Il primo album della band abruzzese conquista l’ascoltatore e lo fa viaggiare fra magia ed eleganza
Arriva dall’Abruzzo una delle band rivelazioni del panorama musicale italiano, gli Olotropica capitanati dalla vocalist Valentina Di Cesare. Il loro simbolo è un fiore di loto, realizzato dall’artista Annalisa Di Felice. Il lavoro discografico d’esordio, “Piccole guerre inutili”, è un caleidoscopio musicale che spazia in maniera raffinata ed elegante in più generi musicali. I testi sono stati scritti tutte da Valentina e ben si incontrano con la musica in una ricerca che profuma di arte nelle dieci tracce dell’album.
Ad anticiparne l’uscita l’omonimo singolo di cui è stato girato anche un video che ha riscosso una pioggia di consensi sul web contribuendo a lanciare il fenomeno Olotropica. Una volta concluso l’ascolto di “Piccole guerre inutili” si ha la sensazione di essere stati trascinati in un viaggio particolarmente intrigante. La voce suadente di Valentina Di Cesare si muove bene fra i tanti generi del disco e il risultato finale è sorprendente. Magico ed onirico, “Piccole guerre inutili” spazia in atmosfere che ondeggiano fra il rock, pop, folk e tanto altro …. un disco non etichettabile e proprio in questo sta la sua bellezza. Uno dei migliori lavori usciti negli ultimi anni nella nostra regione che promette di raccogliere seguaci in tutta Italia visto il largo respiro musicale della proposta.
Questa la nostre intervista con Valentina Di Cesare.
È un disco che guarda molto al passato e cerca ispirazione nei gloriosi sixties, ma allo stesso tempo è moderno nei suoni: vi rivedete in questa definizione o vi piace trovarne un’altra per l’album?
“Ogni definizione per noi è importante, si tratta del nostro primo lavoro e certamente se ne faremo altri, pian piano definiremo sempre di più il nostro stile, quindi grazie”.
Ci sono tanti generi al suo interno, ma la costante è una forte attenzione nei testi e nella vocalità …
“La canzone nasce dall’incontro tra parole e musica, due dimensioni diverse che si fondono cercando un equilibrio. L’attenzione ai contenuti ci è sembrata la scelta più giusta, una scelta spontanea tra l’altro. I ragazzi hanno composto le musiche esattamente nel momento in cui hanno avuto tra le mani i miei testi. Le musiche non c’erano prima, sono nate contemporaneamente alle parole, c’è stato un adattamento reciproco, abbiamo lavorato insieme è stato molto bello, anche perché ci siamo avvicinati molto”.
Come mai la scelta di Piccole Guerre Inutili come primo singolo?
“Perché è la canzone che dà il titolo all’album e che in un certo senso tira un po’ le somme di tutti i brani presenti nel disco. Avevo bisogno di tradurre in musica le mie osservazioni sulla società che vivo: è evidente che ora il superfluo è diventato l’essenziale, l’insoddisfazione che ne consegue è comprensibile, perché non si apprezzano più le piccole cose. É per questo che non esiste quasi più il confine tra ciò che ci rende vivi umanamente e quel che ci fa sopravvivere socialmente. In “Piccole guerre inutili” cerco di dire questo”.
… Cominciamo a scendere fra le varie tracce: la più raffinata ed elegante è “Da qualche parte in Francia”: come nasce?
“La Francia è una delle mie piccole “ossessioni”, anche se dopo averci vissuto per un po’ (ero a Bordeaux per lavoro) quell’immagine edulcorata e quasi mitica si è un po’ ridimensionata ai miei occhi, com’è normale che fosse. Continua però ad essere per me un luogo elettivo, soprattutto quando la ricordo o la ritrovo nelle canzoni. Ascolto da sempre Paolo Conte e con lui come si fa a non trovare ovunque la Francia? E poi la musica francese, i grandi classici e la musicalità della lingua. Nello scrivere questa canzone ho pensato a quando si scappa via per cercare di lasciarsi alle spalle una persona che non ha saputo darci quel che volevamo o che ci aspettavamo. É una canzone molto raffinata, malinconica, ma non triste”.
“Il bosco dei giorni” ha un aspetto più folk rock con orchestrazioni e fisarmonica …..
“La canzone è stata scritta a quattro mani con Federica D’Amato. Le sonorità sono quasi etniche mentre il testo è surreale, sospeso tra un’atmosfera di sogno e realtà, racconta di un bosco dove andrebbero a finire tutti i giorni della nostra vita che non ricordiamo, ovvero la maggior parte”.
“Isola” è un’altra delle canzoni a mio giudizio più riuscite ed è molto baustelliana ….. dove nasce l’ispirazione di questo brano?
“Bella questa chiave di lettura e grazie per il “baustelliana”. L’ho scritta pensando a quei momenti in cui non abbiamo fiducia negli uomini, sentendoci diversi dagli altri, con la percezione di essere migliori o peggiori. Sono condizioni opposte eppure per certi versi simili, perché in tal modo si ergono muri che rischiano di diventare insormontabili”.
“La sirena” e “La sera di Taksim” hanno atmosfere molto particolari ….. ce ne parlate?
“Sono due canzoni molto diverse è vero, a livello di sonorità e di atmosfere. Sono state scritte in momenti diversi e musicate da diversi componenti della band e sono legate a situazioni molto differenti. Quella che maggiormente si differenzia rispetto alle altre canzoni del disco è “La sera di Taksim” che ha una sonorità volutamente orientaleggiante perché rivela nel titolo un ambientazione appunto orientale. Taksim è un quartiere di Istanbul, e la capitale turca è stata meta di un bel viaggio di qualche anno fa con alcuni amici d’infanzia. La canzone è un piccolo monito a non accantonare mai i rapporti di amicizia per contingenze varie della vita e a dedicare il proprio tempo alle persone che amiamo. Ho scritto “La Sirena” per ricordare mia nonna”.
Io amo molto “L’officina delle api” e “Bobby Pearce” che non a caso ho lasciato sul finale insieme a “60 anni fa” ….. come le descrivereste?
“Anche in questo caso si tratta di tre pezzi diversi e non so se riuscirò a definirli in poche righe. “L’officina delle api” apre il disco, è un brano a tratti psichedelico sia per le sonorità che per il testo. Le api mi hanno sempre affascinata, sono piccole e laboriose e in questa canzone sarebbero addirittura in grado di “sistemare i desideri”.
“Bobby Pearce” è dedicata al campione australiano di canottaggio Robert Pearce che durante la finale delle Olimpiadi, quasi sul traguardo, diede la precedenza ad un gruppo di anatroccoli che attraversavano il fiume rischiando di perdere la vittoria.
“Sessant’anni fa” è un vero gioiellino, è una specie di pamphlet , è un modo di guardare all’amore in maniera totalizzante e ironico, partendo da una disgressione sulla neve, da un’antica leggenda.
É un pezzo molto misterioso, nasconde tanti significati anche se in apparenza può sembrare addirittura frivolo… le interpretazioni sono molte”.
Come promozionerete il disco? Dove vi vedremo live?
“Stiamo per rendere note le date in cui presenteremo il disco e ovviamente lo suoneremo, a breve saranno tutte sulla nostra pagina Facebook. É la nostra prima esperienza, possiamo e vogliamo dare del nostro meglio!”.
La formazione degli Olotropica è composta da: Valentina Di Cesare (voce), Riccardo Pezzopane (tastiere), Paolo Di Cesare (chitarre), Pierluigi Di Cesare (basso), Michele Musti (batteria).