Un lavoro discografico sorprendente che contamina il rock più classico con altri generi musicali
È uscito lo scorso 29 marzo per Music Force l’album “Solo un Sogno” di Vaniggio, alias Ivan Griggio. Dopo aver suonato in varie band rock, fra le quali i Versivari, storico gruppo del ticinese da lui fondato nel 1993, nel 2018 ha pubblicato a nome Vaniggio il singolo “A volte basta” ed ecco ora arrivare questo full length album che ne conferma il talento e la grande passione per la musica.
“Solo un sogno” è un disco ben fatto, sorprendente, dalle atmosfere crossover che portano l’ascoltatore a viaggiare da pezzi più tirati come appunto “A volte basta” o “Dai un nome alle cose”, “Favole” e la conclusiva “Stessi sbagli” ad altri più introspettivi quali la bellissima title track o “Mai come sembra”.
Il crossover è padrone assoluto della scena: Vaniggio, insieme alla sua straordinaria band, si mostra decisamente a suo agio nella contaminazione del rock con altri generi.
La sua voce graffiante e potente ricorda a tratti quella di Enrique Bunbury degli Héroes del Silencio ed è l’altro elemento di forza di un lavoro discografico che sicuramente non mancherà di far parlare di sé.
Questa la nostra intervista a Vaniggio.
Come è nato questo disco?
“Nasce per un bisogno mio personale. Ho fatto parte di varie formazioni musicali, quando si suona con altri, si registra e si cerca di fare un progetto insieme ci si ritrova a dare delle idee, a fare il “gregario”.
Ad un certo punto ho sentito l’esigenza di dire qualcosa di mio. Visto che il tempo passa, mi son detto che fosse giunta l’ora di incidere un mio disco. È tantissimo che suono, ma mi sono ritrovato a chiedermi cosa avessi inciso di realmente mio finora dunque mi sono messo in testa questo progetto.
Amo definire l’album “crossover” perché ogni canzone è un mondo a parte. Non mi ero prefisso nulla di preciso. Ho costruito lo studio nello scantinato sotto casa e da lì è partito tutto: ho imbracciato la chitarra e il basso iniziando ad incidere delle demo che ho poi presentato a Cristiano Arcioni, il mio produttore esecutivo che suona anche l’hammond nella mia band. A lui sono piaciute. Abbiamo messo insieme questa formazione e ne è venuto fuori ciò che volevo”.
Lo scorso anno è uscito il singolo “A volte basta”. Perché hai scelto questa canzone per aprire la strada a questo tuo lavoro discografico?
“Non è stata la prima canzone che ho scritto: è “Stessi sbagli” ad essere la “primogenita” che poi parla della voglia di smettere di farsi troppi problemi e prendere la propria vita affrontando le cose e farle.
“A volte basta” è stata scelta per il fatto che rispecchia il crossover in pieno: ha un ritornello quasi rappato e delle linee vocali e chitarre che diventano più cattive, un po’ alla Rammstein. Mi son detto che lanciarmi sul mercato doveva significare che la gente potesse capire subito ciò che sono e che voglio proporre”.
C’è un brano che, a tuo giudizio, rappresenta meglio l’album?
“C’è una scaletta anche in questo. Quello che più mi emoziona è “Mai come sembra” perché parla di una chiusura di un rapporto con una persona che fino a quel giorno a me era cara. Me l’ha combinata grossa il lunedì e io la sera stessa ho scritto il brano di getto.
Ci tengo a dire che tutte le canzoni che ho scritto mi rappresentano: dentro c’è la mia vita. Un’altra che sento molto mia è “Ogni vestito” che parla di una persona con la quale ho a che fare quasi giornalmente: è una maschera, uno dai voltafaccia facili, uno di quei tipi che dicono una cosa e ne fanno un’altra, parlano male a me di un altro o male di te agli altri. Fino al momento di conoscerla non avrei mai potuto immaginare nella mia ingenuità che esistessero elementi del genere. Questo tizio mi ha praticamente “svegliato” e lo ringrazio perché mi ha aperto gli occhi facendomi anche un po’ crescere”.
