Tutto ciò che appartiene all’essere umano, al suo sentire più profondo e intimo, si riflette nella produzione artistica di quegli interpreti che non riescono a soffermarsi sulla forma, sull’immagine esteriore perfetta e imperativo del vivere attuale, bensì hanno bisogno di osservare tutte le sfaccettature attraverso le quali l’interiorità si manifesta fino a fuoriuscire dalla tela per comunicare con l’osservatore, chiamato così a diventare anche interprete delle sensazioni espresse dall’autore di un’opera. Non solo, a quel punto il fruitore diviene una vera e propria spugna che assorbe e poi rilascia secondo il proprio vissuto e la propria sensibilità le emozioni mosse dalle vibrazioni generate dall’incontro tra ricezione visiva e le profondità dell’animo. Il protagonista di oggi sospende le sue tele in un’atmosfera surreale eppure fortemente reale, dove la memoria seleziona e lascia emergere solo ciò di cui ha bisogno per sentirsi meglio, per rasserenarsi o, al contrario, per vincere paure e irrequietezze legate a episodi passati.
La sfaccettatura più esistenzialista dell’Espressionismo cominciò a far sentire in modo più forte la sua voce nel periodo della prima guerra mondiale e in quello a cavallo con la seconda, poiché tutto ciò a cui i popoli europei e gli artisti, molti dei quali costretti ad arruolarsi, avevano assistito in quel periodo buio era stato dolore, distruzione e perdita di ogni riferimento, di ogni certezza. Dalle tinte forti e aggressive dei Fauves francesi e anche di interpreti come Emil Nolde e di Ernst Ludwig Kirchner si scivolò verso le atmosfere cupe e spettrali di Edvar Munch o quelle piene di ricordi delle battaglie e di scene di guerra di Otto Dix. Ma quello che più di tutti seppe rappresentare la desolazione della vita quando priva di uno sguardo verso il futuro, immersa nell’incertezza e nella mancanza di punti fermi e che per questo andò a esplorare nel profondo se stesso e ciò che gli era di conforto, fu Egon Schiele il quale con le sue nudità, con la sua ossessione per la sessualità, fu capace più di tutti di tratteggiare la disperazione umana di quel periodo; il percorso esistenzialista del maestro austriaco fu affiancato da quello dello scultore Alberto Giacometti le cui esili e scarne figure interpretavano in pieno le difficoltà del vivere e la resilienza appartenente all’individuo che riusciva a manifestarsi nonostante le avversità. Tornando alla pittura, qualche decennio dopo la Scuola di Londra mostrò l’attitudine a voler rimanere su quel cammino di studio e approfondimento dell’animo umano, di quel sentire intimo che fuoriesce soprattutto dalla nudità, dalla deformità proprio perché quando privato della patina più piacevole, l’uomo è costretto a mettersi in contatto solo con la sua essenza; dunque le opere di Lucian Freud, con i corpi opulenti e flaccidi, sottolineano il peso del vivere, l’incapacità di trovare uno scopo che possa rallentare il decadimento dell’esteriorità, forse riflesso di coscienze incapaci di assaporare quei piccoli momenti, quei piccoli dettagli che compongono il semplice puzzle della vita. Francis Bacon invece puntò sulla messa in evidenza di quel non detto appartenente alla vera anima dei personaggi, compose ritratti di nobili e di ecclesiastici urlanti in cui addirittura a volte cancellava attraverso righe pittoriche il risultato finale, per poi giungere ai volti completamente deformi, prodotti a causa della malattia agli occhi che lo afflisse fino alla sua morte ma che di fatto decretò il suo successo planetario. Il percorso all’interno della sensibilità umana, attraverso cui l’individuo divenne centrale nella pittura, era ormai iniziato e divenne spunto e ispirazione per tutta la nuova generazione di creativi che devono necessariamente misurarsi con le sfide e le difficoltà della società contemporanea, piena di facilitazioni ma anche di incredibili insidie che potrebbero far sentire l’uomo persino più solo e disperato che in precedenza. La produzione dell’artista georgiano Erekle Chinchilakashvili ruota esattamente intorno al fulcro della ricerca anticipata da Egon Schiele e raccolta da Lucian Freud e da Francis Bacon, sebbene nelle sue tele la presenza umana è lasciata in ombra, non appartiene alla composizione perché ciò che invece conta è la sua memoria, i ricordi, quei frammenti di vita essenziali a trattenere il passato e a lasciare che sia quasi un rifugio da un presente insoddisfacente, incapace di appagare, o semplicemente giustificazione all’inabilità a vivere l’adesso.
