Il Rinascimento è stato un momento saliente nel corso della storia dell’arte scultorea, perché fino a quel momento non vi era differenza tra un artigiano, un operaio e un artista plastico; fu il grande Michelangelo che, opponendosi al volere del padre, elevò la tecnica al rango di arte. Da quel momento in avanti le sperimentazioni e gli stili furono molteplici, così come i materiali utilizzati per raccontare personaggi ma anche sensazioni e concetti, espressività quest’ultima che si è manifestata soprattutto nel Novecento durante il quale tutto il campo artistico è stato investito dalla ricerca di nuovi linguaggi, nuovi approcci più affini a un inedito modo di vivere, di sentire e di percepire la realtà circostante. I più grandi artisti di quel secolo di cambiamenti, da Alberto Giacometti a Constantin Bràncusi da Alexander Calder al più astratto Heny Moore, avevano in comune la tendenza a utilizzare materiali che infondessero nell’osservatore una maggiore idea di leggerezza, allontanandosi dunque dall’uso dei più tradizionali marmo, granito, travertino, per esprimersi attraverso il ferro, il bronzo, l’alluminio, più accordabili ai concetti esistenziali, agli interrogativi e all’essenzialità che hanno caratterizzato gli artisti del Ventesimo secolo. Paolo Mariotti, pesarese di nascita, affronta il proprio cammino artistico secondo le modalità del passato, frequentando fin da giovanissimo la bottega di un fabbro grazie al quale apprende tutte le tecniche artigiane che sono diventate la base fondante della sua successiva manifestazione creativa, quella che a differenza della tecnica può fuoriuscire solo se realmente parte dell’essenza dell’individuo.
In lui l’atto del dare vita a un’emozione, a una sensazione, a un concetto, diviene vitale, fondamentale per raccontare il proprio punto di vista sul mondo contemporaneo, sui suoi dubbi, sui profondi legami con un passato di leggende e di miti che, tutto sommato, possono essere riattualizzati seguendo la linea di un presente che a volte ha bisogno di conferme, di legami solidi, di guardarsi indietro per scoprire cosa si nasconde, nel presente, oltre il visibile confuso dalla velocità e la distrazione del vivere attuale. Lo stile scultoreo di Paolo Mariotti si pone come polo di congiunzione tra Surrealismo e Arte Concettuale, poiché da un lato è fortemente presente il legame con la mitologia classica che diviene metafora delle debolezze dell’uomo contemporaneo, dall’altro è evidente l’esistenzialismo che ha bisogno del simbolo, dell’apparenza dell’oggetto per narrare i dubbi e gli interrogativi che non possono rimanere inascoltati.
L’opera La solitudine è particolarmente rappresentativa della vena più filosofica di Mariotti, sembra descrivere il momento della vita in cui ci si trova a fare i conti con se stessi, con le radici e i rami familiari rappresentati dal grande albero, eppure consapevoli di dover far fronte agli eventi contando solo sulle proprie forze; in qualche modo il senso di vuoto raccontato attraverso quella piccola panchina sembra amplificare la sua eco fino a renderla più grande dello stesso albero sotto cui è situata.
E ancora nella scultura I due mondi, la mano che in modo quasi materno sorregge la galassia appare al tempo stesso come forza contrastante l’opposta figurazione, quella che sembra voler determinare l’esatto assetto di quei due mondi vicini, allineati ma separati, raccontando forse il costante conflitto di personalità che si genera nella vita quotidiana in cui gli individui cercano di combattersi piuttosto che accogliere le differenze e accettarle come espressioni di modi di pensare e di vedere semplicemente diversi. Spesso è proprio dalla competizione che si generano inutili lotte che riescono solo a disperdere energie che potrebbero essere impiegate a trovare un’armonia.
In Sole e luna, affascinante metafora dell’amore impossibile, quella degli eterni amanti destinati a non poter mai stare insieme, Paolo Mariotti suggerisce sottovoce quanto sia importante cogliere quell’attimo emotivo in grado di risolvere le divergenze, di permettere a due anime di incontrarsi proprio ricordando all’osservatore quanto sia impossibile farlo per qualcuno che invece sarebbe disposto a compiere qualunque gesto pur di avere la possibilità di realizzare un’unione impossibile.
La bellezza delle opere di Mariotti si fonde con il concetto che l’artista desidera nascondervi, accompagnandole a una leggerezza nella forma che ha il potere di affascinare l’osservatore che, di volta in volta, è indotto a ricercare il messaggio, ad andare oltre ciò che lo sguardo cattura per interrogarsi sul significato che l’oggetto raccontato sta assumendo; è questo il processo naturale che si sprigiona guardando L’evoluzione, Geometrie tridimensionali, forse la più concettuale tra tutte le sue sculture, ma anche DNArt in cui l’artista gioca con il tema della genetica auspicando forse una generazione in cui tutta l’umanità possa andare verso l’arte e trasformarla nel mezzo per rendere il mondo stesso un posto più bello.
Le sue opere fanno parte di numerose collezioni private ma solo recentemente Paolo Mariotti ha deciso di esporle e di partecipare a mostre collettive, dove finalmente pubblico e critica possono fruire del fascino della sua creatività. Nel mese di febbraio 2020 ha ricevuto il Premio Regione Marche alla Rassegna Internazionale d’Arte Città di Sant’Elpidio.
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