Un brano impegnativo e scomodo che mette a nudo le contraddizioni del genere umano. Ecco l’intervista alla cantautrice tarantina
Lei è la cantautrice tarantina che ha scritto per Gianni Morandi, Andrea Bocelli e Renato Zero. Autrice di testi, cantante e fondatrice dell’etichetta indipendente Suoni dall’Italia, Mariella Nava è all’attivo dal 1988, anno in cui pubblicò il suo primo lavoro studio. Vicina da sempre ad associazioni come Amnesty International e Anmil, la cantautrice tarantina è stata persino nominata Cavaliere della Repubblica italiana e insignita del sigillo Testimone di pace. Da sempre i suoi brani sono sinonimo di attualità e di profonda riflessione: tra tutti possiamo ricordare – ad esempio – Piano inclinato e Stasera torno prima, che affrontano temi quali l’Aids e le morti bianche. Dei veri e propri nervi scoperti per il nostro tempo.
Un’artista comunque non lontana dagli echi della grande musica internazionale: celebre è la sua It’s forever, eseguita con la cantautrice statunitense Dionne Warwick. Apprezzata dal pubblico, dalla critica e dal mondo dell’attivismo, venerdì 22 maggio Mariella Nava ha pubblicato su tutte le piattaforme digitali il suo nuovo singolo, Povero Dio: a prima occhiata un brano potenzialmente controverso. Di certo la tematica è impegnativa, come spesso accade per l’autrice di Ogni donna è nuda e Terra mia.
Cosa intende dire l’autrice con Povero Dio, lo ha detto lei stessa: “Dio è una parola che torna, ma che mette sempre un po’ soggezione. È scomoda. Ci mette a nudo. E quante volte è stata usata a sproposito, travisandone completamente il senso. C’è un comandamento che dice di non nominarlo invano eppure sembra essere più lì, nei posti e nelle rappresentazioni sbagliate, che nelle preghiere. Dio. Allah. Buddha. Mettici il concetto che vuoi. La natura. Sono traduzioni, letture diverse, ma dentro c’è l’Universo, ci siamo noi, così come siamo e soprattutto come siamo diventati”.
È tutta una questione di prospettiva: la religione può essere sia un ponte per la civiltà e la pace, sia un muro che divide e inasprisce le fazioni. Ma – aldilà dei muri – rimane l’umanità: un’appartenenza che ci accomuna tutti. In questo senso Dio diventa una parola scomoda: scomoda perché ricorda a quanti ci si appellano le tante violazioni che – a volte – vengono commesse nel suo nome. L’introspezione dell’autrice conduce a scoprire l’interrogativo stesso che cela la vera essenza di Dio. Chi è Dio? E soprattutto: cosa rappresenta per gli uomini?
Per Mariella Nava non ci sono dubbi: è quella forza interiore, quella volontà di andare avanti che spinge gli uomini a rialzarsi. Sempre. È la risposta agli affanni degli uomini, nella speranza che prevalga quella social catena di cui scriveva Leopardi e di cui tutti abbiamo bisogno: “Tuona nel silenzio quella parola che intimamente, mai come in questo periodo, l’abbiamo sentita rimbombare nell’immagine di una piazza deserta o posarsi sulle labbra, tra i denti, negli occhi, su un muro, in un pensiero, in una richiesta di aiuto, in una forza da trovare, in un perché a cui dare risposte, quando le risposte sono diventate rare, difficili e addirittura inesistenti. E diventa più grande adesso che ci dobbiamo rialzare più poveri. Nella paura, nel vuoto dell’incertezza, in una carezza che arriva da dentro, nel caldo di una speranza. Dio, che per me è quello Cristiano, ma che per qualcun altro è qualsiasi appiglio per farcela, per ritrovarsi, è quella energia nuova da prendere, quella fiducia intima necessaria per non sentirci soli e più miseri”.
