L’osservazione dell’individuo attraverso lo studio di ogni minimo dettaglio, muscolo o posizione che gli appartenessero ha costituito il punto focale per la produzione artistica di molti grandi maestri del passato al punto di divenire una delle prime materie di approfondimento accademiche; in questo tipo di studio anche la luce era fondamentale per infondere allo sguardo il senso di profondità, di aderenza alla realtà necessario a dare una narrazione credibile in cui la perfezione estetica doveva associarsi all’abilità di riprodurre scene quotidiane o straordinarie o semplicemente ritratti ineccepibili commissionati dalla nobiltà. Nell’epoca contemporanea alcuni artisti rimangono fortemente legati a questo approccio pittorico ammorbidendolo però con il senso di emozionalità che appartiene al secolo attuale dove il corpo si trasforma in mezzo per esprimere tutto ciò che diversamente non potrebbe essere raccontato. Il protagonista di oggi appartiene a questo gruppo di artisti.
Nel momento in cui gli interpreti pittorici e scultorei del Novecento si trovarono a dover, e voler, adeguarsi all’evolversi dei tempi, dovettero in qualche modo fare una scelta per tendere verso le innovazioni sovvertendo completamente l’ordine precedente, oppure in qualche modo restare legati a esso introducendo però tematiche e interpretazioni più affini a una società completamente cambiata. Accanto dunque a chi decise di rompere con il passato accademico e le sue linee guida tradizionali, vi furono altri creativi che non riuscivano a rinnegare quelle forti influenze e quelle innegabili scoperte dal punto di vista pittorico, esplorate da personaggi come Leonardo da Vinci, Caravaggio, Jan Vermeer, che seppero dare una veste nuova a tutta la ricerca effettuata fino al momento in cui il loro genio, ciascuno per la propria epoca, si è rivelato. Da Vinci aveva reso di nuovo il corpo umano centrale nella pittura, dopo i secoli bui del Medioevo in cui la morale ecclesiastica aveva impedito agli artisti di riprodurre la purezza scultorea delle grandi civiltà del passato come quella greca e quella romana in cui la quasi totale nudità evidenziava l’abilità esecutiva degli artisti e anche la forza e la possenza dell’essere umano. Quasi cento anni dopo Caravaggio studiò non solo il corpo umano per riprodurne alla perfezione il movimento di ogni muscolo e di ogni espressione, ma introdusse anche un innovativo utilizzo della luce in virtù della quale riuscì a contrastare e definire con maggiore precisione le movenze e le ambientazioni dentro cui collocava i suoi protagonisti, sia che appartenessero a una rappresentazione religiosa sia fossero dedicati a scene quotidiane. Un approccio simile, di contrasto e di netta definizione del passaggio tra luce e ombra, contraddistinse anche uno dei maggiori esponenti della pittura del Secolo d’oro olandese, Jan Vermeer, la cui nitidezza rappresentativa concentrava la sua attenzione proprio sulla figura umana, sulla sua bellezza e sulla necessità di mettere in evidenza dettagli fondamentali e al contempo esaltando l’intensità delle scene. La medesima visione dal punto di vista del contrasto cromatico e dall’alternanza tra chiaro e scuro, tra luminosità e ombra, fu ripreso nel Ventesimo secolo dalla maggiore esponente dell’Art Déco, Tamara de Lempicka; in questa artista la descrizione meno realista e soprattutto patinata come le immagini delle riviste di moda, veniva enfatizzata e resa affascinante proprio dal gioco di luci e ombre e dalle linee pulite e nette, da quella profondità quasi irreale necessaria a esaltare la bellezza algida e irraggiungibile delle sue protagoniste. L’artista austriaco Daniel Wimmer assorbe le esperienze artistiche di questi grandi maestri del passato e le fonde in un linguaggio pittorico figurativo unico dove l’ammirazione per la scultura si mescola alla tecnica di Caravaggio di creare letteralmente le scene, curando ogni minimo dettaglio, mettendo in posa modelli e studiandone i più piccoli particolari esattamente come un regista teatrale o cinematografico, da cui poi estrapola la sensazione che riceve nell’immediato dopo averne generato il percorso.
