Il progetto Se nascondiamo le parole mette in dialogo due artisti contemporanei apparentemente opposti per intento creativo e per approccio stilistico, ma di fatto perfettamente armonici tanto da infondere la sensazione di una continuità espressiva poiché laddove il linguaggio dell’uno appare sottinteso, sussurrato quasi, e di un rigore che si esprime attraverso una definizione geometrica ma evocativa degli attuali QR code contemporanei, l’altra invece utilizza la forza del colore pieno, non tanto per investire l’osservatore con le sue emozioni piuttosto per condurlo nel mondo della profondità di un sentire inarginabile.
Da un lato il Minimalismo Concettuale di Stefano Paulon, dall’altro l’Espressionismo Astratto con influenze surrealiste ed elementi riconducibili all’Arte Giapponese di Elena Borghi; entrambi interpreti di un mondo informale declinato sulla base della propria singola sensibilità, generano un’eco visiva dove l’energia cromatica giocata sulle tonalità piene dei neri, dei rossi e dei bianchi della Borghi sembra essere il preludio alla pacata e sottintesa stabilità narrativa di Paulon, perché di fatto non può esservi tranquillità senza esser prima passati attraverso la tempesta, in questo caso emozionale, necessaria a prendere coscienza del proprio sentire. Il senso dell’accostamento di queste due cifre artistiche è riconducibile al concetto di aisthesis e psiche, due tratti della personalità ma al contempo anche due facce della stessa medaglia perché la parte dell’aisthesis, il sentire immediato, la percezione, può successivamente essere analizzato o controllato dalla psiche, intesa come capacità razionale di prendere atto e coscienza di quel mondo interiore impulsivo e profondo.
Dunque le emozioni che premono per fuoriuscire di Elena Borghi, che vive l’arte come un momento catartico di tutto ciò che affiora nella sua interiorità e che in qualche modo destabilizza il suo equilibrio interiore, entrano in profonda connessione con la necessità di Stefano Paulon di contenerlo quel mondo intimo, di chiudersi all’interno di un equilibrio schematico che rimane baluardo di stabilità in una società contemporanea che diversamente tenderebbe a rendere vano ogni tentativo di restare in piedi. Le opere entrano così in dialogo in maniera complementare, sembrano essere concatenate in un rapporto di causa ed effetto ma potrebbero anche essere considerate nella loro singolarità come parte di essenze individuali e opposte che partono però da un punto di coscienza comune, quello cioè della consapevolezza della forza di un mondo emozionale che esiste, predomina, e come tale può essere lasciato libero di far sentire la sua voce, o al contrario lasciato all’interno di uno scrigno segreto e protetto dall’esterno.
Più incline a esternare e a manifestare tutto il ventaglio di sensazioni che appartiene alla sua dimensione spirituale, Elena Borghi mostra radici espressive collegabili all’Espressionismo Astratto di Adolph Gottlieb, i cui cerchi rossi e simboli grafici si ispiravano sia all’Arte Giapponese che agli indigeni dell’America settentrionale, e anche all’Arte Informale con declinazioni surrealiste di Roberto Crippa; in lei però l’interpretazione segnica e geometrica assume connotazioni più energiche in virtù dell’utilizzo di sfondi neri e dei tre colori primari, il bianco, il nero e il rosso, proprio per sottolineare la primordialità di quelle sensazioni che si mescolano in maniera inconsapevole fino a generare un impulso creativo che viene in qualche modo mediato dall’atto pittorico. Non dunque un Dripping che diromperebbe verso la tela in maniera confusa e persino aggressiva, bensì un Color Field contenuto all’interno di strutture ben delineate come il cerchio, il rettangolo, il quadrato e l’ellisse che denotano una profonda necessità di prendere coscienza delle sensazioni più irrazionali per trasformarle in percorso cognitivo e di accettazione di quell’abbondanza percettiva che contraddistingue la sua sensibilità. L’utilizzo della tecnica mista, della sovrapposizione di materiali sulla base del supporto, contribuisce a mitigare le emozioni fino alla possibilità di concretizzarle e tradurle in espressione artistica.
Più riservato e introverso è invece l’approccio di Stefano Paulon che affonda le sue radici espressive nel Neoplasticismo di Theo van Doesburg, e nel Suprematismo di Kasimir Melevich per le sovrapposizioni geometriche rinunciando però all’apporto cromatico, e infine al Razionalismo architettonico che si rivela nelle strutture compositive fortemente geometriche e nell’alternanza tra vuoti e pieni che nella serie presentata in questo progetto sono appena accennati e dunque meno percettibili perché sviluppati utilizzando il bianco e il grigio per dare vita a opere realizzate in collage il cui aspetto finale non può non ricondurre ai moderni QR code che sembrano voler riassumere all’interno di un codice la vita o il percorso di chiunque sia sottoposto al loro ordine virtuale. Nel caso di Stefano Paulon i reticoli che si vanno a generare costituiscono la struttura dell’ordine all’interno del quale egli conserva e cataloga quel mondo emozionale da cui non può e non vuole lasciarsi travolgere, perché il mondo dell’irrazionalità non gli appartiene e soprattutto perché preferisce lasciare che la mente, la logicità, siano predominanti all’esterno, nel lato più formale, riservando le sensazioni a quel substrato intuibile al di sotto delle sovrapposizioni.
