Dopo il crollo del muro di Berlino, molti paesi dell’est europeo si svincolarono decisamente dall’influenza della Russia (che di lì a poco non fu più Urss) ed aprirono le porte all’economia di mercato, registrando incrementi nel “prodotto interno lordo” talora impressionanti. La Polonia aveva incominciato questo processo qualche anno prima con Solidarnosc. Nonostante Lech Walesa sia vilipeso e deriso da molti suoi connazionali oggi, sotto il suo governo si ebbe un grosso incremento degli scambi commerciali.
Benefici per imprenditori e investitori
Nei paesi dell’ovest (tra cui l’Italia) si accentuò rapidamente la tendenza a dislocare gli insediamenti a beneficio delle nazioni emergenti. I vantaggi erano e sono ancora molti. Nel mondo post-comunista si trovava della manodopera a basso costo e spesso competente, per giunta, grazie all’esperienza pregressa nei settori cantieristico-navali e in alcuni tipi di manifattura.
Oggi molti industriali si compiacciono della scarsa rappresentanza dei diritti dei lavoratori: in Albania e in Romania, ad esempio, i sindacati hanno scarso peso e sono quasi inesistenti. Anche la tassazione, ad est, è mediamente più vantaggiosa e i governi locali facilitano l’ingresso di nuovi investitori nello scenario del paese. In Ungheria si è puntato recentemente su tassi bancari vantaggiosi per attrarre capitali esteri.
Non si può negare che le popolazioni al di là della ormai soppressa “cortina di ferro” hanno tratto giovamento dall’incontro con l’Europa grassa, gravida di benessere al punto da risentirne in termini di efficienza.
Nel comunismo era difficile poter viaggiare, ancora di più emigrare. “Immagina che sfiga”: nascevi in un paese povero, lavoravi come un mulo ma anche se eri più bravo e più produttivo degli altri ottenevi gli stessi benefici materiali di uno meno meritevole.
Non solo: se cercavi di fuggire da questa “repubblica popolare della sfiga”, non potevi farlo perchè lo stato, come una madre-matrigna, ti teneva stretto a sè in un abbraccio poco rassicurante. In molti hanno colto l’occasione per emigrare in paesi dove i salari sono enormemente superiori e comunque più vantaggiosi in rapporto al costo della vita.
Lituania, Lettonia ed Estonia, che sono ancora ai confini di quell’est europeo ancora russificato e controllato da Mosca, attorno alla fine degli anni 80 e nei primi anni ’90 attuarono una coraggiosa e pacifica ribellione, sfidando i carri armati mandati dal Cremlino. Subito dopo, i paesi fondatori dell’Unione Europea decisero di affrettare il processo di unificazione del territorio continentale sotto una unica bandiera.
I paesi del Baltico, con buona pace delle più o meno consistenti minoranze russofone presenti nel loro territorio (più in Lettonia ed Estonia che in Lituania), salutarono prima l’avvicinamento al capitalismo e alla Nato e poi l’ingresso nell’ Unione Europea con grande favore. L’Unione Europea adesso funge da difesa nei confronti di questi paesi che si sentono ancora minacciati dalla Russia e che ritengono il pericolo di un ritorno dei vecchi dominatori come reale.
Negli ultimi due anni, con l’accendersi del conflitto ucraino, c’è stato un aumento delle operazioni militari russe proprio nei pressi dei confini con i paesi baltici e nelle basi nato della zona sono intervenuti anche aerei da guerra europei, tra cui quelli italiani, a controllare e difendere queste zone in fibrillazione.
Per molti cittadini dell’est, dunque, stare con l’Unione Europea vuol dire liberarsi dal giogo degli estabilishment Moscoviti ed assicurarsi un modello economico e rapporti commerciali migliori di quelli precedenti.
Proprio perchè le persone giovani e meno giovani dell’Europa orientale hanno come termine di paragone il passato statalista, comunista e dittatoriale, non riescono a cogliere l’altro verso della medaglia, ovvero il chiaro disegno di limitazione delle loro potenzialità che Bruxelles sta operando nei loro confronti. Noi Italiani invece, guardandoci indietro, ricordiamo una Italia dal grande benessere, prima che arrestasse il suo sviluppo attorno alla metà degli anni ’90.
Potremmo cavarcela con una battuta e affermare che all’epoca esplose il fenomeno “Jo Squillo”, che ci traumatizzò tutti con le sue canzoni. Potremmo fare le vittime e dire che non ci siamo più ripresi dall’ascolto di “Siamo donne”, “Me gusta il movimento” e “Balla italiano”. Potremmo farlo, ma la realtà è un’altra e ci sono dinamiche di causa ed effetto ben precise.
Il nostro sviluppo si è arrestato perchè l’Unione Europea ci ha imposto tasse e tagli al debito pubblico, che era “brutto, sporco e cattivo”. Non solo: queste misure ci servivano contro i nostri normalissimi tassi di inflazione, che per Bruxelles erano un male gravissimo che mangiava i nostri salari, mentre per l’abc della dottrina economica era il buon segnale di un economia in crescita.
