IL PASTICCIO BRANCHER
Si chiude con le dimissioni del ministro una vicenda gestita come peggio non si poteva
Il 5 luglio 2010 si è conclusa l'esperienza in Consiglio dei Ministri di Aldo Brancher, ministro per la Sussidiarietà e il Decentramento per soli 17 giorni. La sua nomina, il 18 giugno, era stata una sorpresa assoluta per tutti, compresi molti importanti esponenti della maggioranza. Tenuta nel più stretto riserbo, la promozione a ministro di Brancher, per 2 anni sottosegretario di Bossi al ministero per le Riforme per il Federalismo, è stata annunciata soltanto dopo il giuramento al Quirinale alla presenza di pochissimi convenuti. Oltre a Napolitano solo Berlusconi, Gianni Letta e il segretario generale del Quirinale, Donato Marra. E qui cominciano i misteri, peraltro mai realmente dissipati dalle (poche) comunicazioni ufficiali della Presidenza del Consiglio.
L'IRRITAZIONE DEL QUIRINALE - Nonostante dal 4 giugno il Paese sia rimasto senza un ministro per le Attività Produttive, in seguito alle dimissioni di Claudio Scajola, Berlusconi, pochi giorni prima della promozione di Brancher, propone a Napolitano l'idea di procedere alla creazione di un nuovo ministro senza portafoglio. Il Presidente della Repubblica pone come condizione che il nuovo dicastero non gravi eccessivamente sulle finanze pubbliche e Tremonti assicura che sarà un ministero “low cost”.
Nessuna preclusione dunque sul nome del sottosegretario fedelissimo del premier. Quindi il 18 giugno il nuovo ministro giura sulla Costituzione. Ma da subito cominciano le fibrillazioni all'interno della maggioranza: i “leghisti” non apprezzano e i “finiani” sembrano sul piede di guerra. Il 24 giugno i legali di Brancher al processo Antonveneta invocano il legittimo impedimento per il neo-ministro, sostenendo che ha bisogno di tempo per organizzare il nuovo ministero. Immediate le polemiche.
Il Quirinale è furioso. In una nota eccezionalmente dura, Napolitano ricorda che Brancher è stato nominato ministro senza portafoglio quindi non ha nessun ministero da organizzare. Tra Palazzo Chigi e il Colle si tocca uno dei punti più bassi degli ultimi mesi. La Presidenza della Repubblica si sente presa in giro (come dirà anche il pm del caso Antonveneta) e inutilmente Gianni Letta tenta di fare da pontiere. Ma ormai la frittata è fatta e il danno d'immagine per il Governo è molto grave. Brancher il giorno dopo non può che rinunciare al legittimo impedimento ma a questo punto la pezza è peggio del buco.
IL PROCESSO ANTONVENETA - Su tutta la vicenda aleggia come uno spettro lo scandalo Antonveneta. L'ex ministro infatti è sotto processo a Milano per ricettazione nell'indagine per la scalata di Giampiero Fiorani all'istituto creditizio avvenuto nel 2005. Le accuse appaiono serie e la procura del capoluogo lombardo ha rintracciato, presso la Barca Popolare di Lodi, un conto intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza di 300mila euro in due anni.
Proprio per questo processo i legali del neo-ministro, subito diventato ex, il 24 giugno hanno invocato il legittimo impedimento per il loro assistito. Il Colle è infuriato da questa mossa e il PD, il 29 giugno, con il capogruppo alla Camera Dario Franceschini, insorge e annuncia la presentazione di una mozione di sfiducia, subito appoggiata dall'Italia dei Valori. Ma Montecitorio è un terreno infido per il Governo anche per la presenza della pattuglia di deputati “finiani” che cominciano a dare segnali poco rassicuranti. Il rischio è quello che si schierino con le opposizioni facendo fare un tonfo al Governo dal punto di vista mediatico e politico.
L'immagine di Brancher ne esce a pezzi. Ormai è sempre meno difendibile: Berlusconi lo capisce e comincia a sondare il terreno per convincere il suo stretto collaboratore a mollare la poltrona appena conquistata.
Nel Paese e sui giornali passa sempre più frequentemente l'immagine di un uomo assediato dalla giustizia che per farla franca è stato promosso in CdM per essere protetto dal legittimo impedimento. Queste accuse diventano sempre più esplicite e deflagranti anche per la “goffagine” con cui il Governo e la Presidenza del Consiglio hanno gestito la vicenda. La mancanza di motivazioni ha sicuramente soffiato sul fuoco dei sospetti provocando un incendio.
LA RABBIA DI BOSSI - Tuttavia il vero colpo di grazia a Brancher arriva dalla Lega. Nei primi giorni il sottosegretario promosso, infatti, è stato presentato come ministro per l'Attuazione del Federalismo provocando sonori scricchiolii nei rapporti con Bossi che, considerando il federalismo materia di assoluta pertinenza del suo partito e del suo ministero in particolare, reagisce duramente e annuncia in un comizio che Brancher può essere ministro di ciò che vuole ma il federalismo non si tocca, a costo di alzare le barricate in strada. Berlusconi capisce l'antifona e per non scontentare il suo potente alleato, il nuovo dicastero è chiamato del Decentramento e la Sussidiarietà. Ma l'incertezza su cosa realmente faccia il nuovo ministro resta fino al giorno delle sue dimissioni. Il mistero è motivato dal fatto che le sue deleghe non sono mai state ufficializzate tramite pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dando così l'impressione di essere un “ministro del Nulla” e un inutile doppione del dicastero di Bossi.
LE INEVITABILI DIMISSIONI - Una situazione paradossale e tragicomica che fa crescere ogni giorno il numero degli arrabbiati: le opposizioni (per una volta unite e senza distinguo), l'opinione pubblica, i giornali, la Lega (nonostante nei primi giorni dopo l'investitura si cercasse di motivare questa mossa con gli ottimi rapporti avuti fino ad allora da Brancher con Bossi) e Fini che il 1 luglio scaglia una violenta sassata:
“Non voglio che nel mio partito e nel Governo ci sia nemmeno il sospetto che c'è qualcuno che si vuol fare nominare ministro perché non vuole andare in Tribunale”.
E' il De profundis. Berlusconi capisce che la partita è chiusa e non c'è spazio per una difesa, a costo di mettere a rischio la stessa stabilità dell'esecutivo. Perciò in un faccia a faccia con Brancher, il premier preme affinché faccia un passo indietro, soprattutto per rimuovere un ostacolo nei rapporti con Napolitano. Sul piatto rimane, infatti, il disegno di legge sulle intercettazioni e il Colle giocherà un ruolo fondamentale.
Siamo all'epilogo di questa ingloriosa pagina. Il 5 luglio Aldo Brancher, davanti ai giudici di Milano, annuncia le dimissioni da ministro.
(di Marco Di Giacomo - del 2010-07-10)
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