Molto spesso tutto ciò che gli artisti cercano nel loro percorso espressivo è l’essenza più profonda dell’essere umano, delle sue sfaccettature complesse che si svelano semplicemente da uno sguardo colto di sfuggita ma capace di racchiudere tutto un mondo che può fuoriuscire grazie alla sensibilità dell’esecutore di un’opera in virtù della quale quest’ultimo riesce a coglierne l’inconsapevole messaggio. Lo stile più funzionale a questo tipo di interpretazione del fare arte è senz’altro quello figurativo, spesso realista ma in altri casi meno definito e più soggetto alle sfumature emozionali attraverso le quali il creativo riesce a infondere all’atmosfera la medesima intensità percepita nell’istante dell’osservazione. La protagonista di oggi mostra la capacità di sapersi tenere in equilibrio tra una tendenza narrativa perfettamente aderente alla realtà, e quella che la induce a mettere invece in primo piano le sensazioni e le percezioni che riceve dai suoi soggetti, come se essi stessi assumessero maggiore rilevanza proprio in virtù del suo approccio empatico.
L’importanza del ritratto nel percorso dell’arte di ogni tempo è stata indiscutibilmente sottolineata dai grandi maestri del passato, dunque legati a una rappresentazione più tradizionale, e poi riattualizzata a tutte quelle innovazioni e cambiamenti stilistici che si sono susseguiti a partire dall’Ottocento in avanti, quando cioè gli autori cominciavano a sentire l’esigenza di sperimentare nuovi linguaggi e nuovi modi di interpretare ciò che veniva visto. In particolar modo il Realismo cominciò a spostare l’attenzione dalle classi più privilegiate, che potevano permettersi di commissionare il proprio ritratto ai pittori, al popolo, alla classe di lavoratori immortalati nelle loro espressioni più spontanee nel momento in cui erano impegnati a svolgere i loro compiti quotidiani. Gustave Courbet con il suo Le déséspéré è stato un simbolo della tendenza a raffigurare l’essere umano non più nel suo aspetto migliore, quello della posa assunta per essere dipinto dall’artista, bensì in quello più immediato e genuino. Con l’Impressionismo si tornò verso una ricerca dell’equilibrio perfetto, della narrazione della bellezza e dell’armonia con in più però la poliedricità visiva ed emozionale di quei tocchi brevi di colore che arricchivano di luce e di vivacità i ritratti della nobiltà eseguiti, per esempio, da Giovanni Boldini. Nel momento in cui però alla ricerca della bellezza si sovrappose l’esigenza di mostrare l’emozione, che condusse alla nascita dell’Espressionismo, tutto ciò che divenne prioritario anche nel ritratto fu il sentire, la narrazione del soggetto esecutore, il pittore, sulla base del suo pensiero nei confronti dei soggetti protagonisti di cui venivano messe in evidenza le ansie, le angosce o l’ipocrisia borghese, come nel caso delle opere di Oskar Kokoschka. L’avvento del Realismo Magico aprì però le porte a un altro tipo di osservazione, quella che andava oltre lo sguardo e indagava il mistero dietro quel senso di straniamento e di apparente calma fuoriuscendo dalla tela per coinvolgere il fruitore; il ritratto ha dunque attraversato i secoli artistici riattualizzandosi e assumendo sfumature diverse sulla base del movimento di appartenenza degli autori, conquistando un posto di primo piano anche nell’Art Déco di Tamara de Lempicka, nella Pop Art di Andy Warhol e di Roy Lichtenstein, nell’Iperrealismo di Chuck Close. L’artista di origini kazake Ludmilla Robers, da anni residente in Germania, sceglie il ritratto come suo linguaggio espressivo declinandolo sulla base delle sue sensazioni, delle emozioni che riceve nel momento dell’ascolto visivo dei suoi protagonisti di cui sa mettere in risalto l’aspetto esteriore in stretta correlazione con un’interiorità che si svela nel momento in cui gli occhi dell’artista si posano sulla persona, intesa nella sua complessità, nella capacità di lasciar trasparire la propria essenza in quel momento che intercorre tra la consapevolezza di essere di fronte a qualcuno che immortalerà la sua immagine e quello in cui non è ancora completamente pronto a interpretare il personaggio che si è imposto di interpretare.
