“Ripamaro”, alla scoperta dal libro di Tommaso Tommasi

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ripamanoL’estate 1977 – il lungo poemetto d’esordio – è un viaggio sulle orme del passato, a partire dal ritorno nella sua vecchia casa, con la rivisitazione delle suggestioni dell’infanzia e quindi degli affetti familiari e domestici. È un lungo soliloquio tra l’io e l’alter ego sui luoghi, le figure, gli eventi d’un tempo, nel quale ama spesso divagare mediante meditazioni esistenziali. Vi sono immagini classiche della civiltà agreste («Rivedo il grande focolare riscaldare le sere d’inverno»), un certo Quirino che gli raccontava le favole e lui lo stava ad ascoltare all’infinito, talune descrizioni della dura vita della campagna. Gli sono rimasti impressi i racconti di guerra con la prigionia nei campi recintati «dove le croci guardavano il sangue scorrere», ma risale alla memoria anche le sua storia d’amore vissuta con «momenti di tenerezza e momenti di furore». Inevitabili giungono i raffronti tra quel tempo e il tempo presente. «L’ideale e la realtà che poi ho trovata diversa», ovvero quel contrasto tra l’io e il mondo, la società, gli altri che il poeta matura e sviluppa crescendo: «Questo mondo non può essere il mio… Il mondo è condannato all’abisso» […].

Inno al mare è il secondo poemetto, più breve, carico di simboli, di vissuti d’amore, di squarci paesistici d’impatto teatrale dove antichi marinai e gabbiani occupano la scena. Possiamo considerarlo come un richiamo alla vita, ma non senza problematiche: sono sempre i labirinti del poeta ad emergere in primo piano. Infatti se il mare può rappresentare la voglia di vivere e la speranza, le sue riflessioni pongono delle condizioni: esiste anche un mare dell’abitudine, un mare vecchio della noia; un mare dell’insicurezza che colpisce la sua barca; un mare senza vento che possa spingere il suo naviglio esistenziale. Alcune chiavi di lettura positive del poemetto si trovano verso l’epilogo: «Splendono i tuoi occhi d’un sentimento che mi penetra la mente e mi rituffa il cuore nel mare dolce della quiete»; «Le mani aperte in candidi veli accarezzano ricordi. Con i piedi immersi nell’acqua del mare nasce un nuovo figlio». Il poemetto è strutturato formalmente in pensieri lirici raccolti in strofe libere nello sviluppo del tema […].
Enzo Concardi

La seconda parte del libro accoglie una nutrita serie di poesie brevi, “gocce” di saggezza creativa, ove sperimentazione formale-linguistica e concentrazione riflessiva si uniscono stimolate da passione partecipativa e dal gusto di una meditata, mordente ironia: «Il cappotto nasconde la gravità / sublime di fronte all’altalenante / fantoccio che dice ‘sì’»; «Grazie all’impronta del giocatore / che va per giocare ma resta giocato / sublimo il palcoscenico per tutelare / la frequenza»; «Gli alberi lontani e silenziosi / sembrano abbassarsi al suolo fino ai / fiori della vita»; «Con gli occhi arrossati rispondo al / vento che muove i cavalli verso / strade calde».

Sul palcoscenico della vita, definita in un incompiuto componimento finale, con ricercatezza ossimorica, «piacevole tormento», le avventure sembrano finite, «eppure ogni giorno è / un’avventura»; e se «il giornale è / lo specchio di una vita / senza coraggio, dove / nessuno sa recitare la propria parte e cade / all’indietro», Tommasi intende aggredire con rigore «i conformismi e le ipocrisie sociali, le mode e le tendenze snob, l’avere e l’apparire», secondo che avverte nella prefazione, con la consueta lucidità, l’amico Enzo Concardi. Comunque anche in questo contesto lo sguardo del poeta è rivolto alle prospettive del futuro («L’albero senza fronde non oscura il sole se due / uomini guardano lontano»), giacché a suo parere ogni soluzione conservatrice rappresenta un ostacolo sostanziale per la fantasia e la libertà: «Ritornare non può allargare la / mente a nuove scoperte e a nuovi / comportamenti» […].
Floriano Romboli

INNO AL MARE

I vecchi marinai si nascondono tra le ali del mare e ricordano
la loro storia come un grande teatro. E come un grande teatro
i gabbiani girano tra le pale del mulino, specchiandosi nelle
loro giravolte che l’aria cristallizza nel mosaico dolce di
lontani messaggi.

