Sociale

Nel periodo di Coronavirus, i bambini oncologici continuano a lottare

La pandemia da Covid-19 riempie le pagine dei giornali e le notizie dei telegiornali di tutto il mondo da mesi ormai. Ed è normale che sia così. Arrivata all’improvviso, ha stravolto le nostre vite e i nostri programmi. Tutti ricordiamo “l’ultima cosa che abbiamo fatto prima che cominciasse la quarantena”, quel viaggio tanto sospirato e programmato con cura che abbiamo dovuto posticipare o addirittura annullare; come abbiamo perso il lavoro o, se siamo stati fortunati, ci hanno messo a lavorare da casa. E poi c’è la scuola; bambini e ragazzi costretti a studiare tramite un computer e genitori “impazziti” per capire come funziona la didattica a distanza. Per non parlare degli insegnanti. Che poi, diciamocelo, la didattica a distanza, anche nei casi in cui era ben fatta, non poteva sostituire la scuola. La scuola in sé, infatti, è un luogo in cui i bambini e i ragazzi si mettono in gioco e si relazionano con i loro pari e con il mondo degli adulti.

Per chi doveva uscire durante il lockdown c’erano le mascherine, i guanti, il gel igienizzante. E quando finalmente tutti abbiamo ricevuto il via libera – ma con ovvie precauzioni – le mascherine, i guanti e il gel igienizzante sono diventati parte della nostra vita quotidiana. Teniamo la mascherina in borsa o in auto, e magari ne abbiamo qualcuna di scorta nel caso dovessimo uscire senza ricordarci di prenderla. E poi c’è la distanza sociale. Niente aggregazioni, e in tanti abbiamo paura ad andare nei luoghi affollati. Molte persone ci vanno comunque; in spiagge dove gli ombrelloni sono l’uno vicino all’altro, in barba alla distanza da rispettare, o in feste e luoghi di ritrovo dove beviamo qualcosa insieme agli amici vecchi e nuovi.

Tutto ciò non è una novità nel mondo del cancro pediatrico. Una vita “normale” stravolta da una notizia (la diagnosi) improvvisa e allora ecco che il bambino o ragazzo deve lasciare la scuola e rimpiazzarla con quella in ospedale. Deve indossare la mascherina, perché le terapie abbassano le sue difese immunitarie e qualsiasi tipo di virus o infezione potrebbe rivelarsi pericoloso. Deve passare settimane solo in una stanza, con la compagnia di un unico genitore. Si annoia. Invidia gli amici che possono uscire tranquillamente, che non hanno paura. Non può più fare piani per il futuro, neanche per il giorno dopo, perché tutto dipende dai valori. Usa regolarmente l’amuchina. Deve rivalutare i propri sogni e aspirazioni per quel futuro che ora gli sembra irraggiungibile, perché è cresciuto, perché qualcosa è cambiato (es. un’amputazione) e certi sogni non sono più realizzabili. E nel frattempo deve sopportare terapie vecchie di decenni, pensate per gli adulti, che portano effetti collaterali sul momento e spesso anche una volta finite le terapie. I due terzi dei sopravvissuti al cancro infantile, infatti, ha effetti collaterali causati dalle terapie come problemi cognitivi, infertilità e tumori secondari. Le giornate sono scandite dagli esami medici, dalle terapie, dalle trasfusioni; a letto a guardare la tv, se è possibile uscire allora una passeggiata nel giardino dell’ospedale o magari vanno fino alla ludoteca dove ci sono i volontari che cercano di strappare un sorriso. E la mente è piena di problemi e domande a cui un bambino o ragazzo non dovrebbe mai pensare; come saranno i risultati del prossimo esame? Quando smetterò di vomitare? Quando ricomincerò a camminare? Morirò?

Il Covid-19 ha afferrato il mondo e lo ha stravolto. Ci ha ricordato con violenza che siamo soltanto granelli di sabbia, e basta un niente per stravolgere ogni nostra certezza. Ci ha ricordato anche, però, che ognuno di noi è un individuo a sé, forte e indispensabile. La nostra forza risiede in noi ma per essere divulgata agli altri. Aiutarci a vicenda e ascoltarci è l’unica soluzione. E se è logico che i grandi media diano spazio quasi esclusivamente al Covid-19, è anche doveroso pensare a tutte le persone che già prima combattevano una battaglia. Quella del cancro infantile è una pandemia, ed esiste da ben prima del Coronavirus.

Nonostante il cancro pediatrico sia considerato “raro” da governi e case farmaceutiche, ogni anno in Italia si ammalano circa 2.100 bambini e adolescenti e c’è da considerare che un piano terapeutico dura in media 2-3 anni. Dobbiamo quindi sommare questi 2.100 giovani alle migliaia già in cura.
Proprio perché il cancro infantile è considerato “raro” si preferisce investire su tumori che colpiscono un numero più elevato di persone, ovvero gli adulti, perché garantiscono un maggior ritorno economico. Questo si traduce in bambini e ragazzi trattati con terapie vecchie anche di 30 o 50 anni, pensate per gli adulti, che causano effetti collaterali anche a lungo termine e che in molti casi non riescono a salvare le loro vite.

Mentre i grandi mass media ci dicono a cosa pensare, ricordiamoci di scavare perché ci sono tante situazioni che avvengono di pari passo al Covid-19, ugualmente gravi e importanti, di cui però sentiamo parlare raramente per il semplice fatto che (sembra) non coinvolgono la massa.

Il cancro pediatrico è una di queste. É necessario lottare con queste famiglie per pretendere più supporto dallo Stato; nuove leggi per tutelare le famiglie colpite da cancro pediatrico; sviluppo urgente di nuovi farmaci a misura di bambino e adolescente; attenzione alle varie difficoltà dell’adolescente e del giovane adulto, dei sopravvissuti, delle famiglie in merito alla burocrazia (INPS), attenzione e lotta al fianco del popolo di Taranto dove tanti bambini e ragazzi si ammalano regolarmente e muoiono con il benestare dello Stato e molto altro. É normale e utile pensare al Covid-19, ma non limitiamoci a quello.

Articolo a cura di Maricla Pannocchia, fondatrice e Presidente dell’Associazione di volontariato Adolescenti e cancro.

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