SERGIO MATTARELLA: ALLA SCOPERTA DEL DODICESIMO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Eletto sabato scorso con 665, si prepara a guidare l'Italia per i prossimi sette anni
ROMA - Sergio Mattarella è il 12esimo presidente della Repubblica italiana: sono stati 665 i voti raccolti al quarto scrutinio. Nonostante fossero sufficienti 505 voti, sul suo nome c'è stata un'ampia convergenza e si è arrivati molto vicini al quorum dei due terzi che la Costituzione richiede per le prime tre votazioni. Un'occasione sprecata dalle forze politiche che, visti i numeri in campo, avrebbero potuto dare un segnale di unità al Paese eleggendolo già in prima battuta. Le cose sono andate però diversamente e il modo con cui si è arrivati alla scelta del nuovo inquilino del Quirinale lascerà degli strascichi, sia nei rapporti tra gli alleati di governo sia all'interno di alcuni partiti, Ncd e Forza Italia in primis. A contribuire a quello che oggi appare come un trionfo di Mattarella sono stati anche i voti di 37 franchi tiratori
Lui, il neo presidente, si è limitato ad una breve dichiarazione dopo la proclamazione dei risultati: «Il pensiero - ha detto Mattarella - va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo». Come primo atto altamente simbolico si è poi recato a rendere omaggio alle Fosse Ardeatine, teatro dell'eccidio nazista del marzo 1944, luogo simbolo dell'antifascismo italiano. «L'alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l'odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso - ha commentato il neo presidente - . La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore».
L'Italia ha dunque un nuovo capo dello Stato e presto lo stendardo presidenziale tornerà a sventolare sul torrino, assieme al tricolore e alla bandiera europea: il giuramento nell'aula di Montecitorio è fissato per martedì alle 10. Mattarella sale al Colle portando con sè una lunga esperienza istituzionale: è stato parlamentare, più volte ministro e, carica che ha avuto fino ad oggi, anche giudice della Corte Costituzionale per nomina parlamentare avvenuta nel 2011. Immediato l'augurio di buon lavoro inviato via Twitter dal premier Matteo Renzi, l'artefice dell'operazione Mattarella: «Buon lavoro, Presidente Mattarella! Viva l'Italia». Molti altri esponenti di governo hanno fatto altrettanto, senza aspettare l'esito definitivo dello spoglio. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, attuale capo dello Stato reggente, si è invece affidato a Facebook: «Una grandissima gioia e il piccolo rammarico di non aver potuto aggiungere il mio voto alle 665 schede sulle quali è stato scritto il suo nome». E felicitazioni sono arrivate anche da Papa Francesco e da diversi leader internazionali, da Barack Obama a François Hollande. Renzi è poi tornato a commentare l'elezione di Mattarella in serata, intervistato dal Tg1: «Non abbiamo eletto un nostro supporter, un nostro tifoso. Abbiamo eletto l'arbitro per questa grande storia che è la storia italiana».
A favore di Mattarella si sono schierati il Pd, Scelta Civica, Sel, il gruppo di Socialisti e Autonomie e, dopo le ultime tormentate 48 ore in cui sembrava plausibile uno strappo nell'alleanza di governo, il blocco di Alleanza Popolare (Ncd-Udc). Forza Italia era invece rimasta sulle proprie posizioni, chiamandosi fuori e optando per la scheda bianca. Nessuno spostamento rispetto ai primi tre voti da parte degli altri partiti: Lega Nord e Fratelli d'Italia hanno sostenuto Vittorio Feltri (46 voti), il M5S Imposimato (127), mentre i fuoriusciti grillini si sono divisi: alcuni hanno deciso di votare a favore di Mattarella, altri sono rimasti fermi sul nome di Stefano Rodotà (17 voti), già votato nei precedenti scrutini. Ma i Cinque Stelle hanno comunque fatto le proprie congratulazioni a Mattarella a fine giornata: «Buon lavoro al nuovo Capo dello Stato,serve qualcuno che prenda il timone,tenga la schiena dritta di fronte alle numerose porcate che questo Governo si appresta a compiere e che sia realmente difensore della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale». Ora lo «attendiamo al varco».
Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano era tornato in mattinata ad esternare la sua stima per il suo successore in pectore: «Conosco Sergio Mattarella sul piano dell'assoluta lealtà, correttezza, sensibilità, competenza istituzionale e certamente dell'imparzialità. Tutte caratteristiche importantissime per disegnare la figura del Capo dello Stato». Alla domanda se sia stato lui a convincere Alfano a non consumare uno strappo, ha spiegato Aldo Cazzullo nella sua diretta sms, Napolitano ha glissato ma non troppo: «Abbiamo avuto una conversazione. Un presidente è per sette anni, la sua elezione non deve risentire delle contingenze».