Per l’occasione noi de L’Opinionista l’abbiamo voluto intervistare per saperne di più.
Inizierei parlando del singolo Povero Dio: recentemente hai detto che Dio è fede/fiducia. A quale Dio potremmo rivolgerci per convivere tutti in pace? Oggi viviamo in una società che vede convivere culture così diverse.
“Be’, è una domanda cui non è facile rispondere: ognuno trova il Dio più credibile per sé, no? Ieri notte seguivo Protestantesimo, una trasmissione che mette in parallelo culture e tradizioni molto differenti. Si parlava appunto di come è cambiato il modo di essere fedeli ad un credo, dopo questa emergenza che abbiamo vissuto tutti. E stranamente si parlava proprio di come tutte le chiese dovranno subire un cambiamento: un cambiamento non solo di riti, ma di qualcosa che ha a che fare proprio col linguaggio religioso. Gli esperti dicevano che è come se il coronavirus abbia dato una scrollata collettiva. Ha gettato dei ponti fra più culture, ma ha anche segnato una chiusura col passato. È un fatto di avvicinamento con quella che è la vita che tutti abbiamo e viviamo, e che prima di questo episodio appariva come scollata dalle forme religiose: e non parlo solo di quella cristiana cattolica. Vedo che il papa sta facendo un tentativo in questa direzione, anche se non tutti sono favorevoli ad un accordo, a un linguaggio più comune. Che poi è il concetto che volevo dare io nella canzone: alla fine ogni religione deve perseguire il bene. Ma il bene cos’è, se non il bene comune, collettivo, la distribuzione delle risorse e l’accorgersi del tuo prossimo accanto a te? Il prossimo che magari arriva con un barcone partito da chissà dove. Il prossimo ormai è questo: non appartiene soltanto a realtà lontane che non tocchiamo più”.
E a proposito di diversità: i conflitti e le carenze sociali attuali – penso al razzismo o alla questione di genere – provengono da responsabilità politiche?
“Le responsabilità politiche sono tantissime. Ultimamente anche il linguaggio della politica è stato un po provocatorio, no? Attraverso i social. Ad esempio il linguaggio di Salvini ha provocato e messo a dura prova la resistenza di un pensiero che segue altri criteri. Pur di avere proseliti, amici, follower o quant’altro…La responsabilità politica è altissima. Guardiamo per esempio a Trump negli Stati Uniti, che va a prendere una bibbia per deresponsabilizzarsi da certe cose, ma qualcuno che ha fondato la sua politica sul muro, è inutile poi che prenda la bibbia quando si è verificato l’ennesimo episodio – raccapricciante – di razzismo. Lo vediamo anche in altre realtà: viene sempre rappresentata una politica divisoria che non è costruttiva. Per esempio anche la Brexit: in un periodo come questo, tutti stanno sempre di più distanziandosi anziché collaborare. Credo che le revisioni debbano partire dall’intimo, anche dal fatto di ritrovare una verità come una stella che ci possa guidare: poi però tutto questo deve riversarsi nella politica. Le due cose sono collegate”.
Da sempre sei vicina a tematiche socialmente serie e scomode. Cosa ti spinge – della tua sensibilità e/o personalità – a trattare di temi come la violenza sulle donne, la sostenibilità o la disabilità, per esempio?
“Forse il fatto di essere una persona molto attenta a ciò che mi accade intorno. Ho sempre descritto la diversità, l’emarginazione, la sicurezza sul lavoro e la violenza sulle donne. Ma ho raccontato anche l’amore! Perché anche il rituale dell’amore è molto importante, nella vita di ognuno di noi; ha diverse età e si incastra con tutto il resto. Per questo ho sempre cercato di raccontare la vita per come mi si offriva, perché è fatta di tutte queste cose. La vita di tutti. Io faccio difficoltà a raccontare qualcosa che non è riferito a quello che conosco e alla mia quotidianità”.