“Una carezza non vuol dire amore” spezza un po’ le atmosfere del disco …
“Per me è “crossover” anche questa in una maniera però più concettuale. I musicisti che collaborano con me sono prettamente blues, si sono ritrovati a suonare crossover senza averlo mai fatto.
Avevamo terminato il disco e il mio chitarrista, Roberto Invernizzi, ha iniziato a fare un giro di chitarra, l’ho sentito, ho aperto il telefono tirando fuori un testo che avevo e in mezzora era venuta fuori il brano.
È più crossover degli altri perché abbiamo mischiato il blues dei miei musicisti con il mio rock improvvisando”.
Il disco si chiude idealmente con “Favole” e “Stessi sbagli” che tornano ad avere le atmosfere tirate dei primi pezzi …
“Favole” è abbastanza allegorica nelle strofe, nel ritornello diventa più seria e severa. Non è nient’altro che un monito ai social network: al giorno d’oggi vengono presi con leggerezza e si scrivono appunto cose con una leggerezza inaudita. A me capita di scrivere dei post, sto per inviarli, ma a quel punto rileggo e non posto chiedendomi dunque perché volessi farlo. Ormai siamo troppo abituati a sparare a zero, a dettare sentenze e non va bene. “Stessi sbagli” è messa come ultimo pezzo nella tracklist, ma è la prima canzone dell’album ad essere nata: mi ero trovato per timidezza a non prendere in mano la mia vita musicale, a mettere sempre avanti qualcun altro. È stato un monito a me stesso: prendere in mano la mia vita.
Io non scimmiotto nessuno, sto cercando di far passare i miei pensieri”.
Hai una band che suona alla grande in questo disco …
“Ho trovato dei compagni di viaggio eccezionali: pur facendo blues non si sono impuntati a far quello , ma hanno messo il loro feeling blues caldo al servizio delle mie canzoni. Ho detto però loro di tirar fuori il lato più aggressivo della musica e ci siamo riusciti. Siamo degli amiconi. Nei live il chitarrista che ha suonato nel cd non c’è : nel disco ho suonato io il basso, vista la mia formazione come bassista, e ovviamente ho cantato, però nel live imbraccio la chitarra elettrica e l’acustica per sostenere Roberto Invernizzi”.
Il disco ha un piglio molto live: dove suonerai? Avremo occasioni per vederti in concerto anche in Italia?
“L’idea è di portare in tour queste canzoni: ho fatto questo disco proprio per suonare molto live. Sto cercando delle situazioni in Svizzera, il singolo è iniziato a girare. Spero che si riesca a piazzarlo anche in Italia. Non è facile trovare agenzie che investano su un artista come me abbastanza sconosciuto ora. Devo ancora dimostrare e far capire alla gente che esisto. Spero di trovare qualcuno disposto ad aiutarmi per trovare concerti da fare”.
Music Force ha creduto fermamente nel tuo disco puntandoci molto ….
“Music Force mi ha appoggiato in questo progetto discografico: Alessandro Carletti Orsini mi segue da parecchio tempo, ci siamo sempre inseguiti. Quando ho iniziato a fargli sentire le demo di questo mio lavoro lui ci si è buttato a capofitto. Per me ora Music Force è diventata una famiglia. Sono molto felice di averli incontrati e so che faremo grandi cose”.
Un’ultima curiosità: perché questo nome Vaniggio?
“Io suonavo con il gruppo Versivari qui in Svizzera. Il mio chitarrista, Maurice Carallo, mi chiamava Vaniggio. Questo soprannome viene dalla mia infanzia. Avevo perso di vista Maurice e un giorno l’ho ritrovato su facebook, ci siamo scritto e subito mi ha detto “ciao Vaniggio!”. Ero alla ricerca di un nome artistico e la scelta è caduta dunque spontaneamente su Vaniggio”.