LA MEDIAZIONE INTERCULTURALE IN CARCERE
Difficoltà di comunicazione per mancanza di adeguate conoscenze sull'immigrato e ruolo della mediazione interculturale che in queste situazioni ha più vincoli
L’emarginazione causata dalla detenzione viene vissuta dalla popolazione detenuta in modi differenti rispetto a differenti fattori: nazionalità, religione, classe sociale.
Per un immigrato l’essere detenuto comporta generalmente una condizione di grave svantaggio ed esclusione sociale e culturale, perché in un certo senso la condizione carceraria subisce un processo di etnicizzazione. Il problema della nostra società organizzata sui processi di atomizzazione, di separazione e di diseguaglianze finisce per etnicizzare le contraddizioni sociali e per rendere di difficile gestione la comunicazione sociale sia negli spazi urbani dove spesso l'immigrato o l'immigrata vivono una situazione di solitudine, di non contatto con il resto della società e di ripiegamento su stessi, sia negli spazi chiusi e totali, come quelli di una casa circondariale, dove la solitudine e l’isolamento rischiano di raggiungere livelli insopportabili anche per la difficoltà del comprendere; e non è solo una questione di lingua.
La situazione di detenzione degli immigrati spesso è caratterizzata dalle condizioni di seguito elencate:
- molti immigrati non capiscono perché sono stati condannati
- la grande maggioranza degli immigrati hanno le famiglie all'estero: non fanno quindi colloqui e non hanno sempre la possibilità di telefonare ai familiari
- gli immigrati non hanno generalmente una rete di riferimento in grado di favorire il reinserimento all'uscita
- l'unica rete di riferimento fuori è spesso soltanto quella della microcriminalità
- esiste una seria difficoltà per gli immigrati di avere accesso alle misure alternative e ai diritti previsti dalla legge
Questa condizione, talvolta esplicitata o almeno esplicitabile, spesso rimane invece implicita e prigioniera essa stessa di una impossibilità di trovare parole per essere detta e raccontata dagli stessi immigrati detenuti. Tutto ciò può portare anche alla creazione di un clima di tensione tra detenuti immigrati e detenuti italiani, e tra detenuti e personale penitenziario.
La sostanziale difficoltà del comprendere le culture di provenienza degli immigrati, lingua, codici culturali, dinamica interna alle comunità etniche, nonché l’ ambivalenza e la molteplicità interpretativa delle normative, sono spesso alla base di un amplificarsi della condizione di disagio e isolamento dei detenuti stranieri; tale situazione può solo generare ulteriore isolamento e aumento della violenza.
Di conseguenza è assai probabile che anche gli operatori del carcere (in particolare la polizia penitenziaria) vivano tensioni, frustrazioni e disagio nell'applicare delle normative che i detenuti stranieri non comprendono. L’opportunità di costruire le condizioni per un effettivo lavoro di rete tra operatori del carcere e operatori del privato sociale può significare un lento ma importante miglioramento della qualità per tutti dello spazio carcere.
La mediazione culturale deve fare i conti con i vincoli e la rete di relazioni di tutti gli attori presenti nel carcere (basta pensare ai rapporti tra detenuti italiani e detenuti immigrati, tra questi e gli agenti di polizia penitenziaria).
Alla vicinanza fisica per tutti e per i detenuti stranieri in particolare corrisponde spessissimo una distanza emotiva e mentale.
L'approccio metodologico della mediazione interculturale è basato sull'ascolto, l'accoglienza, la comprensione empatica, l'accettazione della legittimità del punto di vista dell'Altro, la negoziazione permanente e quindi la costruzione continua della comunicazione sociale ed intersoggetiva. La gestione dei rapporti, l'azione di contenimento, la traduzione operativa dei regolamenti, la gestione delle dinamiche tra gruppi di detenuti, la costruzione di un sistema di relazioni tra operatori capaci di produrre effetti positivi nella comunicazione costituiscono l’ambito in cui si deve collocare il ruolo e la funzione della presenza dei mediatori culturali e di operatori volontari esperti nell’ambito migratorio.
Ovviamente è di fondamentale importanza la collaborazione con gli altri operatori penitenziari nell’ottica del lavoro di equipe per sfruttare al meglio il potenziale dato dall’incontro di più saperi professionali, evitando cosi inutili sovrapposizioni e sprechi di energie. (di Barbara Angelucci - del 2010-02-07)
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