Ma «ciò che era nascosto sotto la cenere è ahimè emerso. Ci siamo presentati al cospetto del virus con una lacerazione strutturale già profonda di 53mila infermieri mancanti in tutta Italia (dati Fnopi 2019). Noi già lo scorso autunno quantificammo però in 85-90 mila la carenza di professionisti della sanità e oggi, leggendo i dati dell’indagine del Censis, tutto questo ci viene amaramente confermato. Tra la prima e la seconda ondata non abbiamo in alcun modo provveduto a rinforzare gli organici sanitari, tra assunzioni con il contagocce che non compensano certo anni ed anni di blocco del turn over e realtà concorsuali ferme al palo, tranne qualche rara eccezione. Disorganizzazione, turni massacranti, situazioni di precariato in ogni dove: abbiamo affrontato così il virus, lasciando “nudi in trincea” i nostri soldati».
Ad oggi il Censis, a oltre un anno dall’inizio della pandemia, quantifica «in 72mila i numeri relativi alla mancanza di infermieri in Italia. I dati alla fine combaciano con i nostri: perché a questi 72mila dobbiamo aggiungere i 9600 infermieri di famiglia, previsti dal Decreto Rilancio, che il Governo avrebbe dovuto assumere ma che sono rimasti per ora pura teoria, 8 ogni 50mila abitanti, che però potrebbero non essere sufficienti alla indispensabile riforma della sanità territoriale, e una media di circa 3500-4000 unità in più di infermieri derivanti dal fabbisogno dei nuovi posti di terapia intensiva aperti per fronteggiare l’emergenza. Sono le contraddizioni del nostro Paese: si aprono nuovi reparti ma manca il personale per supportare i malati».
«La riforma sanitaria – continua De Palma – quella che il riconfermato Ministro Speranza auspica di mettere in atto, deve passare attraverso l’indispensabile rafforzamento della sanità territoriale. 9600 infermieri di famiglia rappresentano solo la punta dell’iceberg rispetto alle necessità di un paese che con questa indispensabile figura già da tempo avrebbe potuto snellire i ricoveri e offrire supporto alla sanità delle Regioni, fuori dalle realtà ospedaliere, ben prima che questo Covid ci lasciasse cicatrici profonde non ancora rimarginate».
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