Dunque oltre quei reticoli sottintesi e discreti non può non fuoriuscire l’analisi a cui egli sottopone la realtà e il vissuto, quella presa di coscienza necessaria a giungere poi al passo seguente del conservare tutto all’interno di un cassetto nascosto e inaccessibile dall’esterno. Le opere di Elena Borghi e di Stefano Paulon si connettono dunque attraverso l’opposizione ma anche attraverso l’affinità, sia dal punto di vista concettuale che da quello espressivo poiché l’unione tra i due stili riesce a inondare lo spazio circostante di un magnetico silenzio che induce l’osservatore a sentire con l’interiorità e poi a cercare di definire attraverso la razionalità.
Ecco dunque che il senso del nome del progetto, Se nascondiamo le parole, si esplica esattamente in questa necessità di lasciare da parte tutto ciò che potrebbe distogliere dal contatto spontaeo e inuitivo dell’arte, così come nel mondo che abitualmente circonda l’individuo e i cui dettagli non vengono notati a causa dell’impellenza di una quotidianità sempre più veloce, perché spesso è necessario andare oltre ciò che viene detto per riuscire a percepire ciò che è celato, sia che si tratti della dimensione irrazionale e istintiva, sia che si tratti invece di una visione più analitica e razionale della realtà che però ha bisogno di una riflessione raccolta e introspettiva.
I neri delle basi di Elena Borghi entrano in contrasto con i bianchi di Stefano Paulon eppure, come nello Ying e nello Yan del Tao cinese, non possono fare a meno gli uni degli altri perché è attraverso la diversità, l’opposizione, che si genera l’energia vitale evolutiva e l’opportunità della realizzazione della completezza; laddove però nella prima subentra il bisogno di rappresentare attraverso il contrasto del rosso e del bianco la forza di quelle emozioni che sembrano uscire dal buio dell’interiorità, nel secondo la luce sembra irradiare e permanere proprio per lasciare che tutto ciò che fa parte dell’equilibrio e della consapevolezza sia visibile e immediatamente afferrabile, salvo poi suggerire la possibilità di una successiva discesa verso le profondità che rimangono occultate allo sguardo. Pertanto l’ombrosità narrativa, necessaria a Elena Borghi per sottolineare il pathos che la spinge verso la rappresentazione artistica, è illuminata dal chiarore costituito dalle composizioni geometriche di Paulon, tanto quanto l’apporto razionale di Stefano Paulon viene scosso, messo in discussione e approfondito dalle tonalità intense e piene della Borghi, come se il richiamo vicendevole mostrasse all’osservatore la possibilità di accogliere all’interno di sé entrambe quelle parti spesso appartenenti alla stessa natura, malgrado la sua attitudine a lasciar prevalere una a discapito dell’altra.
Entrambi gli artisti hanno pensato per questo progetto di presentare opere realizzate su cartone, telato quello scelto da Stefano Paulon e cartoncino quello dei lavori di Elena Borghi, più funzionali all’apporto materico di cui entrambi si avvalgono nella loro tecnica mista.
Il progetto Se nascondiamo le parole sarà presentato presso la Gallerie Thuillier di Parigi, nel prestigioso quartiere del Marais, dal 4 al 17 ottobre 2024.
STEFANO PAULON-CONTATTI
Email: stefano.paulon@gmail.com
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ELENA BORGHI-CONTATTI
Email: elena.borghi253@gmail.com
When words are hidden, the most intense meanings emerge from the suggestion of silence with the artworks of Elena Borghi and Stefano Paulon
The project Se nascondiamo le parole (If We Hide Words) brings together two contemporary artists who are apparently opposed in their creative intentions and stylistic approach, but who are in fact perfectly harmonious, so much so as to instil the sensation of an expressive continuity, since where the language of the one appears implicit, almost whispered, and of a rigour that is expressed through a geometric definition but evocative of contemporary QR codes, the other instead uses the power of full colour, not so much to invest the observer with his emotions as to lead him into the world of the depth of an unreachable feeling.
On the one hand is the Conceptual Minimalism of Stefano Paulon, on the other the Abstract Expressionism with Surrealist influences and elements reminiscent of Japanese Art of Elena Borghi; both interpreters of an informal world combined on the basis of their own individual sensibility, they generate a visual echo where the chromatic energy played on the full tones of Borghi‘s blacks, reds and whites seems to be the prelude to Paulon‘s calm and implied narrative stability, because in fact there can be no tranquillity without first having passed through the storm, in this case emotional, necessary to become aware of one’s own feeling.
The sense of the juxtaposition of these two artistic figures can be traced back to the concept of aisthesis and psyche, two personality traits but at the same time also two sides of the same coin because the part of aisthesis, immediate feeling, perception, can subsequently be analysed or controlled by the psyche, understood as the rational capacity to take note and become aware of that impulsive and profound inner world. Therefore, the emotions that press to escape of Elena Borghi, who experiences art as a cathartic moment for everything that surfaces in her interiority and that in some way destabilises her inner equilibrium, enter into a profound connection with Stefano Paulon‘s need to contain that intimate world, to enclose oneself within a schematic equilibrium that remains a bulwark of stability in a contemporary society that would otherwise tend to render any attempt to remain standing futile.
