“COSÌ IN TERRA, COME IN CIELO”: L'AMORE DI DON ANDREA GALLO PER GLI EMARGINATI
Nuovo libro per raccontare la sua vita passata in mezzo a gente spesso emarginata dalla società
Fresco di stampa il nuovo libro di Don Andrea Gallo, “Così in terra, come in cielo”, a cura di Simona Orlando (Mondadori, 135 pagine): il lucido racconto del più famoso prete “da marciapiede” italiano che da ormai mezzo secolo lavora con e per gli ultimi, per comprendere fino in fondo e vivere la realtà della strada e tutte le difficoltà e i pericoli che questa comporta.
Da oltre trent'anni ha fondato la “Comunità di San Benedetto al Porto di Genova” che è un centro di accoglienza per chi vuole ricominciare da zero la propria esistenza. Prostitute, tossici, ex detenuti, emarginati d'ogni razza e religione.
Ed è proprio da qui che parte il saggio, dal contatto con i più sfortunati, senza alcuna differenza e distinzione, e dal desiderio di lanciare un messaggio ben preciso, se non altro una speranza: quella cioè che la terra possa diventare cielo.
Il sacerdote riprende i suoi racconti di vita vissuta già raccolti nel precedente “Angelicamente anarchico”. Attraverso le storie e gli incontri che scandiscono le sue giornate, Don Gallo prende posizione praticamente su tutto: dalla liberalizzazione delle droghe all'accoglienza ai clandestini, dalle ipocrisie dei politici allo stato di abbandono in cui versano i casi psichiatrici, dalla questione del testamento biologico dopo l'incontro con Peppino Englaro alla firma del rogito per acquistare un terreno a Vicenza ed evitare l'ampliamento della base americana, passando persino al finanziamento del calendario delle transessuali di Genova e alle loro piccole grandi vicende uguali e diverse a quelle di tanti altri emarginati che transitano nella sua canonica.
Sono storie spesso a lieto fine, ma comunque tragiche. Posizioni che, è ben noto, non coincidono esattamente con il punto di vista ufficiale della Chiesa, e per questo lo hanno fatto diventare un personaggio scomodo e controverso, spesso al centro di feroci polemiche.
Le accuse più comuni sono: esibizionista, presenzialista e socialista. Lui stesso, che invece si dichiara anarchico, cita sovente una frase del vescovo delle favelas, Hélder Câmara: “Quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”.
Ma al di là delle parole, sono i fatti che contano. E negare il suo operato e il suo impegno a fianco di ogni essere umano rifiutato e respinto, è impossibile.
Nato a Genova nel 1928, Don Andrea Gallo inizia il noviziato salesiano nel 1948 a Varazze, proseguendo poi a Roma il liceo e gli studi filosofici. Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene mandato in Brasile a San Paulo, ritornando in Italia l'anno dopo. Viene ordinato sacerdote nel 1959. Nel 1964 decide di lasciare la congregazione salesiana chiedendo di entrare nella diocesi genovese. Nell'estate del 1970 cominciano i problemi con la curia, che decide poi di rimuoverlo definitivamente dall'incarico.
Persino nella quarta di copertina del libro scritto interamente di suo pugno, per evitare qualsiasi tipo di equivoco, precisa: “È vero, esiste un profondo dissenso fra me e la curia, ma un dissenso di amore e di profonda, convinta ricerca della verità. La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino”.
Lui, infatti, nonostante tutto sembra non abbattersi mai. Anzi, ha continuato il suo coraggioso viaggio in mezzo agli umili, con la stessa ostinazione con cui ubbidisce alla Chiesa Romana.
“Bisogna distinguere tra obbedienza, acquiescenza e servilismo: e questo principio deve valere in ogni campo e nei confronti di qualsiasi autorità. La Chiesa, lo Stato, il posto di lavoro. Il rispetto della libertà delle coscienze è un messaggio universale che non può trovare ostacoli, così come la dignità personale che nessun potere deve poter annientare”.
E nel raccogliere le storie di bassifondi e vicoli che non si discostano poi tanto da quelle delle Sacre Scritture, cerca quotidianamente l'efficacia storica del messaggio evangelico.
Lo sradicamento che incontra ogni giorno è infatti la radice del suo apostolato. Mette corpo e anima nelle realtà più dolorose e che la società preferirebbe di gran lunga fossero invisibili, lavora senza mai risparmiarsi e per questo, seppur discusso, è amatissimo dalla gente.
Don Gallo, infatti, sa bene di avere e di aver avuto intorno a sé, oltre ai suoi amici diseredati, anche certe belle persone: Moni Ovadia, Fernanda Pivano, Paolo Rossi, Vasco, Piero Pelù, i Subsonica, Simone Cristicchi, Fabrizio De Andrè (di cui fu uno dei più cari amici) e molti altri ancora. Tutti vicini ai giovani, tutti dalla parte di chi non ha il potere. Tutti che “osano la speranza”, il motto che il “prete prete” ha appreso dalla vita e dalla tenacia con cui ha saputo sempre essere “angelicamente anarchico”. E conversando proprio con De Andrè, ricorda: “Eravamo concordi sul fatto che l'emarginazione può essere stato di grazia, perché sottrae al potere, quindi al fango, e ti avvicina al punto di Dio. Quelle vite perdute sono anime salve”.
(di Matilde Geraci - del 2010-04-02)
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