L’arte contemporanea, in particolar modo quella fortemente concettuale, attinge spesso al sarcasmo per dare una versione dissacrante di quelle piccole e grandi abitudini che contraddistinguono la società attuale, sottolineando quanto l’essere umano possa soffermarsi solo sulla superficie visiva e quanto poco invece sia in grado di andare più a fondo per incontrare il messaggio più autentico e sottile dell’esecutore di un’opera. Vi sono però alcuni artisti che hanno bisogno di abbracciare la linea dell’ironia pur mantenendosi fortemente legati alla figurazione, per esprimere non solo il proprio pensiero e il risultato dell’osservazione del mondo che li circonda, ma anche per conquistare il fruitore in virtù dell’apparente fatuità per poi trascinarlo dentro le profondità del suo punto di vista sulle interazioni tra individui. Il protagonista di oggi effettua nella sua ricerca pittorica esattamente questo percorso dando vita a opere riconducibili ai movimenti più provocatori degli inizi del secolo scorso.
Il corso del primo decennio del Novecento vide alternarsi correnti d’avanguardia destinate, per le loro innovazioni, a rivoluzionare completamente il corso della storia dell’arte, rompendo tutti gli schemi precedenti, anche in modo plateale, e a volte persino scandalizzando i salotti artistici e culturali dell’epoca, ancora legati a precetti precedenti non più al passo con le innovazioni di quel secolo dinamico e veloce. Fu proprio nell’ambito di questo scenario che nacque in Svizzera una corrente che avrebbe gettato le basi per alcuni tra i più importanti e duraturi movimenti che seguirono poco dopo, e che tra le sue caratteristiche principali aveva quella di deridere, prendendo in giro la solennità degli ambienti che intorno all’arte ruotavano e soprattutto la funzione commerciale che ormai la pittura e la scultura avevano assunto. Il Dadaismo, questo il nome del movimento, si proponeva di dissacrare, provocare, scandalizzare attraverso opere sarcastiche, ironiche, che nascondevano sempre una feroce critica nei confronti della società, attraverso l’umorismo e la derisione; Francis Picabia, Man Ray, Marcel Duchamp mostrarono un modo diverso, sovversivo e completamente libero di interpretare l’arte, prendendo velatamente posizioni politiche e contro la guerra che imperversava nel territorio europeo. La linea dell’ironia che doveva indurre a una riflessione profonda fu seguita anche da uno dei maggiori esponenti del poco successivo Surrealismo, René Magritte, che giocava molto sull’ambiguità delle parole e delle immagini ponendo continuamente l’osservatore davanti a doppi sensi e a giochi visivi proprio per stimolare la sua capacità di approfondimento, e dal collega e coevo Max Ernst. Ma l’eredità più piena e completa del Dadaismo fu raccolta dagli appartenenti al NeoDada, la cui denominazione la dice lunga sulle tematiche trattate e su quanto le linee guida precedenti fossero fondamentali, i quali riproposero il tema dell’utilizzo di oggetti che nulla avevano a che fare con l’arte per trasformarli ridicolizzandoli, proprio in opere quotate e battute all’asta, come nel caso di Piero Manzoni e la sua Merde d’artiste. Richard Hamilton utilizzò invece il collage per ironizzare sulla nuova borghesia inglese con tutti i suoi vizi e le sue manie orientate all’inseguimento del mantenimento dello stato sociale attraverso oggetti con cui riempivano le loro case, mentre Jasper Johns introdusse nell’arte elementi della realtà ormai inutilizzati modificando il loro aspetto e assecondandolo alla sua linea espressiva popolare. In tutti questi esponenti dell’arte del Ventesimo secolo emerge in modo chiaro la loro attitudine al suscitare indignazione e scuotere il mondo dell’arte attraverso l’ironia, l’approccio smitizzante nei confronti della pittura e della scultura riscrivendo le regole e inducendo l’osservatore a lasciarsi trasportare dalla loro capacità di essere fuori dagli schemi e di non prendersi mai troppo sul serio. È esattamente seguendo questo filone espressivo che si sviluppa la pittura dell’artista indonesiano Naufal Abshar, il quale fa dello studio della risata e della sua funzione sociale la base principale delle sue opere personalizzando anche la tecnica del collage che usa in maniera non totale, come nel décollage di Mimmo Rotella, bensì la trasforma in accessorio grazie al quale può enfatizzare il soggetto e il concetto che desidera esprimere.
