. Una dichiarazione decisamente diverse ha quanto scritto da Mark Lewisohn nella sua biografia dei Beatles, secondo cui Martin avrebbe offerto un contratto ai Beatles prima di averli ascoltati. “Questo”, smentì poi Martin, “non è vero”.
George Martin, l’uomo che li ha scoperti e lanciati e che nella storia della musica viene definito “il quinto Beatle”, ha continuato imperterrito a produrre musica. A tale scopo, alcuni anni fa, comprò un’antica chiesa vittoriana e l’ha trasformata nel più moderno studio discografico del mondo per installarvi la sua compagnia di registrazione “AIR”.
Decise di andare ufficialmente in pensione solo a 73 anni per problemi di udito. In quell’occasione decise di “uscire di scena” curando l’uscita di un ultimo album – “In my life” – dove ad eseguire alcuni tra i più grandi successi dei Beatles c’erano cantanti del calibro di Phil Collins e attori come Sean Connery, Robin Williams e Goldie Hawn. “Per il mio ultimo album volevo divertirmi e ci sono riuscito”, aveva affermato in quell’occasione. “Se poi vende tanto meglio”.
In questi anni Martin comunque è stato sempre vicino al mondo della musica. Con il figlio Giles nel 2006 ha curato l’album “Love”, contenete nuovi remissaggi dei brani dei Bealtes, oltre ad occuparsi attivamente dei problemi del mondo dell’industria discografica. Qualche anno fa accusò la discografia di essere troppo indulgente nei confronti degli stupefacenti e aveva invitato i professionisti del settore a boicottare gli artisti che fanno uso di droghe.
Parlando a Londra a un convegno di dirigenti di polizia, Martin aveva criticato i produttori musicali e di moda che “rendono attraente” l’uso delle droghe e sfruttano artisti dediti agli stupefacenti, anche quando sanno che il messaggio delle canzoni si sovrappone a quello dello stile di vita segnato appunto dalla droga. Martin aveva anche attaccato Noel Gallagher, leader degli Oasis, che diversi ani fa fece scalpore dichiarando che per molti giovani prendere droghe è “come bere una tazza di tè”.
Martin aveva affrontato questi temi anche sulla rivista dell’Associazione dei dirigenti di polizia in cui ricordava i Beatles e il suo ruolo morale da “professore” che disapprovava il loro uso di droga. Martin raccontava come una volta vide John Lennon prendere una pillola che credeva fosse contro il raffreddore ma che era invece Lsd. Ma soprattutto chiarì che la canzone “Lucy in the Sky with Diamonds” fu ispirata da un disegno di Julian, figlio di Lennon, e non da un viaggio sotto l’influenza dell’Lsd, come molti hanno speculato.