Dunque l’uomo diviene emanatore di quelle sensazioni che si trasferiscono sulla tela sotto forma di fotografie, di oggetti, di album di famiglia, di evocazioni di viaggi compiuti e di paesi lontani visitati, essendo così protagonista dal punto di vista esistenziale, ed è qui che la produzione di Erkle Chinchilakashvili si allaccia a quella dei suoi predecessori espressionisti, anche se il legarsi prevalentemente a oggetti familiari e rassicuranti o a memorie indelebili di un passato intimo e personale, è riconducibile da un lato alla manifestazione emozionale Fauves di Henri Matisse e dall’altro alla magia delle piccole cose del sognatore Marc Chagall.
Qui però la dimensione leggera e positiva tende più verso l’interiorizzazione del ricordo, l’accoglimento o, al contrario, la negazione di un passato non sempre piacevole, mostrando quei percorsi della psiche umana attraverso cui si formano le personalità, in virtù delle quali si modificano le sensazioni, la percezione della realtà circostante e l’approccio nei confronti di tutto quel bagaglio che ciascuno porta con sé. Non solo, attraverso le sue opere, a volte apparentemente fluttuanti, altre completamente decontestualizzate e alcune addirittura quasi cancellate con il pennello con lo stesso tratto che contraddistinse le prime opere di Gerard Richter, Erekle Chinchilakashvili sottolinea la selettività della memoria, che sceglie sulla base emozionale, quali dettagli lasciar emergere e quali invece eliminare perché non funzionali all’introspezione del momento.
Va da sé che con un tipo di osservazione tanto intimista e introspettiva, assoggettata all’interpretazione del singolo, la scelta di non dare titoli alle sue opere sia necssaria per lasciare che quelle emozioni sottintese possano letteralmente fuoriuscire dalla tela, a volte in lino a volte in iuta forse perché questi due materiali si conformano in maniera migliore all’intento espressivo dell’autore, e andare a dialogare con lo scrigno dei ricordi dell’osservatore. Ciò che Erekle Chinchilakashvili compie con i suoi dipinti, è permettere a ciascuno di riconoscere un dettaglio sbiadito, un particolare impercettibile ad altri che lo connette con il suo passato, il suo trascorso, che viene così sollecitato e fatto emergere dalle atmosfere sospese che lo contraddistinguono e che conducono verso quella dimensione inconscia eppure fortemente condivisa poiché appartenente all’essere umano.
Ma il percorso narrativo dell’artista non si ferma alla memoria individuale, che di fatto è quella attraverso cui si compie l’interpretazione e la condivisione tra sguardo soggettivo e immagine rappresentata, bensì si estende anche alla memoria collettiva, legata al patrimonio culturale, alle caratteristiche di luoghi distanti e tuttavia in grado di evocare un senso di familiarità suscitato sia dall’indefinitezza che anche dalla conoscenza, seppure solo legata alle immagini, di paesi con origini completamente differenti ma tuttavia sempre appartenenti alla stessa radice esistenziale.
Ecco perciò che nel sentire, nell’emozione, nel ricordo, l’atteggiamento dell’individuo è comune a qualsiasi radice formativa e a qualunque attitudine della società in cui l’uomo vive, non esistono più distinzioni, piuttosto solo sensazioni intime e personali coniugabili all’identità più autentica del singolo; è in questo che le opere di Erekle Chinchilakashvili diventano universali, parlano un linguaggio comprensibile malgrado possano apparire ermetiche, perché in fondo la parte meno razionale è forse quella predominante in ciascuno ed è quella che permette di comprendere in maniera chiara anche ciò che la mente non riuscirebbe a spiegare.
