Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, che aggiunge: «Apprendiamo con soddisfazione che nel documento finalmente si stigmatizzi “l’autonomia dell’infermiere in ambito vaccinale”. L’infermiere che somministra a domicilio, come si evince dal protocollo, può anche vaccinare senza quel rigido controllo del medico, lo avevamo chiesto da tempo, liberare finalmente i nostri infermieri da una zavorra. D’altronde, già in un nostro comunicato del 5 gennaio scorso evidenziammo come gli infermieri hanno titolo e competenza per agire in piena autonomia e senza alcuna supervisione, non hanno bisogno di tutoraggi di alcun genere. Eppure le condizioni di questo accordo, i punti nodali su cui è stato costruito, non ci soddisfano in alcun modo».
Nel protocollo, spiega De Palma, «si fa riferimento, per gli infermieri che dovranno effettuare le vaccinazioni, alle previsioni della legge del 30 dicembre 2020, n. 178, art.1, comma 465. Da qui cominciano le ombre e le (non poche) note dolenti perchè, in pratica, la normativa citata è quella che prevede per il personale sanitario la necessità di sottoporsi a un corso on line prima di effettuare tale attività. Noi lo avevamo ribadito a gran voce e lo ripetiamo: siamo indignati che gli infermieri, con tanto di laurea triennale alle spalle, e con tanto di tirocinio, siano considerati alla stregua di farmacisti ed altri sanitari che non hanno mai preso in mano una siringa!».
Ed ancora, «nel documento viene specificato chiaramente che gli infermieri e gli infermieri pediatrici possono vaccinare senza la supervisione del medico nei loro interventi a domicilio, e questo ci conforta, eppure l’anamnesi, e conseguentemente l’idoneità vaccinale spettano sempre al medico. Ma come? Nell’accordo quadro tra Federfarma e Regioni, i farmacisti sono totalmente autonomi, sia nell’anamnesi che nel conferire l’idoneità vaccinale, tranne in casi estremi in cui occorre la supervisione del medico, ma all’infermiere tutto questo viene di fatto ancora impedito? Stiamo scherzando vero? Alla FNOPI, che ci rappresenta in quanto Ente sussidiario dello Stato, sia in Parlamento che di fronte alle Regioni, chiediamo ora di conoscere, anche noi, quali sono le motivazioni in base alle quali gli infermieri non possono procedere ad attuare protocolli preordinati in tema di anamnesi e idoneità vaccinale, mentre i farmacisti, abilitati a somministrare i vaccini “ope legis”, possono fare “anche tutto questo”. Proviamo ora ad approfondire la complessa e ben grave questione del compenso. Intanto, e questo risulta anche dal comunicato stampa post accordo redatto dalla FNOPI, a vaccinare direttamente nelle case dei soggetti fragili dovrebbero essere gli infermieri dipendenti, cioè quelli liberati pro tempore dal vincolo di esclusività, come stabilito dal Decreto Sostegni. Dal protocollo appena sottoscritto emerge che per ogni somministrazione “a domicilio” è previsto un compenso all’infermiere di 6,16 euro. Per come la vediamo noi, si tratta di un compenso assolutamente fuori da qualsiasi ipotesi di ricevibilità. E sulla materia il nostro disappunto cresce, perchè in tema di retribuzioni dovrebbero essere i sindacati i soggetti competenti a trattare con le istituzioni rappresentative, soprattutto perchè qui si parla, nella stragrande maggioranza dei casi, di compensi erogati dalle amministrazioni pubbliche a loro dipendenti, che per la specifica circostanza vaccinale vengono esonerati dal vincolo di esclusività. Ma allora perché in questo accordo non è stato coinvolto nessun sindacato?».
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