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ENNIO FLAIANO: L'UOMO DALLE TANTE ANIME

Scrittore, umorista, autore teatrale. 100 anni fa nasceva uno dei più poliedrici letterati del nostro tempo

In un articolo pubblicato da Panorama nell'agosto del 1963, ovvero 9 anni prima che Ennio Flaiano morisse a Roma colpito da un infarto, si leggeva: “Scrittore acuto un po' pigro, Flaiano è lo sceneggiatore della Dolce vita e dei più clamorosi film di Fellini. Le sue battute ravvivano le spente notti dei caffè romani. Con il romanzo Tempo di uccidere ha vinto il primo premio Strega (nel 1947, Ndr.)”.
Eppure, nonostante fosse considerato in vita uno dei più grandi intellettuali italiani del secolo scorso, col tempo si è andata via via perdendo purtroppo la sua memoria. Magari è come scrisse lui stesso in uno dei suoi tanti celebri aforismi: “Quando un autore muore, i suoi libri e sua moglie non interessano più, per un po' di tempo”. Tanto che oggi, a 50 anni dalla sua morte, le sue opere stanno ricominciando ad appassionare molti lettori.
CHI ERA FLAIANO? - Nato a Pescara nel 1910, fu anche giornalista: scrisse infatti per Oggi, Il Mondo, il Corriere della Sera e altre numerose testate, specializzandosi negli elzeviri. Tratto distintivo del suo stile raffinato fu un'ironia graffiante, a tratti malinconica se non addirittura tragica, ma sempre profonda e attuale. Abilissimo nel ritrarre gli aspetti più paradossali e grotteschi della realtà contemporanea, Flaiano fu senza dubbio uno dei più lucidi e originali testimoni del costume italiano e troppo spesso considerato erroneamente un semplice scrittore umorista.
Un puro talento incompreso, se si pensa che dietro ogni sua scelta si celava sempre qualcos'altro. Prendiamo ad esempio la sua attività di critico cinematografico: se è vero che fu dettata dalla sua passione per il cinema, a cui attribuiva una “particolare facilità comunicativa”, è anche vero che fu il pretesto per “occuparsi di altro”. Siamo negli anni della dittatura fascista e il critico cinematografico, così come lo intende Flaiano “era uno che non capiva niente di cinema ma andava al cinema e faceva il pezzo sul cinema parlando d'altro. Era l'unico modo per protestare contro il fascismo”.
Ma l'autore abruzzese non può certo essere definito uno scrittore di sinistra. Prende infatti apertamente le distanze anche dall'antifascismo e in particolare da quelle correnti rivoluzionarie comuniste che andavano diffondendosi a guerra conclusa. “Ognuno – disse una volta – vuole la sua versione della libertà, che consiste nel sopprimere quella dell'altro”. Fascismo e antifascismo erano insomma per Flaiano due facce della stessa medaglia. Alla fine del 1946 avviene l'incontro con l'editore Leo Longanesi, che gli propone subito di scrivere un romanzo. Nasce così Tempo di uccidere, prima e unica opera narrativa di Flaiano, scritta in pochi mesi, perché “pensare di deludere Longanesi era insopportabile”. Non mancano nemmeno qui le atmosfere surreali attraverso le quali racconta la propria esperienza nella guerra d'Africa come sottotenente dell'esercito italiano. Anche se, scorrendo le pagine, l'evento bellico è soltanto lo spunto di partenza che fa da sfondo alla drammatica storia del protagonista. La guerra, per quanto tragica e reale, passa infatti in secondo piano rispetto alla sua vicenda intima e personale.
È lo stesso Flaiano a descrivere gli intenti del libro: “L'esperienza ci porta a scoprire quello che siamo noi veramente. Io credo che questo non sia soltanto drammatico, ma addirittura tragico. E conoscere se stessi è più importante che conoscere la realtà: l'uomo prevale sul contesto, senza strumentali insegnamenti moralistici e finalità propagandistiche”. Il romanzo rispose perfettamente alle aspettative di Longanesi e secondo la critica e storica della letteratura Lucilla Sergiacomo “la candidatura e la vittoria del premio Strega fu una mossa dell'editore per battere la produzione narrativa neorealista di sinistra, che faceva capo in quell'immediato dopoguerra a Moravia” e Flaiano finì con l'essere definito e ritenuto il candidato dell'intellighenzia liberale e della destra artistica e letteraria.
PREZIOSO IL SUO CONTRIBUTO PER IL TEATRO - Anche se rimane il giornalismo la sua attività principale, non bisogna dimenticare il grande contributo che diede anche al teatro. Anche lì ritroviamo dialoghi intrisi di battute e di nonsense che celano in realtà acute osservazioni sulle paure e le angosce di un'intera società. In Chi mi ama mi preceda, un dittico di atti unici, La donna nell'armadio e Il caso Papaleo, mette in risalto attraverso un'ironia graffiante intensi e straordinari spunti di riflessione nei riguardi persino della morte (vera ossessione per Flaiano). La leggerezza della trama è quindi solo apparente, una farsa dal retrogusto amaro. Come non parlare, poi, del Flaiano sceneggiatore.
Attraverso un occhio moralistico ma sempre venato di sarcasmo, ricostruì la situazione cinematografica e culturale “dell'Italia del Benessere”, quella degli anni '50 e '60. Ha sceneggiato film che hanno fatto la storia del cinema italiano e fondamentale in questo fu il suo rapporto, spesso contrastato, con il grande Federico Fellini. In pellicole come I vitelloni, La strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti, è impossibile non ravvisare la sua impronta, nonostante il regista di Rimini ne abbia più volte sminuito il suo contributo. E che siano aforismi, pièce teatrali, articoli per giornali o soggetti cinematografici poco importa: ritroviamo, come un leit motiv che ne svela la sua vera essenza, la stessa cura per i particolari, la stessa dote di far divertire e contemporaneamente riflettere, lo stesso anticonformismo a tratti cinico che ne fecero un intellettuale individualista, laico e politicamente non schierato, ma soprattutto un letterato estremamente attuale, in grado come pochi di far venire a galla i vizi, le contraddizioni e i malcostumi di un'Italia rimasta sempre la stessa nonostante il passare degli anni.
Uno scrittore dall'intuito profetico, come lo definisce la Sergiacomo: “Nell'inverno del Settanta, molto tempo prima che nascessero le TV commerciali, scrive «Fra 30 anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione» non è forse un profeta?”. L'italiano medio ritratto ieri da Flaiano è lo stesso di oggi: “I secoli – scriveva – hanno lavorato per produrre questo individuo di stanche ambizioni, furbo e volubile, moralista e buon conoscitore del codice, amante dell'ordine e indisciplinato, gendarme e ladro secondo i casi.
Nazionalista convinto, vi dice come si doveva vincere l'ultima guerra e a chi si potrebbe dichiarare la prossima. Evade il fisco ma nei cortei patriottici è quello che fiancheggia la bandiera e intima ai passanti: «Giù il cappello!»”.
(di Matilde Geraci - del 2010-02-18) articolo visto 8978 volte
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