Dal 17 novembre è in radio, negli store e sulle piattaforme “Paura di crescere” (Zelda Music/Believe) il nuovo singolo di Oliver che ancora una volta è sia compositore, insieme a Roberto Gramegna, che l’autore del testo, oltre che l’interprete, prodotto da Vince Tempera, oggi fuori il video. Con “Paura di crescere” Oliver esprime il disagio giovanile e la difficoltà di affrontare le sfide della vita nella parte di “adulto”. È lo specchio di una generazione che spesso si trova sola di fronte ad ansie, problemi ed emozioni e che difficilmente trova spazio nei vari cliché comportamentali.
L’artista ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Paura di crescere” è il tuo nuovo singolo, com’è nato e da quale esigenza?
Paura di crescere è nato un anno fa ad agosto. Ero al mare e mi ricordo che iniziai a comporla dalla finestra di casa mia. Era un anno di grosso cambiamento per me perché avevo appena finito le superiori e stavo per iniziare l’università, cambiare città ed amici. Con questo brano racconto di come sono cresciuto in fretta e soprattutto di quanto velocemente il tempo sia passato per me. Per questo diviene fondamentale apprezzare ogni momento della vita. Molti ragazzi della mia età o anche più giovani fanno fatica ad esprimere i propri sentimenti o emozioni perché hanno paura di essere “esclusi”. “Paura di crescere” vuole incoraggiare i giovani ad uscire da questo disagio e soprattutto esprimerci liberamente qualsiasi cosa vogliano.
Quali sono secondo te le principali difficoltà della tua generazione e come possono essere superate?
Non pretendo di rappresentare tutta la mia generazione, quindi parlo da un punto di vista personale. Per prima cosa c’è una dipendenza eccessiva dalla tecnologia da parte della nostra generazione. Invece che “vivere veramente” preferiamo “stare a casa” sempre online o giocando ai videogiochi. Rinunciamo a del tempo prezioso per stare incollati ad uno schermo. Anch’io io ho in parte questo problema: il telefono l’ho sempre con me 24/7, lo spengo solo la notte. La situazione coronavirus, inoltre, non è assolutamente da sottovalutare per l’impatto che sta avendo e avrà sui comportamenti della mia generazione in futuro. Particolarmente in Italia abbiamo una cultura sociale aperta che in passato ci ha permesso di esprimere affetto e contatto fisico con le persone. Adesso, invece, ci siamo ormai abituati a stare in casa e mantenere le distanze. Credo sarà difficile che potranno tornare gli standard di prima. Capisco che il distanziamento sociale e le precauzioni di sicurezza per proteggerci in questo momento siano giusti e necessari. Allo stesso tempo, però, sento che non sto vivendo momenti fondamentali e sto perdendo esperienze che ogni ventenne vorrebbe vivere. Anche cose semplici come andare in università a frequentare i corsi o organizzare una bella serata con gli miei amici, ora non sono possibili. Un’altra difficoltà generazionale che vorrei aggiungere è che troppi ragazzi oggi vogliono sempre far parte di un gruppo. Di conseguenza si snaturano per poter piacere agli altri e si comportano in modi che non appartengono a loro ma al modello del gruppo. Anche a me è accaduto a volte quando ero più piccolo. Poi ho capito quanto è bello e gratificante scoprire sé stessi e vedere quali sono le cose che piacciono al posto di farsi piacere o addirittura sottostare a quello che va di moda al momento. Da questo punto di vista sono orgoglioso di essere un ragazzo moderno ma indipendente nel modo di pensare e affrontare le persone.
Che cosa rappresenta per te la musica e come ti sei avvicinato a questo mondo?
La musica per me è tutto, e non sto enfatizzando. Se sono triste ascolto musica, o meglio faccio musica, se sono felice lo stesso. La musica per me c’è sempre. La ascolto o la suono per ore ogni giorno. Mi sono avvicinato a questo mondo alla bellezza di 5/6 anni quando mi portarono alla mia prima lezione di pianoforte. Da lì m’innamorai dello strumento e non guardai più indietro. Ad 8 anni ho iniziato a cantare, a 12 a comporre. Ora dopo 14 anni dalla prima volta che ho suonato un tasto sono motivato per far diventare la musica la mia carriera e di non “mollare” il mio sogno.
La sua adolescenza sono caratterizzate da spostamenti, come hai vissuto questi anni?
Sicuramente non è facile cambiare ambiente, specialmente quando sei ancora bambino o adolescente come è accaduto a me. La prima volta che mi trasferii in un altro luogo avevo 10 anni: da Colonia, la mia città natale, mi spostai a Monaco di Baviera dove ci rimasi per un paio di anni. In tutto questo primo periodo della mia vita ho viaggiato davvero tanto con i miei genitori e ho visto molto del mondo… La mia seconda volta fu da Monaco di Baviera a Verona, avevo 12 anni e il divorzio dei mie genitori in corso. L’ultima da Verona a Milano, lo scorso anno. La più difficile è stata la seconda volta perché i miei si erano appena separati. Questo per me ha rappresentato un grandissimo cambiamento sia per la mutata situazione della famiglia ma anche per lo sforzo culturale di ricominciare una nuova vita in Italia e da adolescente, dopo che avevo trascorso la mia infanzia in Germania. Adesso tutti questi spostamenti li guardo in modo positivo fanno parte di me e della mia capacità di rapportarmi con il mondo in modo aperto e curioso, e soprattutto mi hanno dato la possibilità di avere amici ovunque. Il cambiamento è complicato, può far male ma alla fine porta sempre qualcosa di nuovo e positivo nella tua vita.
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