The works thus enter into dialogue in a complementary manner, seeming to be concatenated in a cause and effect relationship, but could also be considered in their singularity as part of individual and opposing essences that nonetheless start from a point of common consciousness, that is, the awareness of the power of an emotional world that exists, predominates, and as such can be left free to make its voice heard, or on the contrary left inside a secret casket and protected from the outside world. More inclined to externise and manifest the whole range of sensations that belong to her spiritual dimension, Elena Borghi shows expressive roots that can be linked to the Abstract Expressionism of Adolph Gottlieb, whose red circles and graphic symbols were inspired by both Japanese Art and the indigenous peoples of North America, and also the Informal Art with surrealist declinations of Roberto Crippa; in her, however, the sign and geometric interpretation takes on more energetic connotations by virtue of the use of black backgrounds and the three primary colours, white, black and red, precisely to emphasise the primordiality of those sensations that mix unconsciously to the point of generating a creative impulse that is in some way mediated by the act of painting.
Not, therefore, a Dripping that bursts towards the canvas in a confused and even aggressive manner, but rather a Colour Field contained within clearly delineated structures such as the circle, the rectangle, the square and the ellipse that denote a profound need to become aware of the most irrational sensations in order to transform them into a cognitive path and acceptance of that perceptive abundance that distinguishes her sensitivity. The use of the mixed technique, of the superimposition of materials on the basis of the support, contributes to mitigating the emotions to the point of concretising them and translating them into artistic expression. More reserved and introverted, on the other hand, is the approach of Stefano Paulon, whose expressive roots lie in the Neoplasticism of Theo van Doesburg, and the Suprematism of Kasimir Melevich for the geometric superimpositions, while renouncing the chromatic contribution, and finally to the architectural Rationalism that reveals itself in the strongly geometric compositional structures and in the alternation between empty and full spaces that in the series presented in this project are barely hinted at and therefore less perceptible because they are developed using white and grey to give life to works realised in collage whose final appearance cannot but lead back to modern QR codes that seem to want to summarise within a code the life or the path of anyone subjected to their virtual order. In the case of Stefano Paulon, the lattices that are generated constitute the structure of the order within which he preserves and catalogues that emotional world from which he cannot and does not want to be overwhelmed, because the world of irrationality does not belong to him and above all because he prefers to let the mind, logicality, are predominant on the outside, in the more formal side, reserving the sensations for that intuitable substratum beneath the superimpositions.
Therefore, beyond those subtle and discreet grids, the analysis to which he subjects reality and experience cannot fail to emerge, that awareness necessary to reach the next step of keeping everything inside a hidden drawer inaccessible from the outside. The artworks of Elena Borghi and Stefano Paulon therefore connect through opposition but also through affinity, both from a conceptual and expressive point of view, since the union of the two styles succeeds in flooding the surrounding space with a magnetic silence that induces the observer to feel with interiority and then to try to define through rationality. Hence the meaning of the project’s name, Se nascondiamo le parole (If we hide the words), is expressed precisely in this need to leave aside everything that might distract from the spontaeous and inuitive contact of art, as in the world that habitually surrounds the individual and whose details are not noticed due to the impellence of an increasingly fast-paced everyday life, because it is often necessary to go beyond what is said in order to be able to perceive what is concealed, whether it is the irrational and instinctive dimension or a more analytical and rational vision of reality that, however, needs a collected and introspective reflection.
The blacks of Elena Borghi‘s bases contrast with the whites of Stefano Paulon and yet, as in the Ying and Yan of the Chinese Tao, they cannot do without each other because it is through diversity, opposition, that evolutionary vital energy and the opportunity for the realisation of completeness are generated; where, however, in the former, arises the need to represent through the contrast of red and white the strength of those emotions that seem to emerge from the darkness of interiority, in the latter the light seems to radiate and remain precisely in order to allow everything that is part of balance and awareness to be visible and immediately graspable, except then to suggest the possibility of a subsequent descent towards the depths that remain hidden from view. Thus the narrative shadiness, necessary for Elena Borghi to emphasise the pathos that drives her towards artistic representation, is illuminated by the glimmer constituted by Paulon‘s geometric compositions, just as Stefano Paulon‘s rational contribution is shaken, questioned and deepened by Borghi‘s intense and full tones, as if the mutual call shows the observer the possibility of welcoming within himself both parts that often belong to the same nature, despite his tendency to let one prevail to the detriment of the other. For this project, both artists have decided to present works on cardboard, canvas that chosen by Stefano Paulon and simple cardboard that of Elena Borghi‘s artworks, which are more functional to the material contribution they both make use of in their mixed technique.
The Se nascondiamo le parole project will be presented at the Gallerie Thuillier in Paris, in the prestigious Marais district, from 4 to 17 October 2024.