Il talento di Ludmilla Robers è infatti esattamente quello di essere in grado di insinuarsi all’interno di un preciso frangente di incoscienza che mette a nudo le sensazioni che i protagonisti vorrebbero invece proteggere, la sua sensibilità la spinge ad approfondire ciò che altrimenti verrebbe nascosto dalla patina di apparenza, dalla superficie protettiva attraverso cui le persone tendono a voler mostrare la loro facciata più impeccabile e bella.
Ecco il motivo per il quale l’artista tende a decontestualizzare le ambientazioni, ad agire sui volti con colate di colore, con un’irrealtà cromatica attraverso la quale enfatizza tutto ciò che viene emanato dal soggetto rappresentato, di cui ciò che rimane invece perfettamente reale e vivo è lo sguardo, quello scrigno di pensieri, di sensazioni, di ricordi, che sembrano letteralmente calamitare l’attenzione di chiunque si ponga davanti a una delle sue intense opere.
Dunque l’evanescenza dei soggetti dipende da ciò che Ludmilla Robers percepisce nel momento dell’ascolto, di quella fase in cui si pone come soggetto ricevente dello stato d’animo del protagonista, lo filtra attraverso la sua sensibilità empatica e poi lo lascia fuoriuscire sulla tela, senza dominarlo con la razionalità bensì raccontandolo con la spontaneità di un gesto che sembra essere guidato dalla pura intuizione.
Nella tela Alice im Lamettaland (Alice nel Paese delle Meraviglie), l’immaginazione di Ludmilla Robers si spinge a voler raccontare il disorientamento ma anche la perplessità della bambina che da un lato è timorosa di addentrarsi in un mondo sconosciuto e bizzarro ma dall’altro ne è incuriosita e sembra voler cercare sostegno nell’osservatore al suo desiderio di scoprire quali altre sorprese le riserverà quel passaggio nella dimensione fiabesca davanti a sé. Il mondo fantastico è evocato dall’artista attraverso quelle che sembrano essere bolle di sapone ma forse in realtà potrebbero anche essere idee, pensieri o desideri che fluttuano intorno al volto della ragazzina che è indecisa e al contempo affascinata da ciò in cui si sta avventurando; in questa tela viene sottolineata l’importanza per i giovani di mantenere viva la capacità di giocare e di immaginare invece di trascorrere ore e ore davanti a schermi di computer o di cellulari che appiattiscono la fantasia e la capacità di sognare.
In Mutter Afrika invece l’ambientazione è più solenne, così come regale è l’aspetto della donna protagonista che appare quasi come una regina africana che racchiude in sé tutta la tradizione e la saggezza di un popolo lontano e considerato assolutamente distante per tradizioni da quello occidentale, ma altrettanto pieno di storia, di usi e di costumi che hanno bisogno di essere scoperti quanto quelli delle culture più note. Qui l’apporto espressionista si svela sia nello sfondo che nell’abito e nel copricapo della donna, dove Ludmilla Robers sembra voler evocare le radici degli arbusti della savana per sottolineare quanto il popolo africano sia rispettoso della natura che deve essere mantenuta intatta per non compromettere i delicati quanto perfetti equilibri.
Nell’opera Love story in the 20s invece a emergere è il tratto realista malgrado l’aspetto e lo sguardo dei due protagonisti sia più vicino al Realismo Magico perché entrambi, probabilmente una coppia secondo il suggerimento del titolo, guardano di fronte a sé, quasi volessero comunicare all’osservatore il loro orgoglio per aver trovato la persona giusta, quell’opposto complementare che li fa sentire appagati e completi; Ludmilla Robers gioca con le geometrie e i colori primari strizzando l’occhio a quel De Stijl che tanto aveva dominato il mondo artistico dei primi decenni del Novecento, contrapponendo l’essere fuori dagli schemi dei due protagonisti che scelgono di assecondare e ascoltare la propria natura a prescindere dalle opinioni esterne o dal giudizio, spesso ottuso, della società, al rigore delle linee e dei riquadri cromatici che suggeriscono la perfetta complementarità delle loro due personalità. Ecco dunque che l’apparente opposizione delle tonalità dei campi cromatici rinchiusi all’interno di forme geometriche sta a sottolineare l’armonia e la compensazione reciproca che i due sentono stando insieme.
