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JOHN TRAVOLTA: STORIA DI UN SUCCESSO TRA ASCESE E DECLINI

Dall’ombra alle luci dei riflettori, da zero a cento e poi dalla gloria all’oblio: non conosce mezze misure o gradualità la carriera artistica di John Travolta

“Due volte nella polvere, tre volte sull’altar”, con quei repentini cambiamenti che sono l’antitesi della stabile mediocrità. I successi improvvisi e travolgenti, che ne fanno un nome, una leggenda, il simbolo di un’epoca, si alternano agli insuccessi, il sorgere di un astro al suo tramontare, in un ciclo continuo di rinascite, al punto che egli stesso può affermare “Mi capita sempre di pensare dopo un nuovo film che c’è un altro Travolta nascosto dietro l’ultimo”. Una nuova vita pronta a riemergere dalle ceneri del suo passato, dal nulla, dalla dimenticanza cui il patinato mondo holliwoodiano condanna chi non sa prendere l’onda giusta e cavalcarla stabilmente, sia pur per un piccolo errore.
Figlio di un italo-americano, manifesta molto precocemente il proprio interesse per la recitazione e la danza. Una passione che diventa totalizzante, spingendolo ad abbandonare la scuola a 16 anni. Due anni dopo è già in scena a Broadway con Rain. La partecipazione allo spettacolo teatrale Grease gli offre l’opportunità di girare l’America. Debutta poi nel piccolo schermo con i telefilm: Emergency!, The Rookies, Medical Center, ma soprattutto I ragazzi del sabato sera (1975), in cui è il volto di un ragazzo difficile di nome Vinnie Barbarino.
L’ASCESA - E’ la premessa del successo. Il regista John Badham, convinto dalla sua interpretazione, lo sceglie come protagonista del film La febbre del sabato sera (1977). Diventa Tony Manero, il giovane proletario italo-americano che aspetta il sabato sera per scatenarsi in discoteca. Il movimento febbrile, l’adrenalina che sale, il brivido che percorre i corpi, la musica, le luci: è la fine della settimana lavorativa per una generazione di ragazzi dagli orizzonti limitati, dalle prospettive future incerte e poco promettenti; una generazione che cerca l’evasione, lo svago, come forma di riscatto personale.
La febbre del sabato sera non è soltanto un film, è la consacrazione di Travolta a simbolo di questa generazione che ne fa un proprio idolo: “Si pensa, vedendolo – sono parole di Alberto Moravia - che stia mimando con la sua danza un atto sessuale, ma in modo gioioso, senza inquietudini intellettuali”. Le musiche dei Bee Gees, come alcune scene di ballo, caratterizzate da una eccellente rapidità ed eleganza di movimenti, da una sensualità nascosta sotto l’apparenza rude, godono di una fama che il tempo non ha scolorito.
Alla fine degli anni Settanta consolida la propria notorietà diventando il protagonista della trasposizione cinematografica di Grease , del regista Randal Kleiser. Il film evidenzia il suo talento ironico, e rafforza la sua fama di ballerino. L’ interpretazione gli permette di conseguire una seconda candidatura ai Golden Globe, dopo quella ottenuta con La febbre del sabato sera.
IL DECLINO - Conquistata la popolarità occorre mantenerla, cogliendo tutte le opportunità che si affacciano all’orizzonte. In questo l‘errore di Travolta: non essere un buon manager di se stesso. Rifiuta alcuni importanti ruoli - che poi hanno favorito l’ascesa di Richard Gere in I giorni del cielo, American Gigolò e Ufficiale gentiluomo – e si condanna all’oblio. Una stella cadente. La gloria ha un profumo soave, ma anche un peso grande. Bisogna essere in grado di sostenerla, senza permettere che scivoli di mano.
Gli anni Ottanta vedono l'apparente declino di Travolta. L'attore, tuttavia, continua a lavorare su di sé, ad edificarsi come uomo – conseguendo l’ambita licenza di volo – e come attore, mettendosi in gioco nella comica trilogia Senti chi parla (1989-1990-1993) al fianco di Kirstie Alley.
LA RINASCITA - Il talento merita di essere valorizzato. Merita una seconda grande opportunità: quella offerta a John Travolta nel 1994 dal regista Quentin Tarantino, che lo vuole per la parte di Vincent Vega, il gangster appassionato danzatore, che la sera ha il compito di portare a ballare la moglie del capo. E’ Pulp Fiction. E’ la resurrezione di John Travolta, “una svolta di carriera stupefacente”, come egli stesso la definisce. Una riuscita alchimia, una fusione di tragico umorismo e di criminalità, di individualismo e coralità, di approssimazione e sapiente regia: un successo internazionale, una nuova consacrazione per l’attore, ormai definitivamente inserito nel pianeta delle stelle del cinema, dopo la vittoria di un David di Donatello come migliore attore straniero e le candidature ai Golden Globe e agli Oscar come migliore attore protagonista.
Sarà Get Shorty di Barry Sonnenfeld, nel 1995 a portarlo alla vittoria del Golden Globe.
Si avvicina alla fine del millennio con un’alternanza di film d’azione e commedie, in cui di volta in volta assume una posizione più incisiva e mordente o tenue e sfumata. Lo troviamo in Nome in codice: Broken Arrow (1996) ed accanto a Nicholas Cage in Face/Off – Due facce di un assassino; passando per She’s so lovely (1997) e Mad City (1997), giunge ad interpretare, in I colori della vittoria (1998), il ruolo che gli varrà un’ulteriore nomination ai Golden Globe, quello del governatore democratico Jack Stanton in corsa per la Casa Bianca.
IL NUOVO MILLENNIO - Il dramma, la solitudine di Bobby Long, alcolizzato ex professore universitario protagonista di A Love Song for Bobby Long (2004), della regista Shainee Gabel, danno l’avvio alla terza fase della carriera cinematografica di John Travolta.
Cinquantenne, è ormai un attore affermato. Lo vediamo nella commedia Svalvolati on the road (2007) e, visibilmente ingrassato ad arte, nel musical Hairspray (2007). Continua l’avvicendarsi di thriller e commedie con Pelham 1-2-3: Ostaggi in metropolitana (2009) di Tony Scott e Daddy sitter, con Robin Williams. Del 2010 è From Paris with love al fianco di Jonathan Rhys-Meyers.
Una carriera leggendaria nella sua particolarità, quella di John Travolta, attore che non ha mai smesso di reinventarsi e di lavorare, disponibile a quella versatilità e duttilità che è dote indispensabile se si vogliono attraversare trent’anni di storia del cinema senza venire oscurati da nuovi astri nascenti.
(di Francesca Di Giorgio - del 2010-05-12) articolo visto 3135 volte
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