La decontestualizzazione, la fluidità di alcune immagini, così come le cancellazioni quasi a voler rinnegare alcuni dettagli, appartengono al normale processo di accettazione e di conservazione, o al contrario di negazione dell’accaduto, degli episodi o anche delle persone che hanno incontrato il cammino di un’altra in un momento sbagliato o provocando l’esigenza di rifiutare quella memoria.
Erekle Chinchilakashvili, artista multidisciplinare, concentra la sua ricerca artistica sulle connessioni tra realtà e immaginazione, cerca di esplorare la fragilità, il flusso costante e la trasformazione della percezione umana; è attivo in diversi campi dei media, come la pittura, l’installazione e il video, oltre ovviamente alla pittura. Erekle Chinchilakashvili ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive a Budapest, a Oklahoma City e a Berlino, e tre mostre personali di cui due a Budapest e una a Oklahoma City.
EREKLE CHINCHILAKASHVILI-CONTATTI
Email: ereklec@hotmail.com
Sito web: www.ereklech.com/
Instagram: www.instagram.com/erekle.ch/
Everything that belongs to the human being, to his deepest and most intimate feelings, is reflected in the artistic production of those interpreters who are unable to dwell on form, on the perfect exterior image and imperative of current living, but rather need to observe all the facets through which interiority manifests itself until it comes out of the canvas to communicate with the observer, who is thus also called upon to become an interpreter of the sensations expressed by the author of an artwork.
Not only that, at that point the viewer becomes a veritable sponge that absorbs and then releases, according to his own experience and sensitivity, the emotions moved by the vibrations generated by the encounter between visual reception and the depths of the soul. Today’s protagonist suspends his canvases in a surreal and yet strongly real atmosphere, where memory selects and lets emerge only what it needs to feel better, to reassure itself or, on the contrary, to overcome fears and restlessness linked to past episodes.
The more existentialist facet of Expressionism began to make its voice heard more loudly in the period of the First World War and in the period straddling the Second, ‘cause all that the people of Europe and the artists, many of whom were forced to enlist, had witnessed in that dark period was pain, destruction and loss of all reference, all certainty. From the strong, aggressive hues of the French Fauves and also artists such as Emil Nolde and Ernst Ludwig Kirchner, one slid towards the dark, spectral atmospheres of Edvar Munch or those filled with memories of battles and war scenes by Otto Dix.
But the one who most of all was able to represent the desolation of life when deprived of a glimpse of the future, immersed in uncertainty and a lack of fixed points, and who therefore went deep inside himself and what comforted him, was Egon Schiele who, with his nudity, with his obsession for sexuality, was able more than anyone else to portray the human despair of that period; the existentialist path of the Austrian master was flanked by that of the sculptor Alberto Giacometti whose slender, gaunt figures fully interpreted the difficulties of living and the resilience belonging to the individual who managed to manifest himself despite adversity. Returning to painting, a few decades later the London School showed an aptitude for remaining on that path of study and investigation of the human soul, of that intimate feeling that emerges above all from nudity, from deformity precisely because when deprived of the most pleasing patina, man is forced to get in touch only with his essence; thus Lucian Freud‘s paintings, with their opulent and flaccid bodies, emphasise the weight of living, the inability to find a purpose that can slow down the decay of exteriority, perhaps a reflection of consciences incapable of savouring those small moments, those little details that make up the simple puzzle of life.
Francis Bacon, on the other hand, focused on highlighting that unspoken belonging to the true soul of the characters, he composed portraits of nobles and shouting clergymen in which he even sometimes erased the final result through pictorial lines, to then arrive at the completely deformed faces, produced due to the eye disease that afflicted him until his death but which in fact decreed his planetary success. The journey within human sensibility, through which the individual became central in painting, had now begun and became the starting point and inspiration for the entire new generation of creatives who necessarily had to measure themselves against the challenges and difficulties of contemporary society, full of facilities but also incredible pitfalls that could make man feel even more alone and desperate than before.
