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Il razzismo nel calcio: «una sporca dozzina, una sparuta minoranza»

«Il razzismo nel calcio esiste, negarlo è da ipocriti». Iniziamo così l’articolo riprendendo una recente frase di un ex-campione del mondo di calcio della nazionale francese, Lilian Thuram, che oltre ad essere stato uno dei più forti difensori in campo quando giocava, si è dimostrato altrettanto capace e acuto nel riconoscere che il razzismo nello sport e in particolare nel calcio esiste ed è uno dei nemici dell’integrazione dei popoli.

Perché Thuram

Thuram con la maglia della nazionale ha vinto un mondiale ed un europeo, e tanti altri trofei in squadre di club. Una celebrità per tutti gli sportivi e i tifosi. Dopo il ritiro si è dedicato a progetti educativi e in particolare alla lotta dell’integrazione e al razzismo nello sport. Nel marzo 2013 il campione francese istituì una fondazione, che porta il suo nome, che ancora oggi esclama a gran voce i diritti e la diseguaglianza che esiste tra popoli di etnia diversa. Uno dei concetti della fondazione è che: «razzisti non si nasce, lo si diventa», questo il leit-motiv della fondazione. In una società civile come la nostra, non si nasce mai con un’etichetta così scomoda quanto mai inopportuna. Spesso è la geo-politica o addirittura la cultura mediatica a creare divisioni in termini, come ad esempio quando si dice: «nella repubblica centro-africana ci sono i negri, nel nord i maghrebini etc..».

Ecco allora, quale potrebbe essere il punto. Un problema di cultura e sostanzialmente d’ignoranza. Thuram ha anche prodotto nell’ambito di questo progetto un libro intitolato «Per l’uguaglianza», scritto insieme ad altri scrittori che hanno aderito alla fondazione, come ad esempio Todorov, uno dei grandi intellettuali che da sempre si è impegnato sulle tematiche della diversità e la cultura dei popoli del mondo. Il libro con una serie di domande ci fa capire che il problema del razzismo Thuram l’ha vissuto quando è venuto a vivere in Francia. Lì ha scoperto di essere “nero” e di avere, oltre questo, un’altra grande differenza rispetto alle famiglie francesi. Thuram, originario della Guadalupa, in cui era tollerata la poligamia, viveva con una famiglia numerosa ed era il penultimo dei cinque figli nati da padri diversi. Una normalità nel suo paese d’origine, ma una innominabile colpa per le madri nella nazione in cui i Thuram erano stati ospitati, per così dire. E così scopre che il razzismo è questo, non solo nel colore della pelle, ma soprattutto configurato dalla non comprensione della diversità dei costumi e dai modi di vivere altrui.

Gli episodi più eclatanti negli stadi d’Italia

Ultimo in ordine cronologico, l’episodio che è accaduto al centrocampista del Napoli Koulibaly, durante la partita allo stadio Olimpico di Roma tra la Lazio e il Napoli nel mese di febbraio scorso. L’episodio è stato l’ennesimo registrato ai danni della tifoseria napoletana in primis e poi del  giocatore, che venivano offesi da una minoranza di tifosi, perché i cori e gli improperi erano stati comunque “coperti” dai fischi del resto dello stadio.

Nel 2013, invece, due furono gli episodi che fecero discutere l’opinione pubblica sportiva e non. Il primo accadde a Mario Balotelli, durante la partita tra la Roma e il Milan, in cui il calciatore fu pesantemente offeso dai tifosi romanisti e la partita fu sospesa per un minuto. Il secondo, in un’amichevole tra la Pro-Patria e il Milan, accadde al calciatore del Milan Boateng, il quale dopo le offese razziste nei suoi confronti, scagliò il pallone sugli spalti e abbandonò il campo insieme ai suoi compagni. Ora non bastano questi pochi esempi accaduti a far capire il problema, ovviamente, né scriverne degli altri per dimostrare che il calcio di episodi di razzismo ne è pieno. In sintesi, però, scorrendo le pagine sui social o sui principali mezzi di stampa, scopriamo che purtroppo il fenomeno è causato da una “sparuta” minoranza, che di fatto ne causa delle conseguenze comunque gravi dal punto di vista culturale e civile. Certo, anche se si tratta di una minoranza, come abbiamo detto, non possiamo certo farcene una ragione per giustificare questo infame turpiloquio, ma possiamo comunque attraverso l’educazione nelle scuole prima di tutto e soprattutto nel calcio, formare tutte quelle persone, che in un modo o nell’altro con lo sport e in particolare con il calcio ci vivono e  si divertono.

A cura di Pasqua Giulio – Tivolimagazine.it

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