Non solo, la luce, come nel maestro del Seicento e come in Tamara de Lempicka, scolpisce, evidenzia, crea contrasto va a infondere un senso di irrealtà che sembra armonizzarsi con pose innaturali eppure dense di emotività, simboliche della vita attuale, delle necessità esistenziali ed emotive di un individuo consapevole di dover trovare la propria forza solo all’interno di sé. La luminosità delle opere di Wimmer ricorda le scene marittime di Joaquin Sorolla, maestro dell’Impressionismo spagnolo, dove la luminosità è contrapposta all’ombra in maniera netta, quasi spigolosa, seppure quest’ultima non riesce ad attenuare la predominanza chiara, come se a prevalere dovesse essere sempre la visione positiva, l’atteggiamento aperto verso la vita e tutto ciò che può offrire.
I giovani protagonisti dei dipinti di Daniel Wimmer appaiono sicuri di sé, consapevoli della loro forza e di poter costruire un futuro in cui desiderano rimanere in contatto con la propria interiorità, con quell’impulso introspettivo che l’autore coglie raccontando un frangente apparentemente normale trasformato in istante straordinario, come se tutto ciò che conta fosse racchiuso in quel frammento di vita.
I corpi agiscono, si muovono all’interno della scena costruita, fino al momento in cui l’artista non decide che una determinata e singola posa è quella definitiva, quella che soddisfa la sua ispirazione e il suo istinto creativo e così, come ogni grande fotografo, ferma l’immagine e la rielabora con il particolare stile pittorico che lo contraddistingue, per infonderle quell’inconfondibile apporto di luce, quell’esaltazione dei contrasti cromatici che infondono alle sue tele una forte plasticità.
Daniel Wimmer tralascia la perfezione del dettaglio per prediligere l’atmosfera suggestiva, quasi illusoria, all’interno del quale l’osservatore può perdersi riflettendo sulla poeticità degli ambienti, sull’equilibrio tra sentire del soggetto ed emanazione verso l’esterno; questo tipo di connessione emerge in modo evidente dalla tela Hero in cui lo sguardo pieno di fiducia del ragazzo, la rassicurazione che emerge dalla sua posa, sono enfatizzate dal dettaglio di una collana quasi tribale, come se a egli fosse affidato il compito ancestrale della difesa del domani dell’umanità. Il paesaggio circostante dunque diviene il luogo da proteggere per renderlo sicuro, un posto indefinibile in cui coltivare i propri sogni, i propri valori e in cui portare chi ne sia meritevole; la sensazione che emerge, nonostante la giovane età del ragazzo, è di una saggezza responsabile in virtù della quale può condurre l’essere umano verso un’elevazione e una crescita interiore.
L’opera Balance è simbolica invece della necessità di concentrazione, di ricerca della centratura del sé attraverso la quale poter diventare coscienti delle difficoltà, degli ostacoli che nella vita inevitabilmente si incontrano e per cui è fondamentale mantenere un atteggiamento equilibrato e calmo; la ragazza protagonista cerca di far restare in piedi delle piccole barrette di legno e il suo impegno rappresenta l’impegno essenziale per raggiungere l’obiettivo, in un momento ludico come quello narrato, tanto come in uno più esistenziale e cruciale. Il suggerimento per l’osservatore è di non abbattersi davanti alle difficoltà bensì di resistere e tentare ancora e ancora per raggiungere il traguardo, per quanto lontano o improbabile esso possa apparire.
