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IL LIBANO TRIONFA AL FESTIVAL DI TORONTO

a cura di Katia Cerratti - Fonte: www.newscinema.it

Dopo il grande successo del 2007 con Caramel, deliziosa commedia corale tutta al femminile incentrata sulla vita di cinque donne libanesi che tra una ceretta al caramello e una manicure, si raccontano amori, gioie e dolori in un salone di bellezza, Nadine Labaki, regista e attrice libanese, fa di nuovo centro guadagnando il Cadillac People’s Choice Award, ovvero il Premio del Pubblico, alla 36esima edizione del Festival di Toronto con la commedia Where Do We Go Now?, già presentata a Cannes nella sezione Un certain Regard con il titolo Et maintenant on va où? e che ora vede profilarsi la possibilità della nomination all’Oscar 2012 come miglior film straniero.
Quello di Toronto, è infatti un evento che non prevede premi della giuria ma è un po’ la chiave che apre la porta agli Oscar perché è molto seguito dai media nordamericani. Significativi in tal senso The millionaire e Il discorso del re.
Girato in parte nella valle della Beka’a tra Beirut e Damasco e ambientato in un villaggio del nord del Libano (anche se il paese non viene mai menzionato nel film), Where Do We Go Now? (in arabo Wa halla liwayn?) apre su un pittoresco paesaggio di montagna e mentre una voce fuori campo avverte che il film è sia per i cristiani che per i musulmani, donne vestite a lutto stringono tra le mani le foto dei loro cari uccisi e procedono verso il cimitero. Si divideranno davanti al cancello perché le musulmane andranno da un parte e le cristiane dall’altra. Di diverso credo religioso ma unite da una solidarietà tutta femminile, saranno proprio loro a sovvertire la situazione nel villaggio.
Spinte da un forte desiderio di pace e stanche di continuare a piangere padri, figli e mariti al cimitero a causa dell’assurda e inutile guerra civile, Amale (Nadine Labaki), Takla, Yvonne, Afaf e Saydeh, tenteranno con ogni mezzo di neutralizzare le tensioni insite nella piccola comunità composta da cristiani e musulmani. Per distrarre dalla rabbia e dal desiderio di vendetta i pochi uomini rimasti nel villaggio, ricorrono infatti ad una serie di astuzie ingegnose ed efficaci con il sostegno di un prete maronita e di un imam: ingaggiano un gruppo di ballerine ucraine per spettacoli sexy, impastano dei dolci all’hashish, fanno piangere finte lacrime a una madonna, assoldano una falsa veggente e quando la situazione sembra precipitare per l’assassinio di un ragazzo, arriveranno a fingere di abbracciare le une il credo delle altre scambiandosi veli e crocifissi.
A quel punto cristiani e musulmani, accomunati dal dolore, si confondono, sono le stesse persone. Il messaggio della Labaki è chiaro: andare oltre la fede e la morte si può, e si deve, soprattutto in un contesto socio politico estremamente complesso come quello libanese.Un compito gravoso per un cineasta ma Nadine Labaki è riuscita a tradurlo nel film senza risultare pesante, esaltando la simpatia e la coralità dei suoi personaggi, molti dei quali interpretati da attori non protagonisti, riuscendo così a passare in pochi attimi dal dramma alla comicità e inserendo inoltre, scene di musical, estremamente funzionali in un contesto del genere.
Da ricordare che la regista nasce come produttrice di video musicali, realizzati anche per Nancy Ajram, una delle più note cantanti del pop arabo libanese, ed è sposata al compositore Khaled Mouzannar, autore della splendida colonna sonora di Where Do We go Now?, nonché di quella dell’opera prima della regista, Caramel. Sul percorso artistico di Nadine Labaki e sulla sua scelta di realizzare film, ha inciso profondamente, come da lei stessa dichiarato in una intervista, il contesto socio politico in cui è cresciuta. Non potendo uscire di casa a causa dei bombardamenti, sin da bambina, trovava rifugio nella tv e nella visione di film, unico modo per evadere dall’amara realtà della guerra civile.
E proprio ora che il mondo arabo sta vivendo una “primavera” sorprendente, quello stesso cinema nel quale l’artista identificava la fuga dalla realtà, diventa lo strumento migliore per rappresentarla, per raccontare il Libano in tutta la sua complessità, attraverso l’intimità e la forza delle donne, al di là delle apparenze e del credo religioso, in nome della coesistenza pacifica e della libertà.
(di Katia Cerratti - del 2011-10-19) articolo visto 2054 volte
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