In una società complessa come quella contemporanea, il desiderio e l’inclinazione verso la semplicità del sentire, e del riprodurre, la realtà sembrano essere stati eclissati dalla tendenza a interpretare e svelare le maschere di un vivere che ha dimenticato l’immediatezza e la purezza delle cose genuine. Il protagonista di oggi è invece testimone di quanto la bellezza e le emozioni possano trovarsi anche, e soprattutto, nella semplicità.
L’Arte Naif cominciò ad affermarsi verso la fine del Diciannovesimo secolo, quando Henri Rousseau espose le sue opere al Salon des Indépendents di Parigi, aprendo così il sipario su un approccio completamente diverso alla realtà osservata, semplificando le immagini, annullando la prospettiva ma, soprattutto, raffigurando un mondo sognante, fiabesco, ingenuo, caratteristiche che decretarono il successo di questo grande artista e che diedero inizio al nuovo stile pittorico. A partire dai primi anni del Novecento il movimento Naif si diffuse anche in Germania, nei paesi dell’Est Europa, soprattutto dopo la Triennale d’Arte Naif di Bratislava, ma anche oltremanica, in particolar modo in America Latina dove ha assunto connotazioni più scanzonate, luminose, variopinte nei lavori dell’haitiano André Pierre, del colombiano Fernando Botero, del brasiliano Francisco Domingo Da Silva, solo per citarne alcuni. In Italia tra i maestri della anche detta Arte Ingenua si distinsero Orneore Metelli, con il suo approccio quasi architettonico nei confronti dei paesaggi e delle città descritte, meticoloso nel riprodurre palazzi e piazze che sovrastano la figura umana, e Antonio Ligabue, in cui attraverso la semplicità descrittiva e la scelta dei soggetti spesso legati al mondo animale, emergevano le inquietudini e il disagio interiore che accompagnò l’artista per tutta la sua esistenza. Qualche anno più tardi, poco dopo la metà del Novecento, emerse Nino Camardo, ancora giovane rispetto ai suoi colleghi ma già in grado di manifestare un’impronta unica e fortemente distintiva che caratterizzò la sua intera produzione artistica e che lo consacrò come uno dei grandi maestri del Naif italiano. Originario della Lucania scelse di abbandonare la sua terra per costruirsi un destino e un futuro diversi da quelli a cui sembrava essere destinato; nell’arco di brevissimo tempo scoprì la sua indole artistica e da quel momento in poi la tela si trasforma nella manifestazione del suo approccio alla vita, curioso, sognante, meravigliato su ogni singolo aspetto della quotidianità del popolo, degli eventi importanti, o di quelli più comuni e quotidiani, di cui tutt’oggi ama raccontare.
Il suo Naif si distingue da quello dei suoi coevi per diversi aspetti, non ultimo quello di infondere solarità e luminosità alle sue opere, un approccio cromatico più vicino allo stile latinoamericano che non a quello europeo e che sottolinea il piacere del vivere, del riunirsi, del festeggiare che è tipico dell’essere umano di ogni tempo. Gli eventi descritti da Camardo sono occasioni conviviali, feste di paese, processioni, testimonianze di un’epoca passata che rimane scolpita nella memoria comune, un percorso a ritroso nella comunità rurale, quella basata dul vivere semplicemente e sul contatto con la natura che è sempre fortemente presente e protagonista delle sue opere.
La tela Il sogno del mandriano è un perfetto esempio di quanto il mondo di Nino Camardo si divida tra realtà e immaginazione, tra quotidianità e sogno, appunto, la cui equilibrata convivenza riesce a infondere nell’osservatore una sensazione di serenità, di accettazione di un ruolo mentre immagina di essere in tutt’altro luogo, circondato da bellissime donne piuttosto che dalla mandria che deve governare. C’è quasi una sorta di ironia nell’intenzione espressiva dell’artista, quella tendenza a rivelare la debolezza dell’uomo nonostante il destino lo costringa a tutt’altra situazione rispetto a quella desiderata eppure lui continua a evadere con la mente e sperare che alla fine qualcosa di simile si realizzi.
E ancora, in La battaglia dei castellani, Camardo lascia emergere la tradizione legata a un passato medioevale, quella che ricorda agli uomini come erano solo qualche secolo fa, a volte anche cruenta ma parte di un modo di vivere, che però ammorbidisce con gli alberi che sembrano proteggere la cittadina sullo sfondo al cui apice pone il castello, un luogo tranquillo e lontano dal caos della battaglia. Con il suo Naif il maestro tende a mettere in evidenza la figura umana, pur collocandola nella moltitudine, per sottolineare quanto l’individualità non possa, e non debba, essere compromessa in virtù di un appiattimento, di una generalizzazione che, al contrario, può solo ricevere arricchimento dal contatto e dallo scambio reciproco.
Nell’opera Gli emigranti italiani si percepisce chiaramente il concetto dell’importanza della comunità che accoglie le diverse individualità; Camardo descrive un frammento importante della storia del popolo italiano, quello in cui le persone che desideravano cambiare il proprio destino e costruire un futuro migliore decidevano di spostarsi e di credere nel sogno che tutto fosse possibile, a dispetto delle difficoltà e degli affetti lasciati in patria. Tuttavia non si percepisce la tristezza nei volti degli uomini e delle donne protagoniste, semmai il senso di speranza per tutto ciò che li aspetta oltre il limbo dell’approdo nella nuova terra.
Ma forse l’opera più emblematica, quella in grado di racchiudere in sé tutte le caratteristiche distintive di Nino Camardo è Il matrimonio di Camilla, in cui la fantasia e l’atmosfera magica degli sposi posti nel cielo da cui si calano su mongolfiere fiabesche circondati da grandi farfalle che interrompono il rosso-arancio del tramonto, si coniuga con la realtà sottostante, quella degli invitati che attendono sbalorditi, la discesa a terra per dare inizio ai festeggiamenti. Ancora una volta non sa rinunciare al sogno il maestro, così come non sa rinunciare a narrare i piaceri semplici della vita, della collettività, quel ritrovarsi per stare insieme che contraddistingue da sempre la natura umana.
Il maestro Nino Camardo ha un lunghissimo percorso alle sue spalle che lo ha visto giungere al successo negli anni Settanta del Novecento e ricevere riconoscimenti di grande valore e apprezzamenti da critici d’arte, stampa e collezionisti di tutto il mondo. Tra i premi più importanti ci sono stati il Premio del Centro Studi di Roma, il Premio Arte nel Mondo; ha partecipato a numerose mostre nazionali e internazionali, tra cui una delle più rilevanti fu la personale al Palazzo delle Esposizioni di Roma che riscosse enorme successo di pubblico attirando collezionisti di tutto il mondo. È stato inserito nelle più prestigiose pubblicazioni sull’arte tra cui diverse edizioni de I Grandi Mestri della Storia dell’Arte e nel Catalogo Nazionale Bolaffi dell’arte Naif. Attualmente vive in Toscana ed è ancora in piena produzione artistica.
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