Dunque gli occhi, lo sguardo, sono il punto focale della pittura di Ludmilla Robers che non smette mai di lasciarsi affascinare dalle emozioni umane che vibrano all’interno della sua interiorità da cui è stimolata a raccontarle, esplorarle, interpretarle attraverso la pittura che ha da sempre costituito la sua passione più grande, quella che l’ha accompagnata per tutta la sua vita malgrado abbia scelto solo recentemente di trasformarla nella sua occupazione principale. Attualmente ha al suo attivo la partecipazione a mostre personali in Germania e collettive in Germania, Austria e in Italia, mentre nei prossimi mesi sarà presente al Montecosaro City Price che avrà luogo dal 7 al 27 Luglio, poi a Firenze dal 9 al 17 novembre e infine a Milano a dicembre.
LUDMILLA ROBERS-CONTATTI
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The observation of faces as research into human nature in the artworks by Ludmilla Robers, poised between Realism and Expressionism to give life to a tale of emotions
Very often all that artists seek in their expressive journey is the deepest essence of the human being, of its complex facets that are revealed simply by a glance caught in passing but capable of encompassing a whole world that can come out thanks to the sensitivity of the executor of an artwork by virtue of which the latter is able to grasp its unconscious message. The most functional style for this type of interpretation of making art is undoubtedly the figurative one, often realistic but in other cases less defined and more subject to the emotional nuances through which the creative person manages to infuse the atmosphere with the same intensity perceived in the instant of observation. Today’s protagonist demonstrates the ability to keep herself balanced between a narrative tendency that is perfectly adherent to reality, and one that leads her to instead foreground the sensations and perceptions she receives from her subjects, as if they themselves took on greater relevance precisely by virtue of her empathetic approach.
The importance of the portrait in the course of art throughout the ages was unquestionably emphasised by the great masters of the past, thus linked to a more traditional representation, and then re-emphasised by all those innovations and stylistic changes that took place from the 19th century onwards, when authors began to feel the need to experiment with new languages and new ways of interpreting what was seen. In particular, Realism began to shift the focus from the more privileged classes, who could afford to commission their portraits from painters, to the people, to the working class immortalised in their most spontaneous expressions as they went about their daily tasks. Gustave Courbet with his Le déséspéré was a symbol of the tendency to depict the human being no longer in his best aspect, that of the pose assumed to be painted by the artist, but in his most immediacy and genuineness. With Impressionism there was return of the search for perfect balance, for the narration of beauty and harmony with the addition, however, of the visual and emotional versatility of those brief touches of color which enriched the portraits of the nobility painted with light and liveliness, for example, by Giovanni Boldini. At the moment, however, when the quest for beauty was overlaid by the need to show emotion, which led to the birth of Expressionism, all that became a priority even in portraiture was the feeling, the narration of the subject executor, the painter, based on his thoughts about the protagonists whose anxieties, anguishes or bourgeois hypocrisy were highlighted, as in the case of the artworks of Oskar Kokoschka.
The advent of Magic Realism, however, opened the door to another kind of observation, one that went beyond the gaze and investigated the mystery behind that sense of estrangement and apparent calmness by stepping outside the canvas to involve the viewer; the portrait has thus traversed the artistic centuries, updating itself and taking on different nuances according to the movement to which its authors belong, gaining a prominent place in Tamara de Lempicka‘s Art Deco, Andy Warhol‘s and Roy Lichtenstein‘s Pop Art, and Chuck Close‘s Hyperrealism. The Kazakh-born artist Ludmilla Robers, who is living in Germany from many years, chooses portraiture as her expressive language, declining it on the basis of her sensations, of the emotions she receives when visually listening to her protagonists, whose outward appearance she knows how to highlight in close correlation with an interiority that is revealed the moment the artist’s eyes rest on the person, understood in its complexity, in the ability to let his essence shine through in that moment between the awareness of being in front of someone who will immortalise his image and that in which he is not yet completely ready to interpret the character he has set himself to play.