The production of the Georgian artist Erekle Chinchilakashvili revolves exactly around the fulcrum of the research anticipated by Egon Schiele and picked up by Lucian Freud and Francis Bacon, although in his canvases the human presence is left in the shadows, it does not belong to the composition because what counts instead is its memory, the rememberies, those fragments of life essential to holding on to the past and allowing it to be almost a refuge from an unsatisfactory present, incapable of satisfying, or simply justification for the inability to live the now. Thus, man becomes the emanator of those sensations that are transferred to the canvas in the form of photographs, objects, family albums, evocations of journeys made and distant countries visited, thus being the protagonist from an existential point of view, and it is here that Erkle Chinchilakashvili‘s production is linked to that of his expressionist predecessors, although the predominantly binding to familiar and reassuring objects or to indelible memories of an intimate and personal past can be traced back to Henri Matisse‘s Fauves emotional manifestation on the one hand and to the magic of small things of the dreamer Marc Chagall on the other.
Here, however, the light and positive dimension tends more towards the internalisation of the memory, the acceptance or, on the contrary, the denial of a past that is not always pleasant, showing those path of the human psyche through which personalities are formed, by virtue of which sensations are modified, the perception of the surrounding reality and the approach to all that baggage that each person carries with them. Not only that, through his paintings, at times apparently floating, at others completely decontextualised and some even almost erased with the paintbrush with the same stroke that characterised Gerard Richter‘s early works, Erekle Chinchilakashvili emphasises the selectivity of memory, which chooses, on an emotional basis, which details to allow to emerge and which to eliminate because they are not functional to the introspection of the moment. It goes without saying that with such an intimist and introspective type of observation, subject to the interpretation of the individual, the choice of not giving titles to his works is necessary to allow those implied emotions to literally spill out of the canvas, sometimes in linen sometimes in jute perhaps because these two materials conform better to the author’s expressive intent, and go into dialogue with the observer’s treasure chest of memories.
What Erekle Chinchilakashvili accomplishes with his paintings is to allow everyone to recognise a faded detail, a particular imperceptible to others that connects him with his past, his bygone, which is thus stimulated and brought out by the suspended atmospheres that distinguish him and lead towards that unconscious yet strongly shared dimension because it belongs to the human being. But the artist’s narrative path does not stop at individual memory, which is in fact the one through which the interpretation and sharing between the subjective gaze and the represented image takes place, but also extends to collective memory, linked to cultural heritage, to the characteristics of places that are distant and yet able to evoke a sense of familiarity aroused both by indefiniteness and by the knowledge, even if only linked to images, of countries with completely different origins but nevertheless always belonging to the same existential root.
It is therefore that in feeling, in emotion, in memory, the attitude of the individual is common to any formative root and to any attitude of the society in which man lives, there are no longer any distinctions, rather only intimate and personal sensations conjugated to the most authentic identity of the individual; it is in this that Erekle Chinchilakashvili‘s artworks become universal, speaking a language that is comprehensible despite the fact that they may appear hermetic, because after all, the less rational part is perhaps the predominant side in everyone and it is the part that allows to clearly understand even what the mind cannot explain. The decontextualisation, the fluidity of certain images, as well as the erasures almost as if to deny certain details, belong to the normal process of acceptance and preservation, or on the contrary of denial of what has happened, of episodes or even of people who have crossed the path of another at the wrong time or provoking the need to reject that memory. Erekle Chinchilakashvili, a multidisciplinary artist, focuses his artistic research on the connections between reality and imagination, and seeks to explore the fragility, constant flux and transformation of human perception; he is active in various media fields, such as painting, installation and video. Erekle Chinchilakashvili has to his credit participation in group exhibitions in Budapest, Oklahoma City and Berlin, and three solo exhibitions, two in Budapest and one in Oklahoma City.
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