ROMA – Quella che si è appena conclusa in Egitto doveva essere una Cop di “implementazione”, ma dopo due settimane di negoziati, accordi e piani nazionali continuano a essere insufficienti per mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi fissato a Parigi. Nonostante i sistemi alimentari e la produzione agricola abbiano avuto in questa COP una centralità mai registrata in nessun altro meeting sul clima organizzato prima d’ora, le soluzioni avanzate per affrontare il loro drammatico impatto non sono all’altezza dello status quo, confermando ancora una volta il peso degli interessi delle multinazionali dell’agroalimentare.
Edward Mukiibi, presidente di Slow Food, dichiara: «Il confronto si è spostato dal trovare soluzioni concrete alla crisi climatica – come abbandonare un sistema produttivo intensivo basato sui combustibili fossili a favore di tecniche agroecologiche – al sostenere misure di adattamento. Finanziare i paesi in via di sviluppo per fronteggiare gli effetti della crisi climatica senza individuare la radice delle cause e le misure per mitigarla non aiuterà nessuno. Darà solo maggiore libertà ai giganti dell’agroindustria di sostenere le loro false soluzioni improntate sul greenwashing».
Raoul Tiraboschi, vicepresidente di Slow Food Italia aggiunge: «Le aspettative deludenti purtroppo si sono concretizzate. Le dichiarazioni del vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, e della ministra del cambiamento climatico del Pakistan, Sherry Rehman sono totalmente condivisibili: la dichiarazione finale non è in alcun modo rispondente alle gravi problematiche a tutti ormai note. La giustizia climatica è ancora lontana».
Slow Food accoglie positivamente alcuni sviluppi della Cop 27. Il programma di oltre 200 eventi collaterali sui sistemi agricoli e l’allestimento di quattro padiglioni sul cibo e l’agricoltura dimostra che il mondo ha finalmente preso coscienza dell’impatto della produzione agroalimentare sul cambiamento climatico. Come anche l’aver dedicato una giornata all’agricoltura nel programma ufficiale. Infine, l’accordo sui fondi per perdite e danni è una buona notizia per i paesi che dimostrano maggiore vulnerabilità nel fronteggiare le avversità del cambiamento climatico.
Detto questo, la Cop 27 rimane «un contenitore vuoto, la cui agenda è stata dominata dalle multinazionali dell’agribusiness, a partire dalle più importanti aziende di produzione di carne e latticini, i big del settore pesticidi e fertilizzanti, i lobbisti dei combustibili fossili, e tante altre compagnie che hanno avuto mano libera nel bloccare ogni azione significativa possibile. Il numero di delegati di queste aziende è più che raddoppiato dall’ultima edizione ed è addirittura più alto dei rappresentanti di alcuni Paesi. E visto che queste multinazionali sono responsabili degli effetti che il nostro pianeta sta subendo, non avrebbero mai dovuto intervenire sui contenuti dei negoziati sul clima», afferma Slow Food.
In tutto ciò, «la voce dei contadini di piccola scala, dei produttori dell’agroalimentare e dei popoli indigeni, quelli che vivono gli effetti del cambiamento climatico giorno dopo giorno sulla loro pelle, è stata tenuta ai margini. Nonostante proprio questi ultimi siano centrali per la sicurezza alimentare a livello globale, visto che producono l’80% del cibo consumato in regioni come l’Asia e l’Africa Subsahariana, mentre i popoli indigeni sono i guardiani di una incredibile varietà di pratiche sostenibili. Le loro conoscenze tradizionali sono la chiave per fronteggiare i peggiori effetti dei cambiamenti climatici e ristabilire la resilienza».
Il risultato è stato che «le soluzioni e i sistemi alimentari davvero sostenibili sono stati messi da parte dalla Cop 27. Sfortunatamente, il Koronivia Joint Work on Agriculture non prende in considerazione i sistemi alimentari e considera marginale l’agroecologia come soluzione per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, nonostante i benefici che essa determina siano comprovati. Senza un mandato ambizioso per questo meccanismo, che ha l’obiettivo di stabilire azioni concrete e attuare nuove strategie di adattamento e mitigazione nel settore agricolo, il mondo non sarà in grado di sostenere sistemi alimentari sostenibili, giusti e resilienti che permettano ai popoli e alla natura di prosperare».
Slow Food condanna «le false soluzioni che vengono presentate agli appuntamenti internazionali sul clima, come gli Ogm. Se vogliamo assicurare sia sistemi alimentari di lunga durata che la sopravvivenza della vita sul pianeta così come la conosciamo, queste false soluzioni tecnologiche devono essere tenute fuori dalla prospettiva. I leader mondiali hanno bisogno di prendere coscienza che l’agroecologia è l’unico sentiero verso la resilienza, e ascoltare le necessità e le soluzioni messe in campo dai produttori di piccola scala».
E conclude: «Come abbiamo messo in evidenza nella Dichiarazione sul clima, Slow Food lavora per promuovere una filiera corta e giusta piuttosto che sistemi alimentari basati su produzioni intensive globali. Abbiamo bisogno di una trasformazione olistica dei sistemi che comprenda tutti gli anelli della catena, dalla produzione al consumo. La Cop 27 non è riuscita a consegnare un piano ambizioso per il futuro del cibo, ma la lotta continua. Slow Food continuerà a sviluppare azioni dal basso per contrastare il cambiamento climatico e a mobilitare la propria rete e i cittadini in tutto il mondo affinché politici e amministratori agiscano immediatamente, a livello locale e globale».