DAVIDE DI SCIASCIO, LA MODA E LA MUSICA: “LE IDEE, I PROGETTI”
Un giovane eclettico, “emotivo” e globe-trotter
“La musica è un’esigenza, è il modo più naturale di esprimere il mio mondo interiore”.
Così si potrebbe riassumere il punto di vista di Davide Di Sciascio. Giuliese in trasferta a Milano, iscritto alla Facoltà di Comunicazione di Massa presso la “Sapienza”, è riuscito a concretizzare le sue due passioni in lavoro: la musica e la moda. Il giovane, sin dall’inizio, premette, distinguendo nettamente le due differenti esperienze: “non sono l'una il naturale sbocco dell'altra, tantomeno sono affini. La moda è arrivata nella mia vita per caso, e tuttora ringrazio Dio per avermi dato la possibilità di sfruttare questa "fortuna", in primo luogo per la mia indipendenza economica”.
Quando ti sei reso conto della tua passione per la musica?
R - Da bambino le mie maestre mi sgridavano perché passavo tutto il tempo a disegnare.
Quest'istinto non mi ha mai abbandonato e col tempo si è arricchito: volti, personaggi, scene…
A poco a poco immaginavo le loro storie, nei loro occhi imprigionavo i miei pensieri, le mie ferite. Col tempo ai disegni si sono aggiunte parole, che talora assumevano la forma di poesie, di canzoni.
La musica è sempre stata la mia passione; vivo con le cuffiette: ascolto musica ovunque, in ogni momento. Uno dei miei primi ricordi sono io da bambino che giro per casa con un giradischi arancione in una mano, lo scatolone dei dischi dei miei genitori nell’altra.
L'amore incondizionato per la musica è poi divenuto un sogno vero: una mattina mi sono svegliato; avevo sognato una persona speciale che non c'è più, e ciò che mi era rimasto del nostro dialogo era l'idea di conciliare creatività e musica.
La musica è in primo luogo una necessità: nelle mie canzoni c’è il mio animo, e gridarle in faccia agli altri è spesso l'unico modo di farlo emergere.
A proposito dei tuoi gusti musicali?
R - Musicalmente sono piuttosto "razzista". Odio chi dice: "io ascolto tutto, mi piace tutto"; per me equivale a: "non ascolto nulla, non amo nulla.
La musica è un universo, che si divide in buona e cattiva musica: se ami “Emozioni” di Battisti, se davvero ti entra nel cuore, non puoi amare qualcosa che non ha nulla da raccontare, da evocare.
La mia band preferita sono da sempre i Radiohead, adoro tutti i loro album e la loro folle ricerca di un sound "definitivo", adoro il fatto di non riconoscerli ogni volta che ascolto un loro pezzo nuovo, perché significa che fanno quello che sentono, non quello che vende.
Insieme a loro amo i Joy Division, Jeff Buckley, i Beatles, David Bowie, i Cure...
La tua band, Starcontrol, si sta facendo strada nei locali di Milano: ci parli della vostra formazione?
R - Non ho mai cullato il desiderio di diventare ricco, o famoso, nel mondo della moda, né della musica; l'unico grande desiderio è di riuscire a vivere di musica. Mi basterebbe il necessario per sostenere la famiglia che sogno, e magari scrivere una canzone immortale, qualcosa che rimanga di me, anche quando non ci sarò più.
Con gli Starcontrol suoniamo insieme da poco, ma è come se l'energia tra di noi sia sempre stata lì, anche molto prima di conoscerci: è strano come le nostre tre personalità così diverse sembrino tessere dello stesso mosaico.
La band è partita dal sogno (o dal delirio LOL) di Laura, la mia sorellina bassista: molti pezzi nascono dalle sue idee; si è poi unito Morris alla chitarra e alla cervellotica computeristica, che funge spesso anche da "decoder", trasformando il caos delle nostre teste in vere e proprie canzoni.
L'ultimo arrivato sono io, voce e spesso penna della famigliola.
Siamo partiti da un sound "nervoso", vicino al Post-Punk ed alla New Wave, con cui siamo cresciuti, contaminandolo di quello che ascoltiamo oggi: l'indie ed il rock inglese più in generale.
I pezzi che sembrano riscuotere più successo nei live sono The Void, Feel X e Night & Fire, diversissimi tra loro, ma che, come noi, sono sfaccettature di uno stesso diamante.
Abbiamo già suonato in parecchi dei locali di Milano, tra cui il Duke, il Magnolia, il BlackHole, e persino il Live Forum di Assago. Ci esibiremo anche a Giulianova, il 29 Aprile al Beat.
Come e quando hai mosso i tuoi primi passi nel mondo della moda?
R - Nell'ambito della moda è iniziato tutto dopo un concorso: una delle giurate ha insistito perché provassi ad entrare in un'agenzia. Ed eccomi qui, sono anni che faccio questo lavoro e devo ad esso gran parte del mio essere: non sarei il Davide che sono, senza le esperienze acquisite dai viaggi, dalle persone che hanno fatto parte delle mie giornate, ed anche dalle porte sbattute in faccia.
Si deve essere bravi a filtrare la vita, soprattutto in questo lavoro: si vivono momenti non facili da sostenere e spesso se, non si è forti, si rischia di cadere: penso alle ragazzine che ho conosciuto nei miei primi viaggi e che ho visto poi ubriache e fatte al tavolo di ricchi papponi che sarebbero potuti essere loro nonni, penso agli stilisti che ti adorano, poi un giorno si svegliano e decidono che sei "out", salvo poi cambiare idea al prossimo casting; penso alle notti lontane dalla famiglia, a volte interminabili. Ma non mancano le emozioni, ogni volta che si mette piede in una nuova città, la curiosità, gli altri; le diverse culture, le abitudini, il cibo inusuale, e la suggestione di vedersi per la prima volta su un gigantesco poster, di lavorare di fronte alla lente di un vero artista, per trasformare uno scatto in arte.
Tra i miei ricordi, annovero la mia prima sfilata importante, per "Dolce e Gabbana": ero seduto in attesa con tutti gli altri ragazzi ed a un certo punto vedo entrare Naomi Campbell! Lei che avevo lasciato in casa appesa al muro della mia stanza era lì in carne e ossa,e di lì a poco mi si è parata davanti: indimenticabile.
La moda è per me un’immensa fortuna, mi ha permesso di crescere. Tuttavia sento sempre di più l'inquietudine di lasciarmi alle spalle un palcoscenico che giudica solo in base all’esteriorità, senza chiedersi cosa dice o vuole il tuo cuore. (di Di Lorenzo Emanuela - del 2011-04-27)
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