Le politiche volute da banche e aziende hanno creato un “effetto boomerang”. Bugie e fallimenti
In tema di banche, i nostri Presidenti del Consiglio prendono dei granchi colossali e continuano a mietere figuracce. Silvio Berlusconi, per molte volte, dopo la crisi del 2008, affermò:
“Il nostro sistema economico ha retto l’urto della crisi meglio di tanti altri paesi e le nostre banche sono solide”.
Poco tempo dopo vennero fuori tutti i misfatti, col relativo default, del Monte dei Paschi di Siena, salvato, con i soldi dei contribuenti, dal governo Monti”. Dopo il crollo delle ormai note quattro banche di piccole-medie dimensioni (Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Chieti, Banca delle Marche e Cassa di Risparmio di Ferrara), Matteo Renzi tranquillizzò gli animi:
“Il nostro sistema bancario è solidissimo e la Germania se lo sogna, uno scenario come il nostro”.
Dopo un mese circa da questa scellerata sortita, i media hanno centrato l’attenzione sulla crisi di un istituto piuttosto importante, giudicato l’undicesimo gruppo bancario più ricco d’Italia. Stiamo parlando della Banca Popolare di Vicenza, detentrice di 682 quote della Banca d’Italia che la rendono il trentaduesimo azionista per rilevanza. La Banca d’Italia a sua volta è azionista della Bce.
L’istituto veneto dunque, partecipa ai dividendi derivanti dai prestiti operati dalla Banca Centrale Europea. Una banale verità
Il motivo per cui le banche falliscono è molto semplice. Ancora oggi esse traggono la maggior parte del loro profitto dai prestiti. In un periodo di ormai cronicizzata recessione come quello attuale, le società di credito italiane sono indotte a prestare pochi soldi perché solo una minoranza della popolazione può dare sufficienti garanzie. É chiaro però che così facendo guadagnano meno.
Nello scenario economico attuale, anche quando gli istituti di credito prestano liquidità ad aziende che sembrano solide, ricevono da queste operazioni un notevole danno. Tali attività produttive, infatti, falliscono a volte inaspettatamente, lasciando il creditore in difficoltà.
Il boomerang delle banche e quello delle aziende
Il paradosso è nel fatto che proprio la politica economica voluta dalle banche si ritorce contro di esse. Nel sistema produttivo si è registrato un fenomeno analogo.
Dagli anni ’90 i governi e le elite economiche trovarono delle soluzioni per desalarizzare i dipendenti, come, ad esempio, i contratti flessibili. I sindacati in tale fragente mostrarono poca combattività, mentre dieci o venti anni prima davano vita ad imponenti proteste per questioni di minore importanza.
Le aziende, pensando di massimizzare i profitti risparmiando sul costo del lavoro, sono state colpite da un boomerang. Se le imprese pagano meno milioni di lavoratori, infatti, questi ultimi consumano meno e comprano meno i servizi e i prodotti che esse vendono.
Gli industriali dunque mettono in moto un meccanismo pensato per guadagnare di più ma che li danneggia. Allo stesso modo, se le banche operano, tramite la complicità dei governi che ne sono il braccio, politiche recessive, fatte di tagli e tasse, i soldi di tali cespiti vanno a loro con vari stratagemmi e giustificazioni.
Gli enti creditizi pensano così di guadagnarci, ma a quel punto le masse non hanno più risorse reddituali per garantire i prestiti e le perdite risultano ben maggiori.