Lo stile fortemente figurativo gli consente di concentrarsi su ciò a cui lui tiene di più, e cioè quello studio sulla funzione dell’atto del ridere
che da un lato conquista per la sua leggerezza, per la contagiosità attraverso cui riesce a strappare il sorriso a chiunque si trovi davanti a una sua tela, ma dall’altro spinge alla riflessione su ciò che provoca la risata, sia esso un disagio, una derisione, una necessità di esorcizzare le proprie paure, o il disadattamento sociale e la follia.
Laddove alcune opere siano dunque apertamente e dichiaratamente legate all’ilarità, altre invece mostrano un approccio molto più sottile, più autocritico e quasi sarcastico non tanto nei confronti dei soggetti in sé, piuttosto nei confronti di una società contemporanea che insegue il possedere piuttosto che l’essere, che ha paura di mettersi a nudo e di convivere con i propri sentimenti e che spesso nasconde dietro una finta felicità le incertezze e i disagi del vero vivere.
L’opera I cannot afford love è chiara espressione del lato più sdrammatizzante della produzione di Naufal Abshar poiché qui emerge l’incapacità dell’uomo moderno di convivere con emozioni impossibili da governare, diversamente dai soldi e dal potere economico che solleticano il lato edonistico e materialista della vita; l’individuo di cui racconta l’artista potrebbe essere un milionario, un influencer, un self made man, come si legge dalle frasi sapientemente posizionate ai lati del collo e della testa-cartello, che ha messo in secondo piano tutto ciò che avrebbe potuto deviarlo dal proprio scopo, quello di accumulare beni e denaro rendendosi pertanto arido, arrivista, concentrato solo sull’avere al punto di dimenticare che per raggiungere la vera felicità bisogna essere, condividere, aprirsi a quel mondo emotivo senza il quale nessuno potrà mai essere completo. Il cartello che sostituisce la testa gioca con le parole e cancella la parola art sostituendola con love, perché una volta che si è raggiunto il benessere economico e ci si può permettere di acquistare tutto, può diventare irraggiungibile proprio ciò che invece sarebbe alla portata di tutti perché l’amore, il sentimento, è racchiuso dentro ogni essere umano se solo ricordasse di guardarsi dentro e di smettere di inseguire solo l’appagamento materiale.
In Mind your own business emerge tutto il lato umoristico e al contempo sagace di Naufal Abshar che prende in giro gli uomini di affari, orientati al controllo dei propri beni e della propria carriera, talmente ossessionati dalla gestione dei patrimoni e dall’andamento dei mercati da non voler perdere tempo neanche in bagno; anche qui l’ironia fuoriesce dal gioco di parole del titolo poiché la frase può essere un’esortazione a seguire i propri interessi oppure un’intimazione a non mettere il naso negli affari degli altri, come di fatto l’uomo sta facendo leggendo il giornale. L’approccio umoristico della scena viene enfatizzato dalla censura delle parti intime effettuata attraverso una copertura con il fonosimbolo della risata e il sottolineare che l’episodio narrato è ambientato nel primo giorno della settimana, quando tutto riparte dopo la pausa del week end, quasi come se quest’ultimo fosse uno stop forzato nell’arrivismo dell’uomo contemporaneo.