E a proposito di quotidianità: in Italia abbiamo passato – da poco – l’Overshoot day. Con la campagna pubblicitaria Tonno Mare Aperto hai mostrato vicinanza al tema della sostenibilità. Ti reputi un’ecologista?
“Sì. Per quel che posso, sì. Da quando ho capito che anche la mia attenzione vale. Il discorso che fanno alcune persone è del tipo: “Io posso anche starci attento, ma se non si preoccupano anche gli altri…” E invece no, ognuno di noi deve fare la sua parte: anche una piccola goccia in mezzo al mare ha la sua importanza e la sua funzione. Il cambiamento deve partire da ognuno di noi. Questa parola – sostenibilità – deve ricevere una grande promozione: quando mi è stata offerta la possibilità di aderire a questa campagna, ho deciso di farne la colonna sonora. Ma non amo farmi molta pubblicità: le cose le faccio perché mi appagano”.
E, tornando alla musica in senso stretto: chi sono – musicalmente – i tuoi mentori?
“Be’ io ho sempre ascoltato moltissima musica, anche quella distante dalla mia. I Traffic, i Pink Floyd, i Queen, anche se non ho quella cultura nel mio Dna. Io sono più tradizionalista, sono un po’cresciuta con la nostra musica migliore: De Gregori, Battisti, Baglioni e Renato Zero. Ma anche Pino Daniele, con le sue contaminazioni jazzistiche e blueseggianti. Poi ho anche studiato musica classica; quindi nel mio background c’è anche questa connotazione: l’aver capito quali sono le risoluzioni – quasi numeriche – che la musica offre, anche se poi le vado a rompere, quelle regole. La mia sfida è portare quelle condizioni in una musica che – in teoria – non le prevede”.
Qual è il testo che hai scritto che ti rende più orgogliosa in assoluto, della tua carriera?
“Ce ne sono parecchi, sai? Ai quali sono legata: alcuni sono noti, altri meno. Per esempio Spalle al muro, sicuramente: per le soddisfazioni che mi ha dato attraverso l’interpretazione del grande Renato Zero. Però c’è anche Piano inclinato, che è una delle mie interpretazioni più riuscite: parla dell’Hiv, in tempi in cui faceva molte vittime e ancora non si sapeva nulla di questa malattia. Scrissi questa canzone e tentai anche di portarla al Festival di Sanremo, pensa, ma non fu accolta. Però è diventata una delle canzoni che i miei fan, i miei ammiratori, amano tanto e mi chiedono spesso. Anche se non è tra le canzoni più esposte delle mie. Non ha partecipato mai a nessun evento, anche se Renato Zero – un altro appassionato di questo brano – mi invitò a Tutti gli zeri del mondo e volle cantarla lì con me. Il video è ancora su Youtube ed è un po’ un cult…”.
Hai scritto per alcuni dei più grandi cantanti italiani della contemporaneità: per chi scriveresti volentieri? Ma soprattutto: il duetto perfetto? Con chi preferiresti duettare…?
“Ne ho fatti diversi, come sai: con Amedeo Minghi, lo stesso Renato Zero, Mango, una volta ho fatto un live con il grande Lucio Dalla e anche con Dionne Warwick. Però – sai – nutro un piccolo amore segreto per Sting [ride]. Mi piace tantissimo, come musicista! La sua inventiva, la sua creatività musicale, la voglia di sperimentare e di incontrare altri generi”.
Poi ama molto l’Italia, Sting…
“Esatto! So che abita a Figline Valdarno e ogni volta che passo di lì – dall’autostrada – penso: chissà [ride]…”.