Il dipinto Down is the new up enfatizza addirittura il concetto appena esposto poiché nel salto il ragazzo sta per capovolgersi e cadere eppure non sembra sentirsi in pericolo o spaventato, piuttosto va fiducioso verso l’epilogo di quella scelta, della decisione di elevarsi per poi tornare a terra senza sapere cosa accadrà; eppure, sembra suggerire Daniel Wimmer, la caduta è solo una fase dell’esistenza senza la quale non sarà possibile misurare la propria forza nel rialzarsi, non sarà sperimentabile alcuna giusta scelta senza prima non averne presa una sbagliata, perché in fondo la vita è costituita da quegli alti e bassi frutto del coraggio e dai quali si può solo apprendere.
Dunque la meraviglia nelle sue opere si trova oltre quell’aspetto luminoso ed esteticamente armonico, e va a insinuarsi nei significati di quelle pose plastiche, si nasconde dietro le pieghe di uno sguardo, di un movimento, dell’osservazione di ciò che accade intorno apparendo familiare pur assumendo una connotazione insolita, irreale, sottolineata attraverso l’utilizzo del colore a olio a volte spatolato, steso con le dita o con i pennelli, sulla base dell’intenzione che l’artista desidera dare a ogni singolo fotogramma dell’opera. Daniel Wimmer ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive e personali in Germania e in Austria, e le sue opere sono state esposte nelle principali manifestazioni e fiere d’arte austriache.
DANIEL WIMMER-CONTATTI
Email: wida-art@gmx.at
Sito web: www.wida-art.com/
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The observation of the individual through the study of every last detail, muscle or position that belonged to him constituted the focal point for the artistic production of many great masters of the past to the point of becoming one of the first subjects of academic study; in this type of deepening even light was fundamental to infuse the gaze with the sense of depth, of adherence to reality necessary to give a credible narrative in which aesthetic perfection had to be associated with the ability to reproduce everyday or extraordinary scenes or simply impeccable portraits commissioned by the nobility. In contemporary times, some artists remain strongly attached to this pictorial approach, softening it, however, with the sense of emotionality that belongs to the current century where the body is transformed into a medium to express all that could not otherwise be told. Today’s protagonist belongs to this group of artists.
When the pictorial and sculptural interpreters of the 20th century found themselves having to, and wanting to, adapt to the changing times, they somehow had to make a choice to either tend towards innovations by completely subverting the previous order, or somehow remain tied to it while introducing themes and interpretations more akin to a completely changed society. Therefore, alongside those who decided to break with the academic past and its traditional guidelines, there were other creatives who could not deny those strong influences and undeniable discoveries from a pictorial point of view, explored by the masters such as Leonardo da Vinci, Caravaggio and Johannes Vermeer, who were able to give a new look to all the research carried out up to the moment when their genius, each for his own era, was revealed. Da Vinci had once again made the human body central to painting, after the dark times of the Middle Ages in which ecclesiastical morality had prevented artists from reproducing the sculptural purity of the great civilisations of the past such as the Greeks and Romans in which almost total nudity emphasised the artists’ skill as well as the strength and power of the human being. Almost one hundred years later, Caravaggio not only studied the human body in order to perfectly reproduce the movement of every muscle and every expression, but also introduced an innovative use of light by virtue of which he was able to contrast and define with greater precision the movements and settings within which he placed his protagonists, whether they belonged to a religious representation or were dedicated to everyday scenes. A similar approach of contrast and sharp definition of the transition between light and shadow also characterised one of the greatest exponents of Dutch Golden Age painting, Johannes Vermeer, whose representational sharpness focused his attention precisely on the human figure, its beauty and the need to emphasise fundamental details while enhancing the intensity of the scenes.
