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DALL’ITALIA ALLA LUNA. VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI FEDERICO FELLINI

“La dolce vita di Fellini è troppo importante perché se ne possa parlare come si fa di solito di un film”. Così Pier Paolo Pasolini: parafrasando la sua espressione, potremmo dire che Federico Fellini è stato ed è troppo importante perché se ne possa parlare come si fa di solito di un regista.
Autore, personaggio, mente e cuore dei suoi stessi film, artista e maestro a tutto tondo della settima arte, Fellini ha segnato profondamente la storia del cinema italiano, al punto che, come si fa per i grandi eventi e personaggi che hanno rappresentato uno spartiacque nella storia, si può individuare nel nostro cinema un pre ed un post Fellini. Per questo anche il ricordo della sua figura e della sua opera deve presentare un taglio particolare e distintivo, in grado di mettere in risalto la grandezza e l’unicità dell’uomo e dell’artista. Con questo obiettivo è stata inaugurata al MAMbo – il Museo d’ Arte Moderna di Bologna – la mostra dal titolo “Fellini. Dall’Italia alla Luna” curata da Sam Stourdzè.
Non un semplice ripercorrere le varie tappe cronologiche della vita e della carriera del maestro riminese, ma un accostamento all’uomo, al regista, compiuto mettendo in risalto i motivi dominanti della sua arte, i temi che lo hanno ispirato, le scene, le ambientazioni dei film, l’immaginario onirico, il dietro le quinte. La mostra si articola in quattro principali nuclei tematici che riassumono esaustivamente il percorso intellettuale, creativo ed individuale del regista: cultura popolare, Fellini al lavoro, la città delle donne, invenzione biografica.
L’esposizione, che si svolge in occasione del 50° anniversario dall’uscita de La dolce vita collega estratti di film, fotografie, resoconti giornalistici, immagini televisive, disegni autografi e materiali che fanno parte del lavoro del regista, locandine, manifesti, diapositive. Documenti che sono testimonianze vive delle passioni di Fellini e dei motivi dominanti della sua opera: la donna, nei suoi diversi e spesso contraddittori volti, il grande potere dell’immaginazione, il circo, il controverso rapporto con i media e l’ostilità nei confronti della televisione, l’interesse per le riviste illustrate, l’autobiografismo. Seguendo alcuni di questi fili è possibile tessere la trama dell’esperienza creativa felliniana.
“La donna è l’invisibile, è l’Invisibile. E quindi l’unica possibilità per vedere la donna e cioè l’invisibile, il buio, la notte è quella di far partire verso di lei perenni ed inarrestabili tensioni, proiezioni, fantasie, ipotesi, sì che la donna diventi per l’uomo l’unico modo di attraversare la vita”.
Fedele a questa sua affermazione, il maestro riminese proietta sulla figura femminile una vasta gamma di inquadrature che mettono in luce, di volta in volta, la cameriera, in una caricatura sui vizi della società italiana (in Cameriera bella presenza offresi), la rappresentante del perbenismo borghese, alle prese con i conflitti tra istinto e ruolo sociale (in Giulietta degli spiriti), la giunonica tentatrice del cartellone pubblicitario (in Le tentazioni del Dottor Antonio).
Accanto alla donna, nelle sue molteplici incarnazioni, c’è la dimensione onirica, così peculiare del cinema di Fellini; il sogno rivela il proprio legame indissolubile con la realtà, la propria derivazione da una realtà che, trasfigurata o deformata dalle visioni (emblematico è, ancora, Giulietta degli spiriti) è presente nei volti e nei corpi che appaiono nei film, come nella finzione delle scenografie cinematografiche.
Maestro nell’arte del raccontare, Fellini alterna l'incubo al sogno, la visione allo scherzo e all'aneddoto, moltiplicando e variando le lingue e le tecniche, rileggendo l'immaginato ed il reale con un estro ed un’abbondanza di invenzioni da lasciare spesso affascinati e stupiti. Non c'è sentimento, realtà, persona, parola che Fellini regista non sappia rendere immagine. Ha un potere creativo talmente incontrastato da dare l'impressione di creare immagini con la più sciolta e spontanea naturalezza, e quindi con fresca sincerità. Con estrema naturalezza e levità, il maestro riminese è in grado di raggiungere vertiginose profondità nella narrazione.
Ne “La dolce vita” quella che Fellini racconta è l’altra immagine del cinema, del benessere, il lato mediocre di una vita che si adagia sugli allori aristocratici e borghesi, sempre immeritevoli secondo il maestro, e che costringono l’uomo alla noia, alla costruzione delle notizie e degli eventi tramite l’immagine di un giornalismo falso, fatto di atteggiamenti parassitari e compiacenti, di nevrosi e gioie momentanee, di sogni irrealizzabili e mancanze. Ed accanto ai personaggi, alle loro storie affiancate e sovrapposte, Roma, una capitale che inizialmente si mostra come un immenso cantiere, e che man mano si chiude in strade svuotate dei suoi abitanti, in lussuose ville per ricchi ubriachi, in locali notturni, in lunghe rincorse di paparazzi. È la Roma delle abitazioni private e per pochi istanti anche quella dei romani e delle loro illusioni. Solo l’attento sguardo provinciale e modesto del maestro riminese poteva descrivere la capitale in questi termini.
Fellini è legato indissolubilmente alle proprie origini, alla propria terra: è un legame ancestrale, che travalica il tempo e la distanza. Un legame di cui è testimonianza tangibile Amarcord, il più autobiografico dei film del regista di Rimini: il titolo stesso è un'affermazione e una conferma di ciò, “a m'arcord”, “mi ricordo”. Ed è proprio questo che Fellini ricorda: il suo paese, la sua giovinezza, i suoi amici e tutte le figure che gli giravano attorno.
Davanti agli occhi dello spettatore sfila una grande ricchezza di volti e luoghi, memorie e suggestioni, che hanno contribuito a far apprezzare il film in tutto il mondo. In alcune interviste Fellini ha dichiarato che nel film risaltano l'asfittica condizione sociale, la miseria culturale e la limitatezza ideologica in cui il fascismo aveva relegato l’Italia. I protagonisti di Amarcord non solo sono caricature di altrettante persone colte in un particolare momento storico; sono piuttosto tipi universali, che vanno oltre la dimensione temporale per diventare immortali.
Fellini riprende in Otto e mezzo il percorso tracciato in Amarcord, attraverso una progressiva perdita delle illusioni sul ruolo dell’uomo nel mondo contemporaneo. Il film, proprio come Amarcord, si mantiene nell’area autobiografica, ugualmente dilatata, presentando quello che Fellini stesso definisce “Il ritratto di un uomo, nella sua contraddittoria, sfumata, inafferrabile somma di diverse realtà; e in cui traspaiono tutte le possibilità del suo essere, i livelli, i piani sovrapposti”.
Alla scoperta, o alla riscoperta dell’uomo Fellini è riservata, dunque, la mostra ospitata al MAMbo. Cinque mesi, da marzo a luglio, per incontrare questo maestro della bellezza, del sogno, dell’immagine e della fantasia, spettatore disincantato dell’affermazione del progresso, occhio provinciale, discreto ed oggettivo, aperto sul caos della metropoli moderna, sulla frenesia ed illusione dei suoi abitanti.
(di Francesca Di Giorgio - del 2010-04-15) articolo visto 2698 volte
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