“Mi riesce difficile elaborarlo ancora oggi, è stata un’esperienza di impatto fisico ed emotivo fortissimo, passare tre anni in posti sconosciuti, senza conoscerne la lingue, stare per mesi in luoghi sperduti, pericolosi, feriti, ti fa tornare diverso e ancora ringrazio i miei produttori che a distanza mi consolavano, mi davano coraggio”, dice Rosi che si commuove a ricordare i sentimenti privati, in solitudine – il film è stato girato da lui con un solo operatore – tra un’umanità che dolente è dire poco.
Ora ‘Notturno’, in concorso a Venezia 77, sarà in sala e poi in giro per il mondo, richiesto già da moltissimi festival: Toronto, Telluride, New York e ancora, notizia di oggi, Londra, Busan, Tokyo. Protagoniste “otto persone, da luoghi distanti, diverse per esperienza”, le loro storie s’intrecciano in un mosaico tragico che seppure non spiega politicamente i drammi mediorientali – “sono ancora più confuso di quando sono partito” – danno allo spettatore uno scossone contro l’anestetizzazione cui ormai siamo abituati tutti sul tema dei migranti e delle guerre dimenticate. Un film di luce sul buio delle guerre, come lo stesso Rosi definisce ‘Notturno’, girato pericolosamente in Medio Oriente sui confini sempre incerti di Iraq, Kurdistan, Siria e Libano.
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