Parliamo di questa quarantena: moltissimi cantanti hanno sviluppato idee nuove per progetti futuri. Progetti anche innovativi, per via del mercato musicale – specialmente quello live – che certamente cambierà. Sappiamo che uscirà a breve il nuovo album. Ti va di anticiparci qualcosa sul tuo futuro live? Se ci sono novità in vista
“Sto cercando di tirar fuori qualcosa che abbia ancora più a che fare con quest’emergenza vissuta. Al momento non sono in grado di darti una certezza, ma sto cercando qualcosa che permetta l’incontro con queste nuove forme di connessione. Se lo hai notato – nel video di Povero Dio – il regista Paolo Scarfò mi ha ripresa con la sua videocamera proprio attraverso questo stesso computer con cui ti sto parlando. È stata una forma di registrazione già un po’ diversa dal solito, no? Anche l’elaborazione di un video, come vedi è già cambiata. Ma potrebbe non finire qui: sto vedendo cosa posso inventare. Tra l’altro sono molto attratta dalla tecnologia: lo sono sempre stata anche se cerco di portarla sempre verso l’analogico, verso l’umanità. Non la voglio mai fredda o invasiva; voglio che non prevalga su quello che è l’essere umano. Però qualcosa a livello di interazione musicale da poter fare per l’ascoltatore, lo sto cercando”.
Quindi è un’opportunità per il mercato musicale, in fondo?
“Si. Già, per esempio, il fatto di poter fare una première di un video in una data unica e in un’orario unico – quasi fosse un film – è un’opportunità. Questo già l’ho tentato, anche con qualche piccola incompetenza mia personale: sai, era la prima volta. Farò ancora cose di questo genere, per cui nel momento della presentazione dell’album magari mi connetterò e presenterò alcune cose che sono nell’album e chi vorrà collegarsi potrà farlo. E ci sarà altro ancora, che adesso non ti dico [ride]. Però posso anticiparti che ho avuto la fortuna di ricevere la lettura del testo di Povero Dio da parte di Stefano De Sando, doppiatore di De Niro e di tanti altri grandi attori. Ha recitato il testo e me lo ha inviato: lo pubblicherò a breve”.
Da Mariella Nava per il momento è tutto, ma il meglio deve ancora arrivare.
TESTO DI POVERO DIO – MARIELLA NAVA
Dio stonato come le campane Dio di te cosa rimane ?
Dio con gli occhi asciutti
Dio della paura che sentiamo tutti
Dio dei cambiamenti degli smarrimenti Dio nei nostri sogni di stamane
lo spezzi ancora il pane? Dio morente come le foreste Dio delle proteste
Dio delle mancate confessioni Dio di piogge scarse
Dio delle alluvioni
Dio che chiama Dio che non risponde Dio dei tanti nomi invano
Dio perfino nelle bombe
Dio delle speranze Dio delle finite istanze Dio di genti in fila
senza comunioni e più distanze Dio dei monumenti
Dio dei sacramenti Dio delle parate delle processioni
Dio dei tradimenti
Povero Dio tirato a sorte
forse credibile soltanto in punto di morte povero Dio trasfigurato
passato di mano in mano in questo cielo inquinato
povero Dio se ci assomiglia sostituibile nel vino di una bottiglia povero Dio senza parola
nell’ infinito confuso
di questa Terra più sola
Dio segreto come un concistoro
Dio che guardi Dio che benedici Dio in un coro Dio dentro la fame di un bambino
Dio ristoro Dio spergiuro Dio che piangi e un muro Dio di un atto impuro
Dio al sicuro dentro al suo tesoro
Dio che dentro ai monitor non trovi più una nicchia Dio con una tonaca
sgomento sotto qualche macchia Dio di investimenti Dio dei giuramenti dei campioni di televisioni
e di argomenti intorno ai cromosomi
Povero Dio Senza più amore
nei tanti debiti e ognuno qui debitore povero Dio
dei disperati
di chi non ha carezze di tutti i dimenticati
povero Dio, qualunque Dio
Ci fosse un Dio da ritrovare in questo freddo che sale con cui poterci scaldare…
Poveri noi, senza più un Dio
Photo credit by Franzo Belletti