In The inappropriate laugh invece, Naufal Abshar mette in luce una delle sfaccettature dell’atto del ridere, quello in cui si è convinti di essere divertenti, forse per la troppa sicurezza in se stessi, ottenendo invece il risultato contrario, e cioè di rendersi ridicoli e detestabili, o compatibili, da parte di chi sta ascoltando; l’uomo protagonista è in piedi, sembra aver ottenuto la parola dopo aver atteso pazientemente il suo turno e sproloquia terminando con un’inopportuna risata a cui gli altri assistono con commiserazione, tranne un personaggio alle sue spalle, forse l’unico a condividere il suo stesso approccio alla vita oppure quello che coglie il lato grottesco della scena davanti a sé.
Le opere, tutte di grandi dimensioni, sono spesso composte da diverse tele disposte in maniera sovrapposta e sfalsata, non lineare, e tutte presentano la caratteristica di avere delle indicazioni verbali al loro interno, enfatizzando così il significato dell’immagine raccontata e soprattutto mettendo in evidenza l’importanza dell’apparenza e del materialismo della società attuale.
Naufal Abshar ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive in Indonesia e all’estero – Singapore, Jogja, Venezia e Lituania -. Nel 2013 ha vinto il primo premio del concorso di pittura dal vivo dell’Indonesia Arts Festival.
NAUFAL ABSHAR-CONTATTI
Sito web: https://www.cohart.com/u/naufalabshar
Instagram: https://www.instagram.com/naufalabshar/
Contemporary art, especially strongly conceptual art, often draws on sarcasm to give a desecrating version of the small and big habits that characterise today’s society, emphasising how much the human being can only dwell on the visual surface and how little he is able to go deeper to meet the more authentic and subtle message of the author of an artwork. There are, however, some artists who need to embrace the line of irony while remaining strongly linked to figuration, in order to express not only their own thoughts and the result of their observation of the world around them, but also to captivate the viewer by virtue of their apparent fatuity and then draw him into the depths of their view of the interactions between individuals. Today’s protagonist carries out exactly this path in his pictorial research, creating works that can be traced back to the most provocative movements of the early year of the past century.
The course of the first decade of the 20th century saw alternating avant-garde currents destined, due to their innovations, to completely revolutionise the course of art history, breaking all previous schemes, even in a blatant manner, and at times even scandalising the artistic and cultural salons of the time, still tied to previous precepts that were no longer in step with the innovations of that dynamic and fast-paced century. It was within this scenario that was born in Switzerland a current that would lay the foundations for some of the most important and long-lasting movements that followed shortly afterwards, and which among its main characteristics had that of mocking the solemnity of the circles that revolved around art and above all the commercial function that painting and sculpture had by then assumed. Dadaism, this was the name of the movement, set out to desecrate, provoke, scandalise through sarcastic, ironic works, which always concealed a fierce criticism of society, through humour and mockery; Francis Picabia, Man Ray, Marcel Duchamp showed a different, subversive and completely free way of interpreting art, veiledly taking political positions and against the war raging in Europe. The line of irony that was meant to induce profound reflection was also followed by one of the greatest exponents of the little following Surrealism, René Magritte, who played a lot on the ambiguity of words and images by continually placing the observer in front of double meanings and visual games precisely to stimulate his ability to investigate, and by his colleague and contemporary Max Ernst. But the fullest and most complete legacy of Dadaism was collected by the members of NeoDada, whose name says a lot about the topics covered and how fundamental were the previous guidelines, who re-proposed the theme of the use of objects that had nothing to do with art to transform them by ridiculing them, precisely in works listed and auctioned off, as in the case of Piero Manzoni and his Merde d’artiste. Richard Hamilton, on the other hand, used collage to ironise the new English bourgeoisie with all its vices and foibles geared towards the pursuit of maintaining social status through objects with which they filled their homes, while Jasper Johns introduced unused elements of reality into art by modifying their appearance and indulging it in his popular epressive line.
