“Non è un ramo secco
è una radice che affonda
nel cuore della terra.
È uno sguardo che illumina
gli angoli più nascosti della casa,
è un altissimo pioppo
che sfiora l’infinito
e accarezza
l’ultima nuvola della sua primavera” – La lirica “Il vecchio”
I versi sottolineano, con uno stile di una musicalità travolgente, il concetto sostenuto da Papa Francesco di coltivare ‘la spiritualità delle persone anziane’, chiamate a farsi ‘poeti della preghiera’. Sia la Nostra che il Santo Padre espressero in tempi non sospetti la volontà di combattere la cultura dello scarto che con la pandemia ha tragicamente trionfato. L’Autrice è donna tesa ad arco verso il prossimo e verso gli amori e la sua spiritualità si estrinseca già in questa attitudine. Nella stessa Silloge dedica una Poesia di tre versi struggenti ai figli: “Diamanti e croci d’oro / nel pugno della tua mano / nel tuo cuore che batte finchè vivi” – “I Figli”. L’empatia con gli elementi della natura, madre – benigna è la costante della concezione artistica della D’Aristotile Galiffa. “Non è la luna / è una lampara che illumina le onde / che lente accarezzano la riva. L’uomo e il mare / in simbiosi / aspettano la notte” – la lirica “Di sera sul mare”. I versi sono tratti sempre dall’ultima Silloge e, nella loro ungarettiana brevità, possiedono il valore aggiunto di allestire, senza l’ausilio di figure retoriche, scenari di una bellezza e di una sanità indescrivibili. Nel leggere la Raccolta sono rimasta tanto stregata dal lirismo della Poetessa abruzzese che mi sarebbe piaciuto evitare ogni tentativo ermeneutico e parlare attraverso la levità magica del suo porsi. Si riferisce alla propria ispirata inclinazione verso l’arte del comporre recitando: “Scrivere sul rigo è pesante. / Preferirei le nuvole / che si addensano e si disperdono / e nel loro andare leggero e solitario / attraversano i secoli e la storia” – la lirica “Sul rigo” . Questi versi appartengono ancora a “Senza spazio né tempo” e trascinano in una voragine emotiva che si concretizza nella volontà di restituirci il sogno di vivere un rapporto simbiotico con i miracoli del creato. In realtà quel sogno noi uomini l’abbiamo perso, tradendo e offendendo l’ambiente, ovvero il nostro grembo, che Italo Calvino definiva ‘santuario per la resistenza e gli ideali di libertà. La saudade della Nostra non può considerarsi malinconica nostalgia del perduto, come sempre accade, in quanto la saggezza che funge da bussola del suo percorso umano e artistico, la spinge a evitare i rimpianti e a non lasciarsi intrappolare nella constatazione banale della legge del tempo che scorre volgendo lo sguardo sempre e solo indietro. A questo proposito è esaustiva la lirica tratta dalla Silloge del 2018 “Nei silenzi della sera”, intitolata “I segni del tempo”:
“Il passato
appartiene al ricordo.
Il presente
è divenire,
continuo evolversi
del tempo
in uno spazio indefinito
che disegna il futuro.
La speranza,
sorella della fede,
illumina la storia.”
La speranza è intesa nell’accezione cristiana di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi. Il concetto di speranza, considerata in senso salvifico, non come scialuppa alla quale aggrapparsi per resistere al moto ondoso dell’esistenza, ricorre in varie poesie dell’Autrice: “Tu mi chiamasti alla vita / e prima che nascessi mi hai dato un nome, / una voce una speranza” – tratti da “A mia madre” . I sentimenti della D’Aristotile Galiffa si potrebbero definire dimensioni dell’anima e non dipendono dalla visione oggettiva del mondo. La realtà è filtrata dal suo pendolo interiore che si muove in sincronia con la misura della saggezza.
“Una nevicata di farfalle bianche
sul mare d’agosto,
evento inaspettato
di una torrida estate.
Una speranza di pace si diffonde
in questa fosca realtà del giorno.
Passa lo sciame bianco,
solca il cielo
di un purissimo azzurro
e scompare”. La lirica “Farfalle bianche”
I versi citati appartengono alla Raccolta “Le strade dell’acqua” del 2014 e viaggiando all’indietro nella poetica dell’Autrice si ha la sensazione di approdare dolcemente alla foce degli affluenti che caratterizzano il fiume, ovvero il suo universo interiore. Nella Silloge del 1990 “Alberi e radici” sembra che le tematiche cerchino spazi e tempi più lunghi, si procede per aggiunte, non per sottrazioni come avviene più tardi. Le poesie si distendono, cercano radici e corsi d’acqua, ma sanno accontentarsi di essere talee e ruscelli del fiume in piena in divenire. “Il passato è una storia / una carta che brucia, / il presente è una voce / che si alza nel sereno, / una vela che si apre / al vento del mattino” – tratti da “Per un ricordo” . L’Antologia si chiude con liriche composte nel 1959 e raccolte nel testo “Grani di sabbia”. Stupisce come nell’arco di sessant’anni la compiutezza artistica della Nostra non abbia subito scosse. E ancor più sorprende lo spirito profetico di questa Poetessa sublime che recitava: “Non ci sono più le foglie / lungo la Nomentana, / stanca di suoni discordanti./ Non vibrano più sotto i passi / come voci di pensieri nascosti. La strada ha perduto / la sua voce / e gli alberi l’anima / delle sorelle morte” – tratti da “Foglie secche”. Leggendola ho desiderato immaginarla con una parafrasi di Eraclito: ‘pur percorrendo ogni suo sentiero non troverei i confini dell’anima’, aggiungendo che … saprei che nessun tempo e nessuno spazio hanno saputo scalfire le radici del suo sentire.
Recensione a cura di Maria Rizzi
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