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Fabio Fognini

FOGNINI E … LA RESA DOPO L’IMPRESA!

Dopo la “vittoria perfetta” con Nadal il tennista italiano si arrende a Feliciano Lopez. Cosa è cambiato?

L’impresa di Fabio Fognini contro Rafa Nadal ci aveva illusi. Ma probabilmente non aveva illuso proprio lui che si era affrettato a dichiarare: “quest’anno ho battuto già due volte Nadal a un torneo slam, ma ho perso sempre la partita successiva”. E così è successo.

Ma…che cosa è successo? Cosa è cambiato tra i due incontri?

Sul piano tecnico e tattico non mi addentro, poiché non è il mio territorio. Su quello mentale si può provare a ragionare. Nell’incontro con Nadal tutto è girato bene perché probabilmente Fabio sentiva che stava andando bene. Si era instaurato un circolo virtuoso tra l’azione sul campo (gli scambi, le sensazioni, il punteggio) e la convinzione di potercela fare. Più giocava, più Fabio si sentiva sicuro; e più si sentiva sicuro, più era portato a giocare bene. In questo modo ha potuto ribaltare lo svantaggio iniziale e vincere. Ma come si è creato questo link tra sensazioni, prestazioni e convinzione di farcela?

Albert Bandura ha approfondito il costrutto dell’autoefficacia, ovvero la sensazione che abbiamo, prima di iniziare un compito o mentre lo stiamo svolgendo, di poter riuscire a raggiungere un determinato risultato. Se l’autoefficacia è alta, l’atleta sente di poter scalare la montagna, valicare l’asticella o vincere la partita; se l’autoefficacia è bassa, l’atleta pensa di non potercela fare.

Secondo Bandura il livello di autoefficacia è influenzato dall’ambiente (cambia ovviamente a seconda dell’obiettivo che ci poniamo, ma anche delle esperienze che facciamo e delle informazioni che di volta in volta prendiamo dall’ambiente) e da noi stessi (le sensazioni che abbiamo, i pensieri e le previsioni che facciamo in merito).

In particolare ci sono quattro elementi che, interagendo tra loro, definiscono il nostro livello di autoefficacia:

I segnali che ci dà il nostro corpo.

A proposito delle sensazioni nel match con Nadal, Fognini ha affermato di “essere arrivato riposato”, di aver “sentito subito la palla molto bene”. Con Lopez si è invece sentito “affaticato, scarico dopo il match precedente”.

La consapevolezza di aver già compiuto questa impresa.

Con Nadal, Fabio attinge alla sua esperienza positiva e trae i giusti insegnamenti: “L’avevo già battuto, sapevo che avevo le armi per ripetermi. Avevo chiaro in mente come fare”. Con Lopez manca questo riferimento, anzi Fabio lo definisce “uno che fa giocare male gli avversari, con quel servizio- fra i migliori del circuito - e quello stile che ti toglie il ritmo.” E conclude, in vista del match: “Non è bello giocarci contro, ci proviamo”. Non esattamente il massimo dell’entusiasmo.

L’apprendimento vicario, ovvero osservare altre persone raggiungere quell’obiettivo e pensare di poterci riuscire anche noi.

Qui il dato interessante è la cosiddetta “maledizione di Nadal” che Fabio declina su di sé “tutte le volte che l’ho battuto in un torneo ho perso subito dopo, mi tocco…”, ma che sembra imporsi anche sugli altri: “dal 2012 ad oggi chiunque abbia battuto Nadal prima della finale non è riuscito a vincere quello stesso torneo”. Questo pronostico sfavorevole è stato poi confermato dai fatti. E i prossimi tennisti che batteranno Nadal si troveranno a fare i conti con una “maledizione” ancora più accreditata!

L’incoraggiamento e il sostegno da parte di una fonte autorevole e credibile.

Questo elemento ci manca, non sappiamo chi o come abbia parlato con Fabio, ma registriamo che il gioco del tennis non consente ampi momenti di confronto tra l’atleta e il suo staff tecnico e quindi il giocatore è probabilmente più orientato ad ascoltare sé, (sensazioni, pensieri, controllo emozionale) che altri, durante la partita. E se le sensazioni non sono quelle giuste, la fiducia di potercela fare vacilla e ci si sente incapaci di reagire in maniera adeguata allora è facile che la frittata sia fatta.

Come si dice: quel che è stato è stato…, ma cosa avrà imparato Fabio (in termini di autoefficacia) da questa esperienza? Avrà qualche risorsa in più da giocarsi la prossima volta che un match non andrà per il verso giusto o sarà ancora più appesantito da quest’ultima esperienza?

Personalmente ho apprezzato la sua tendenza, nel commento a entrambi i match, ad attribuire a sé meriti e demeriti, felicitandosi con sé stesso per le prestazioni positive e rimproverandosi per le occasioni perse. Questa “centratura su di sé” consente al giocatore di assumersi la responsabilità delle proprie prestazioni e attribuisce a sé la possibilità di fare le cose bene o male. Ovviamente la realtà è che la partita viene giocata in due, ma questo atteggiamento, se sostenuto da un’adeguata motivazione, è la base di partenza più funzionale per impegnarsi a migliorare.

Foto di Fabio Fognini - fonte pagina officiale Facebook
(di Andrea Fini - del 2015-09-18) articolo visto 2137 volte

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