In all of these exponents of 20th century art emeres clearly their aptitude for arousing indignation and shaking up the art world through irony, their demythologising approach to painting and sculpture, rewriting the rules and inducing the observer to be carried away by their ability to be unconventional and never take themselves too seriously. It is exactly along these expressive lines that the painting of the Indonesian artist Naufal Abshar develops. He makes the study of laughter and its social function the main basis of his works, also personalising the technique of collage, which he does not use totally, as in Mimmo Rotella‘s decollage, but rather transforms it into an accessory with which he can emphasise the subject and the concept he wishes to express. His strongly figurative style allows him to concentrate on what he cares most about, namely his study of the function of the act of laughing, which, on the one hand, conquers through its lightness, through the contagiousness with which it manages to bring a smile to the face of anyone standing in front of one of his canvases, but on the other hand, it prompts reflection on what provokes laughter, whether it be discomfort, mockery, a need to exorcise one’s fears, or social maladjustment and madness.
While some artworks are thus openly and avowedly linked to hilarity, others instead show a much more subtle, more self-critical and almost sarcastic approach not so much towards the subjects themselves, but rather towards a contemporary society that pursues possession more than being, that is afraid to bare its soul and live with its feelings, and that often hides the uncertainties and discomforts of real living behind a feigned happiness. The artwork I cannot afford love is a clear expression of the more downplaying side of Naufal Abshar‘s production, since here emerges the inability of modern man to live with emotions that are impossible to govern, unlike money and economic power that tickle the hedonistic and materialistic side of life; the individual of whom the artist speaks could be a millionaire, an influencer, a self-made man, as we can read from the sentences cleverly placed on the sides of the neck and the head-sign, who has put everything that could deviate him from his purpose, that of accumulating goods and money, in the background, thus making himself arid, an arriviste, focused only on having to the point of forgetting that to achieve true happiness one must be, share, open up to that emotional world without which no one can ever be complete.
The sign that replaces the head plays with words and erases the word art, replacing it with love, because once one has achieved economic well-being and can afford to buy everything, can become unattainable precisely what would be within everyone’s reach because love, feeling, is inside within every human being if only he remembered to look inside himself and stop chasing only material satisfaction. In Mind your own business, emerges Naufal Abshar‘s humorous and at the same time witty side as he pokes fun at businessmen who are so obsessed with controlling their own assets and careers, who are so obsessed with asset management and market trends that they don’t want to waste time even in the bathroom; here too, the irony emerges from the play on words in the title as the phrase can be an exhortation to follow one’s own interests or an admonition not to stick one’s nose into other people’s business, as the man is in fact doing by reading the newspaper.
The humorous approach of the scene is emphasised by the censoring of intimate parts by covering them with the laughing phonogram and by emphasising that the narrated episode is set on the first day of the week, when everything starts again after the break of the weekend, almost as if the latter were a forced stop in the careerism of contemporary man. In The Inappropriate Laugh, on the other hand, Naufal Abshar sheds light on one of the facets of the act of laughing, that in which one is convinced of being funny, perhaps due to too much self-confidence, instead achieving the opposite result, namely to make oneself ridiculous and detestable, or compatible, by those who are listening; the man protagonist is standing, seems to have been given the floor after waiting patiently for his turn, and rambles, ending with an inappropriate laugh, which the others watch in pity, except for one character behind him, perhaps the only one who shares his approach to life, or the one who grasps the grotesque side of the scene before him. The artworks, all large in size, are often composed of several canvases arranged in a staggered and overlyned, non-linear manner, and all have the characteristic of having verbal indications within them, thus emphasising the meaning of the image being told and above all highlighting the importance of appearance and materialism in today’s society. Naufal Abshar has to his credit the participation in group exhibitions in Indonesia and abroad – Singapore, Jogja, Venice and Lithuania -. In 2013, he won first prize in the Indonesia Arts Festival live painting competition.
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