Quote minime per la musica italiana in radio: la proposta della Lega

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Promuovere il Made in Italy musicale: in FM almeno una canzone italiana su tre

Alessandro MorelliROMA ‒ Il presidente della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera Alessandro Morelli ha firmato e depositato a Montecitorio una proposta della Lega che ha immediatamente suscitato un vivace dibattito nel mondo della musica e in quello radiofonico: nelle radio nazionali si dovrà trasmettere una canzone italiana su tre, per valorizzare il nostro patrimonio musicale.

La quota minima di canzoni italiane che le emittenti dovranno trasmettere sarebbe del 33%. “Il sostegno alla musica italiana deve essere il più trasversale possibile” spiega Morelli.

Inoltre, del totale delle canzoni italiane trasmesse, “il 10% dovrà essere dedicato ai giovani autori e alle piccole case discografiche”.

La Lega progetta dunque di intervenire fortemente sul palinsesto musicale delle varie emittenti nazionali. Fino allo scorso anno direttore di Radio Padania, Morelli polemizza contro i risultati del festival di Sanremo e afferma che “la vittoria di Mahmood all’Ariston dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica”.

Presentando questo provvedimento, spiega: “Io preferisco aiutare gli artisti e i produttori del nostro Paese attraverso gli strumenti che ho come parlamentare”.

La musica italiana, si legge nel testo firmato da altri otto parlamentari, dovrà “essere distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione”. La vigilanza sull’applicazione del provvedimento sarà affidata all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, a fronte di una reiterata violazione, l’attività radiofonica, che si tratti della Rai oppure di un network privato, potrebbe essere sospesa da un minimo di otto a un massimo di trenta giorni.

In base ai dati forniti da Morelli, attualmente nelle maggiori emittenti radiofoniche italiane la quota di repertorio italiano è inferiore al 23%. Altre fonti, come EarOne ‒ società che monitora l’airplay radiofonico ‒ riportano invece il dato del 45% di brani in lingua italiana nel 2018.

Morelli e i suoi cofirmatari ritengono evidentemente che la programmazione radiofonica abbia una decisiva influenza sulle vendite o sugli streaming delle canzoni. In realtà, confrontando le classifiche dei dischi più venduti con quelle delle canzoni più trasmesse, sembrano non esserci molte coincidenze.

I sostenitori del disegno di legge citano la Francia come riferimento: i nostri cugini d’oltralpe hanno attuato infatti un provvedimento analogo già a partire dal 1994 attraverso la Legge Toubon, che impone alle radio di trasmettere musica in lingua francese per almeno il 40%.

La proposta ha scatenato commenti contrastanti. Al Bano reputa troppo bassa la quota prevista: “Solo una canzone italiana su tre è poca cosa: ne devono andare in onda almeno sette su dieci”. Concordando con la Lega in merito alla necessità di salvaguardare il patrimonio musicale nostrano, Al Bano afferma che “la canzone di Mahmood è molto carina, anche se va tutelata maggiormente la matrice italiana che è quella melodica. Capisco che non si possono trascurare le nuove tendenze come il rap e il trap, ogni epoca ha la sua musica. Oggi non ci sarà più un nuovo Beethoven o un nuovo Puccini perché sono figli della loro epoca, ma dare un po’ di attenzione in più alla vena melodica italiana non è un errore”.

Mogol, autore di testi storici della musica italiana e presidente della Siae, approva senza riserve la misura di Morelli: “Tutelare e promuovere la nostra creatività musicale non è di destra e nemmeno di sinistra. Semplicemente, è un’idea intelligente”.

Per Linus di Radio Deejay invece la proposta di legge non ha molto senso: “Al di là del protezionismo ormai abbiamo una programmazione che prevede quello che chiede questa fantomatica legge. Come sempre arrivano tardi, una canzone su tre da noi è già italiana”.

Giordano Sangiorgi, presidente del MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti), nel 2013 aveva proposto una legge analoga a quella disegnata da Morelli, raccogliendo l’adesione di circa mille artisti italiani. “Siamo favorevoli a una legge come quella proposta, che tuteli e sviluppi la musica italiana in radio” afferma commentando l’iniziativa della Lega. “Mi pare interessante ogni azione atta a tutelare e sviluppare il Made in Italy musicale, come da sempre fanno in Francia e in altri Paesi. Credo che serva però un accorgimento e cioè che come in Francia una percentuale almeno del 20% di tale quota ‒ che a mio avviso dovrebbe arrivare al 40% per essere più vicina al mercato, nelle Top Ten almeno 7/8 artisti sono italiani ‒ vada a tutti i giovani esordienti provenienti dal mondo delle etichette indipendenti e dalle autoproduzioni che sono quelli che faticano di più ad entrare nelle playlist delle grandi radio e tv musicali”. La campagna del MEI di sei anni fa aveva incontrato il favore, tra gli altri, di Piero Pelù, Eugenio Finardi e Piotta.

Un’altra proposta assai vicina a quella di Morelli, in realtà era già comparsa nel mondo politico, ipotizzata nel novembre 2017 dall’allora Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Illustrando i vari aspetti della nuova legge sullo spettacolo, Franceschini spiegava che finalmente era possibile “prevedere quote di obbligatorietà di trasmissione della musica italiana”, e si era richiamato anche lui al modello francese: “In Francia ci sono quote per la radio. Noi vedremo”.

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, alla domanda postagli da un giornalista: “Siamo al Minculpop?”, ha risposto “Lo fanno in Francia, e nessuno si è scandalizzato”, negando che si possa stabilire un parallelo tra questo disegno di legge e l’ostracismo del governo fascista alla canzone straniera.

Enzo Mazza, presidente di Fimi ‒ Federazione dell’Industria Musicale Italiana ‒ non si schiera a favore di qualsivoglia misura autarchica o protezionistica, e afferma che “se proprio ci devono essere delle quote di garanzia nell’airplay, meglio indirizzarle verso gli artisti emergenti che devono costruirsi una carriera”.

A cura di Barbara Miladinovic