Su questo tema bisognerebbe dilungarsi un bel po’, ma ciò non sarebbe funzionale al tema di cui stiamo trattando. Ecco dunque il risultato conseguito dagli “Illuminati” del vecchio continente a cui la classe dirigente italiana si è inginocchiata:
1 un milione e mezzo di impieghi pubblici in meno negli ultimi venti anni, non assorbiti dal settore privato, perchè nel frattempo i nostri esecutivi hanno aumentato le tasse anzichè diminuirle.
2 servizi pubblici ridotti al cittadino, competitività persa per l’euro troppo forte e anche in questo caso per il fisco troppo oneroso.
3 interi comparti produttivi e commerciali collassati, aziende che chiudono, disoccupazione aumentata, persone che si suicidano per i fallimenti.
In definitiva, a differenza di un cittadino Lituano, l’Italiano non ha molte ragioni per guardare all’Europa come una cosa bella. Tra l’altro noi, a differenza loro, non abbiamo avuto un referendum per decidere se farne parte o meno.
L’Ue rallenta la crescita dell’est
Perchè dunque l’est europeo dovrebbe diffidare dell’Ue?
É presto detto: l’economia di quasi tutti gli stati più ricchi è progredita con la spesa “a deficit”, ovvero con il ragionevole incremento del debito pubblico dovuto a spese per il benessere della collettività.
É il modello Keynesiano: lo stato stampa moneta, dispone delle risorse e mette in condizione i suoi cittadini (o sudditi, nel caso delle monarchie) di prosperare.
Fin quando abbiamo seguito questo modello, tutti, qui nel nostro colorato occidente, sia pure tra alti e bassi e tra vari scogli da affrontare, ce la siamo cavata bene.
Perchè dunque i figli e i nipoti ribelli del marxismo non dovrebbero fare lo stesso?
Il punto è questo: l’Europa dice agli occidentali di seguire una rigida austerity e ai governi dell’est dice di non spendere a deficit e di non stampare moneta per finanziare infrastrutture e welfare.
C’è di peggio: gli stati che hanno aderito all’euro non sono più padroni della loro politica monetaria, perchè le loro banche centrali sono state assorbite dalla Bce.
Quando hanno bisogno di soldi, dunque, hanno due opzioni:
1 devono chiederli in prestito alle banche vendendo titoli di stato (mentre un tempo stampavano il proprio denaro gratuitamente!).
2 Devono aumentare le tasse.
3 Devono tagliare il welfare.
E’ per questo che il sistema autostradale polacco è penoso, che molte stazioni e aeroporti di diverse capitali dell’est sono obsolete e che il salario di molti operai in Romania è di soli 250 euro ed è basso anche rispetto al costo della vita.
1 Gli stati europei, sia dell’est che dell’ovest , possono fare molto altro debito, fregandosene di ripagarlo.
Il debito pubblico è un fattore cronico che non danneggia nessuno. Resta lì e si rinnova. Gli Stati Uniti, che a livello governativo comprendono qualcosa di economia, ce l’hanno da 180 anni circa e non sono mai andati in fallimento. Come fanno tutti, lo rinnovano tramite titoli di stato, su cui gli investitori guadagnano degli interessi e si dichiarano soddisfatti.
Non c’è bisogno di preoccuparsene fin quando c’è una banca centrale vera (non la bce dunque) che ne garantisce la solvibilità. Vi siete mai chiesti perchè Stati Uniti e Giappone hanno un debito pazzesco ma non se ne curano? Lo stesso discorso vale per Regno Unito e tanti altri, Italia pre-euro compresa.
2 Il debito pubblico di tutti gli stati dell’est europeo è basso, in alcuni casi bassissimo e a maggior ragione non costituisce un problema.
3 Gli stati dell’est dovrebbero avere una moneta propria e stampare denaro per finanziare il proprio benessere come ha fatto l’occidente per 50 anni.
4 L’est europeo deve gradualmente aumentare i salari fino a mettersi in pari con le economie più avanzate.
5 L’euro è una grossa idiozia a cui hanno aderito diversi stati dell’est: non è mai esistita una moneta sola per una ventina di stati diversi, con istituzioni differenti, economie che lavorano in maniera diversa e tassazioni discordanti. E’ un esperimento destinato prima o poi al fallimento, che dividerà i popoli anzichè unirli.
Conclusioni
L’Ue si prodiga in continuazione per salvare le banche. Cosa ha fatto però per rendere i salari dell’est uguali a quelli dell’ovest? Perchè in Germania, Francia e Inghilterra vi sono assegni familiari e benefits che gli altri membri dell’Ue possono solo sognare? Perchè ci sono tassazioni diverse in ogni stato? Dove sono finiti i valori di uguaglianza e di solidarietà propugnati dai vertici comunitari?
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