The same vision from the point of view of chromatic contrast and the alternation between light and dark, between brightness and shadow, was taken up again in the 20th century by the greatest exponent of Art Deco, Tamara de Lempicka; in this artist, the less realistic and above all glossy description, like the images in fashion magazines, was underlined and made fascinating precisely by the play of light and shadow and the clean, sharp lines, by that almost unreal depth necessary to enhance the algid and unattainable beauty of her protagonists. The Austrian artist Daniel Wimmer absorbs the artistic experiences of these great masters of the past and blends them into a unique figurative pictorial language where admiration for sculpture is mixed with Caravaggio‘s technique of literally creating scenes, taking care of every detail, posing models and studying the tiniest particular exactly like a theatre or film director, from which he then extrapolates the sensation he receives immediately after generating the path. Not only that, the light, as in the master of the 17th century and as in Tamara de Lempicka, sculpts, highlights, creates contrast and infuses a sense of unreality that seems to harmonise with unnatural yet emotionally dense poses, symbolic of current life, of the existential and emotional needs of an individual aware that he must find his strength only within himself.
The luminosity of Wimmer‘s works is reminiscent of the maritime scenes of Joaquin Sorolla, the master of Spanish Impressionism, where brightness is contrasted with shadow in a clear, almost angular manner, although the latter fails to attenuate the clear predominance, as if a positive outlook, an open attitude towards life and all that it has to offer, should always prevail. The young protagonists in Daniel Wimmer‘s paintings appear self-confident, aware of their strength and of being able to build a future in which they wish to remain in touch with their inner selves, with that introspective impulse that the author captures in recounting an apparently normal juncture transformed into an extraordinary instant, as if everything that matters were contained in that fragment of life. The bodies act, they move within the constructed scene, until the moment when the artist decides that a specific and single pose is the definitive one, the one that satisfies his inspiration and creative instinct, and so, like any great photographer, he stops the image and reworks it with the particular pictorial style that distinguishes him, to infuse it with that unmistakable contribution of light, that exaltation of chromatic contrasts that infuse his canvases with a strong plasticity.
Daniel Wimmer omits the perfection of detail in favour of an evocative, almost illusory atmosphere, within which the observer can lose himself, reflecting on the poetic nature of the environments, on the balance between the feeling of the subject and the emanation towards the outside world; this type of connection emerges clearly from the painting Hero in which the boy’s trusting gaze, the reassurance that emerges from his pose, are emphasised by the detail of an almost tribal necklace, as if he were entrusted with the ancestral task of defending the future of humanity. The surrounding landscape therefore becomes a place to be protected to make it safe, an indefinable place in which to cultivate dreams, values and to which to bring those who are worthy of them; the feeling that emerges, despite the boy’s young age, is of a responsible wisdom by virtue of which he can lead the human being towards elevation and inner growth. On the other hand, the artwork Balance is symbolic of the need for concentration, of the search for the centring of the self through which one can become aware of the difficulties, of the obstacles that one inevitably encounters in life and for which it is essential to maintain a stable and calm attitude; the girl protagonist tries to keep the small wooden bars standing, and her commitment represents the essential effort to achieve the goal, in a playful moment like the one narrated, as much as in a more existential and crucial one. The suggestion for the observer is not to give up in the face of difficulties but to resist and try again and again to reach the goal, however distant or improbable it may seem.
The painting Down is the new up even emphasises the concept just exposed because in the jump the boy is about to turn over and fall and yet he does not seem to feel in danger or frightened, rather he goes confidently towards the epilogue of that choice, of the decision to rise and then return to the ground without knowing what will happen; and yet, Daniel Wimmer seems to suggest, the fall is only a phase of existence without which it will not be possible to measure one’s own strength in getting back up, it will not be possible to experience any right choice without first not having made a wrong one, because after all life consists in those ups and downs that are the result of courage and from which one can only learn. Thus, the wonder in his artworks lies beyond that bright and aesthetically harmonious aspect, and creeps into the meanings of those plastic poses, hiding behind the folds of a glance, of a movement, of the observation of what is happening around, appearing familiar while taking on an unusual, unreal connotation, emphasised through the use of oil colour, sometimes smeared, spread with fingers or brushes, based on the intention that the artist wishes to give to each individual frame of the work. Daniel Wimmer has to his credit group and solo exhibitions in Germany and Austria, and his artworks have been exhibited at major Austrian art events and fairs.
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