Seduto sullo scoglio, mentre il mare batte le sue onde
distruggendo piano piano quello che ora vediamo forte,
scompare la mia sicurezza che talvolta tra la gente, nascosto
sempre agli altri, appare a pochi intimamente.

Le canne ormai secche e il mare lontano mi chiamano alla
vita: dovrò salire sulla montagna del sole a vedere orizzonti
sconosciuti.

Lacrime nere di cristallo saltellano nel mare vecchio della
noia. Baracche riflettono nell’acqua il silenzio.

Nel mare dell’abitudine ricerco una nuova via tra gli scogli
oscuri della notte.

I tuoi capelli biondi e infiniti – mi ci perdevo – mi fanno
perdere nel mare azzurro di un caldo pensiero.

Sulla riva del mare ho trovato una conchiglia, ricordo
della tua estate.

Sento il mare che ruggisce quasi volesse inghiottire la fascia
d’asfalto. Le luci silenziose illuminano la pioggia che batte
sull’ombrello aperto della mia pena.

Nella notte solitaria ho sempre sperato che mi amassi.
Per due volte ho visto muoversi il mare,
ed io dondolavo nel mio guscio.
…..

CANTO PER COSTANZA

Quante parole ci siamo detti, ma ora non trovo più parole.
So che non mi parlerai più. Eppure era facile trovare le parole.
Cos’è ora? Cosa sarà?

E non erano sempre le stesse parole. Momenti diversi,
sempre. E la vita procedeva quasi in parallelo,
anche se io ero qua e tu eri là.

Gli anni sono passati. Tanti. Forse pensavamo che la vita
fosse eterna. Ma come poteva essere eterna, ora che ti vedo,
come una statua di cera, che tua madre accarezza nel
tentativo estremo di ridarti la vita?

Un’altra vita. Una seconda vita.
Rimarrà di te solo qualche fotografia?

Eri stanca, tanto stanca. La vita ti ha chiesto tanto, come ad
una santa. Forse hai scelto tu di lasciare ogni progetto.
Ma abbandonare tua madre, questo no, non l’avresti voluto mai.
Io lo so, ché sono figlio.

Dov’è finito il tuo spirito? E tu ora dove sei? Non posso
credere che tutto sia finito così. Ma se io continuo a correre
per la città mentre tu ti sei fermata, qualcosa si è rotto nel
meccanismo dell’universo.

Che differenza c’è ora tra me e te? Tra me che non ho
una lapide che mi racchiude, che non ho una data,
che gli altri vedono ancora vivo, e te che invece
hai ricevuto tanti fiori e tante belle parole da chi forse ti conosceva,
da chi sapeva che eri dalla parte degli ultimi.

L’AUTORE

Tommaso Tommasi è nato a Ripatransone (AP) nel 1948, vive a Seriate (BG). Laureatosi a L’Aquila, ha insegnato teatro, fotografia, poesia, lingua italiana. Quindi è stato bibliotecario presso il Liceo Scientifico di Bergamo. Ha collaborato come pubblicista con giornali e riviste. Compone poesie dagli anni Settanta; ha pubblicato le raccolte: Il vento dell’anima (1977), Poesie di vita quotidiana (1990), Orizzontali azzurrità (1992), In viaggio col poeta (1994), Poesie del caos (1996), Sul mare azzurro della notte (2019), e il libro di narrativa: Masognaos (2011). La sua attività letteraria è recensita nell’opera: Storia della Letteratura Italiana. Dal secondo Novecento ai giorni nostri, quarto volume, terza edizione, Guido Miano Editore, Milano 2020. Tommaso Tommasi è anche pittore ed ha allestito diverse mostre personali e collettive. Nel concorso “Opera Uno 2011” si è classificato tra i vincitori.

Tommaso Tommasi, Ripamaro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 62, isbn 978-88-31497-42-8; mianoposta@gmail.com.