Ludmilla Robers‘ talent is in fact precisely that of being able to insinuate herself within a precise juncture of unconsciousness that lays bare the feelings that the protagonists would instead like to protect; her sensitivity pushes her to delve into what would otherwise be hidden by the veneer of appearance, by the protective surface through which people tend to want to show their most impeccable and beautiful façade. This is the reason why the artist tends to decontextualise the settings, to act on the faces with drips of colour, with a chromatic unreality through which she emphasises everything that is emanated by the subject represented, of which what remains perfectly real and alive is the gaze, that treasure chest of thoughts, sensations, memories, which seem to literally attract the attention of whoever stands in front of one of her intense artworks. Therefore, the evanescence of the subjects depends on what Ludmilla Robers perceives in the moment of listening, of that phase in which she acts as the receiving subject of the protagonist’s state of mind, filters it through her empathic sensitivity and then lets it out onto the canvas, without dominating it with rationality but telling it with the spontaneity of a gesture that seems to be guided by pure intuition.
In the canvas Alice in Lamettaland (Alice in Wonderland), Ludmilla Robers‘ imagination goes so far as to recount the disorientation but also the perplexity of the little girl who, on the one hand, is afraid of entering a strange and bizarre world but, on the other, is intrigued by it and seems to want to seek support from the observer in her desire to discover what other surprises that passage into the fairy-tale dimension holds in store for her. The fantasy world is evoked by the artist through what appear to be soap bubbles but perhaps in reality they could also be ideas, thoughts or desires that float around the face of the little girl who is undecided and at the same time fascinated by what she is venturing into; in this canvas is underlined the importance for young people of keeping alive the ability to play and imagine instead of spending hours and hours in front of computer or cell phone screens which flatten the imagination and the ability to dream. In Mutter Afrika, on the other hand, the setting is more solemn, just as regal is the appearance of the protagonist woman who appears almost like an African queen who contains within herself all the tradition and wisdom of a people far away and considered absolutely distant in terms of traditions from that of the West, but just as full of history, customs and traditions that need to be discovered as much as those of the better known cultures. Here the expressionist contribution is revealed both in the background and in the woman’s dress and headgear, where Ludmilla Robers seems to want to evoke the roots of the savannah shrubs to emphasise how respectful the African people are of nature, which must be kept intact so as not to compromise the delicate yet perfect balance.
In the canvas Love story in the 20s, on the other hand, it is the realist trait that emerges, even though the look and gaze of the two protagonists is closer to Magic Realism because both of them, probably a couple according to the suggestion of the title, are looking straight ahead, almost as if they wanted to communicate to the observer their pride at having found the right person, that complementary opposite that makes them feel fulfilled and complete; Ludmilla Robers plays with geometries and primary colours, winking at that De Stijl that so dominated the artistic world of the first decades of the 20th century, contrasting the unconventionality of the two protagonists, who choose to indulge and listen to their own nature regardless of external opinions or the often obtuse judgement of society, with the rigour of the lines and colour frames that suggest the perfect complementarity of their two personalities. Here, then, the apparent opposition of the hues of the colour fields enclosed within geometric shapes is to emphasise the harmony and mutual compensation that the two feel when they are together. Thus, the eyes, the gaze, are the focal point of the painting of Ludmilla Robers who never ceases to be fascinated by the human emotions that vibrate within her inner self, from which she is stimulated to tell, explore and interpret them through painting, which has always been her greatest passion, the one that has accompanied her throughout her life, despite the fact that she has only recently chosen to make it her main occupation. She currently has solo exhibitions in Germany and group exhibitions in Germany, Austria and Italy to her credit. In the coming months, she will be present at the Montecosaro City Price from 7 to 27 July, then in Florence from 9 to 17 November and finally in Milan in December.