VIETATO ARRENDERSI
A Livorno è molto legata – “anche se non dico il classico ‘de” commenta, mentre chiacchiera amabilmente sulla terrazza Mascagni affacciata sul mare – ed è lì che è tornata dopo aver deciso di partire da giovanissima: “Sono figlia di una coppia poverissima, mio papà era disoccupato e mia mamma non vedente, a causa della retinite pigmentosa che ha colpito anche me e mio fratello Bruno. Cominciai a perdere la vista a 10 anni e a vent’anni dissi loro che volevo andare a studiare all’istituto dei non vedenti di Firenze, per imparare a cavarmela da sola”.
Era il 1962. Negli anni trascorsi a Firenze imparò molte cose, e forse scoprì già allora che non avrebbe mai smesso di imparare, a leggere il Braille, a scrivere a macchina, a lavorare a maglia e a uncinetto, e a gestire un centralino telefonico. Una volta superato l’esame per l’iscrizione all’albo professionale fu assunta all’INPS di Grosseto, nel 1970: “Ho lavorato dieci anni come centralinista, stringendo amicizie profonde che ancora resistono al passare degli anni”.
In pensione è andata dopo aver vissuto il trauma di dover riferire il testo di una telefonata delle Brigate Rosse che minacciavano di morte il direttore dell’ufficio. Oggi racconta anche quell’esperienza con un tono leggero: “L’altro giorno con mio marito abbiamo visto una maglietta con su scritto ‘vietato arrendersi’, e abbiamo condiviso appieno l’incoraggiamento”.
Dice proprio così, “abbiamo visto”, così come dice con trasporto che “nelle giornate di sole dalla terrazza vediamo le isole di Gorgona, capraia, l’Elba e la Corsica”. Solo alla domanda diretta, chiarisce: “Io vedo solo la luce, ma Alberto mi descrive tutto.”. Vivono insieme da quindici anni.
DONARE PER SENTIRSI BENE
Quando si sono conosciuti lei aveva perso il primo marito Aldo, per un infarto, lui la prima moglie, vittima di un incidente stradale: “Dopo il primo pomeriggio trascorso insieme gli dissi che il mio non era un handicap facile, ma lui rispose con tono scherzoso che dopo avermi osservato non gli pareva. In effetti, grazie a lui, quindici anni fa ho imparato a nuotare, ad andare in canoa e a pedalare in tandem. In questo periodo mi insegna l’inglese e insieme facciamo calcoli matematici a mente. Ma per la cucina e le faccende di casa so sbrigarmela da sola”.
A tratti il buonumore è offuscato da un velo di preoccupazione: ” Lui ora convive con un tumore, e io mi chiedo come mai potrei fare senza di lui”. Poi ripensa al modo per scacciare la tristezza rendendosi utile: “Appena ho qualche risparmio faccio una donazione all’ Ospedale Meyer e una identica ad AIRC, e mi sento bene”.
Che donna!
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