Venerdì a tarda sera - secondo quanto fatto trapelare da fonti del governo - era stata in realtà una telefonata «molto cordiale» tra Renzi e Alfano a «ricostruire un clima sereno per consentire quella convergenza sul nome di Sergio Mattarella che il premier aveva auspicato». L'obiettivo è stato raggiunto, ma quanto successo negli ultimi giorni è destinato a lasciare un segno nei rapporti tra gli alleati di governo e anche all'interno di alcuni di essi. Mentre Angelino Alfano ostenta fierezza («Renzi ha capito che non guida un monocolore Pd, la posizione di Ap non va mai data per scontata») e cerca di rassicurare Silvio Berlusconi («La nostra decisione non ha sfasciato l’asse con Forza Italia, il legame che si è in qualche modo ricostruito non intendiamo interromperlo») all’interno del suo raggruppamento si registrano forti malumori: Maurizio Sacconi ha annunciato le proprie «dimissioni irrevocabili» da capogruppo del Nuovo Centrodestra in Senato e anche Barbara Saltamartini lascia l'incarico di portavoce. Mentre Gaetano Quagliariello, coordinatore Ncd, si difende: «Il plauso interiore conta più degli applausi ma comunque ho partecipato anche a questi. Inquadrato in un momento in cui non applaudivo. Solo un caso».In casa di Forza Italia c'è invece aria di battaglia: Raffaele Fitto e i suoi fedelissimi imputano la debacle quirinalizia allo stato maggiore del partito e da tre giorni chiedono l'azzeramento dei vertici. La vecchia CdL vincente tutta stretta attorno Berlusconi (altri tempi: l'alleanza era con Fini, Bossi e Casini) è solo uno sbiadito ricordo. Sintetizza la situazione la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, in un tweet: «Il centrodestra è morto. In queste ore se ne celebra il funerale. Noi impegnati a ricostruire un'alternativa credibile all'onnivoro Renzi».
Nato a Palermo il 23 luglio 1941, figlio del più volte ministro dc Bernardo e fratello minore di Piersanti, ucciso dalla mafia nel 1980 quando era presidente della Regione Sicilia, Sergio Mattarella è spesso descritto come un uomo «tutto casa e lavoro». Studi al San Leone Magno prima e poi al Gonzaga di Palermo - istituti dei gesuiti - è laureato in Giurisprudenza. Vedovo dal 2012, cattolico praticante, ha tre figli: Bernardo, Laura e Francesco. Chi lo conosce dice che sia una persona mite, ma capace di essere determinato. «Una sorta di monaco laico», secondo qualcuno. La sua riservatezza è già diventata proverbiale: negli ultimi sette anni, ha rilasciato una sola dichiarazione.
Il crocevia nella vita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è di quelli che negli anni verranno enfaticamente definiti i «Kennedy di Palermo» sta tutto in questo scatto in bianco e nero che risale al giorno dell’Epifania del 1980. Intorno all’ora di pranzo un killer solitario punta la pistola contro il finestrino dell’auto sulla quale viaggia l’allora presidente della Regione Siciliana e tronca la vita e l’avventura politica di uno dei personaggi più promettenti sulla scena siciliana ed italiana. Non si chiama Sergio ma Piersanti Mattarella
Era infatti Piersanti il figlio chiamato a raccogliere l’eredità politica del padre Bernardo Mattarella, più volte ministro nei governi De Gasperi e Leone. Un personaggio controverso il padre del presidente della Repubblica. Il pentito Gaspare Pisciotta, ex braccio destro di Salvatore Giuliano, lo chiamò in causa al processo di Viterbo per un suo presunto coinvolgimento nella strage di Portella della Ginestra. Accuse rivelatesi totalmente infondate, come quelle lanciate dal sociologo Danilo Dolci che per le sue affermazioni venne anche processato e condannato per diffamazione.
Sicuramente quelle ombre sui Mattarella vennero definitivamente spazzate via da quegli 8 colpi di pistola sparati dal killer solitario che fece fuoco nell’Epifania del 1980 uccidendo il giovane presidente della Regione Siciliana. Tra i primi ad accorrere sul luogo del delitto in Viale Libertà Sergio Mattarella che idealmente, proprio quel giorno, raccoglie il testimone del fratello. C’è lui accanto all’auto crivellata dai colpi di pistola. È lui a tirarlo fuori dall’abitacolo ancora agonizzante. Lo tiene in braccio, gli regge la testa, si aggrappa al suo ultimo brandello di vita e versa le prime lacrime quando cessa definitivamente di respirare. Quel giorno Sergio Mattarella si lascia definitivamente alle spalle la tranquilla vita di docente di diritto per lanciarsi nella politica attiva.
Il movente del delitto non è stato mai del tutto individuato con chiarezza, ma sicuramente è legato alla forte azione di rinnovamento avviata da presidente della Regione Siciliana. Piersanti Mattarella viene eletto alla guida del governo siciliano nel 1978, forte di una maggioranza di centro-sinistra con l’appoggio esterno del Partito Comunista. Cresciuto seguendo gli insegnamenti del cattolicesimo democratico si ispira all’esempio di Giorgio La Pira. Sicuramente negli anni in cui più incisiva diventa la sua azione di disboscamento della politica e della burocrazia regionale è vicino alla corrente di Aldo Moro. Dall’altra parte c’è un arrogante Vito Ciancimino, figlio di un barbiere di Corleone sbarcato a Palermo per dettare legge forte dei legami con i “viddani” del suo paese d’origine e della tutela romana di Giulio Andreotti.
(di Davide Luciani - del 2015-02-02)
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