La scoperta della possibilità di lasciar interagire tecniche artistiche differenti e mescolarle trasformandole in uno stile personale e riconoscibile ha generato nei creativi contemporanei la tendenza a esplorare emozioni e sensazioni che vengono poi manifestate nella modalità più affine alla propria inclinazione espressiva, senza doversi attenere a regole o limitazioni stilistiche che non permetterebbero loro di sentirsi liberi di far sentire la propria voce in maniera spontanea. L’artista di cui vi racconterò oggi fonde due tecniche apparentemente distanti, la fotografia e la pittura, che però in virtù della sua abilità espressiva si sovrappongono a armonizzano in un universo delicato e intenso di forte impatto emotivo.
Il Novecento è stato un secolo di sperimentazioni artistiche, così come di innovazioni tecnologiche e, sebbene nei primi anni si fosse mantenuto un legame con la pittura intesa nel senso più classico del termine, andando avanti verso gli anni Cinquanta si è cominciato a effettuare contaminazioni tra l’arte intesa in senso più tradizionale e le scoperte che si avvicendavano rapidamente. La fotografia, il cinematografo, le ricerche sulla cinetica, la scoperta degli oggetti come forme d’arte, tutto era funzionale a dar vita a linguaggi artistici a volte fuori dagli schemi, altre provocatori e, nel caso di alcuni movimenti, denigratori della società dell’epoca. Il Dadaismo fu la prima corrente in cui tutto ciò che era non convenzionale poteva essere trasformato in arte, come nel caso dell’urinatoio trasformato in Fontana da Marcel Duchamp, ma anche dove tecniche come il collage, che contraddistinse la produzione artisitica di Hannah Höch, e il fotomontaggio che rese celebre John Heartfield, si trasformarono in base di ricerca per movimenti successivi che da quelle innovazioni presero spunto. Il Surrealismo, che nacque dalle ceneri del Dadaismo, si avvicinò al cinema, a immagini in movimento che divenivano completamento dell’opera o semplicemente parte del percorso di sperimentazione degli artisti che vi aderirono, come nel caso di Salvador Dalì che realizzò pellicole inquietanti insieme al regista Luis Buñuel, o di Man Ray in cui la fotografia divenne essa stessa opera d’arte attraverso cui sottolineare e concretizzare le linee guida del movimento, mentre il collage contraddistinse una delle poche donne appartenenti al Surrealismo, Eileen Adgar. Ma l’interazione tra immagine e arte non si fermò a quelle avanguardie dei primi decenni del Ventesimo secolo anzi, con il proseguire del tempo fu proprio il collage a divenire emblematico di molti esponenti della Pop Art, dall’inglese Peter Blake all’italiano Mimmo Rotella che con il suo stile Pop misto al Nouveau Réalisme in cui riassemblava stralci di manifesti pubblicitari con icone degli anni Cinquanta, tracciò un segno indelebile nella storia dell’arte internazionale. E ancora il celebre contemporaneo Michelangelo Pistoletto addirittura rompe ogni schema e inserisce immagini fotografiche di persone comuni all’interno di specchi in cui l’illusione tra il reale e l’osservato dona al fruitore un disorientamento e al tempo stesso il fascino di immaginare una dimensione altra da quella normalmente vissuta.
L’artista lombarda Anna Montanaro torna a uno stile molto più tradizionale rispetto ai sopracitati maestri del Novecento, nel senso che la figurazione e l’ordine dell’opera sono tendenti a una rappresentazione realista, pur tuttavia caratterizzando le sue tele con inserti fotografici che mescola a una pittura evanescente, quasi in dissolvenza tra sogno e ricordo, un mondo di mezzo che chiunque racchiude dentro il proprio scrigno emotivo ed è per questo che la sensazione nostalgica non può non avvolgere l’osservatore. Il percorso a ritroso dell’artista non si limita tuttavia a un bagaglio emozionale proprio, quello che appartiene all’interiorità e alla storia di vita di ciascuno, bensì si allarga alla memoria collettiva, dedicando una serie di tele ai grandi eventi, ai grandi personaggi del passato sportivo, ai simboli del Classicismo, sempre usando ciò che contraddistingue tutta la sua produzione, cioè la sovrapposizione tra immagini fotografiche e apporto pittorico attraverso cui riesce a infondere quell’atmosfera sospesa dove il colore diviene sottolineatura emozionale.
Il bianco e nero rappresentano la nostalgia per uno scorcio o un paesaggio non più appartenente al presente ma comunque ancora vivo nel ricordo dell’artista, il beige incarna un simbolo depositato nello scrigno emotivo e che ha il sapore dolce del frangente piacevole, dell’attimo magico in cui qualcosa di bello legato a quello scorcio si è legato al mondo emozionale e poi i colori vivaci per ridar vita a un passato che ha bisogno di essere descritto a tinte più forti.
Diplomata in Restauro d’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, Anna Montanaro conosce bene il fascino del passato e il forte legame con il presente che non solo è spunto per la conoscenza ma anche base per elaborare un interregno in cui tutto coesiste, evocato con le sovrapposizioni pittoriche; ecco, è esattamente quello l’attimo narrato nelle sue opere, quel coesistere in una dimensione dell’anima senza tempo, senza pragmatismo, senza necessità di determinare il come, il quando e il perché bensì lasciandosi cullare da quell’atmosfera irreale e quasi incantata.
La tela Amarcord racconta esattamente quell’istante magico osservato dall’artista cento, mille volte, eppure in quel determinato scorcio, in quel particolare angolo di città, è rimasto inciso nelle sue pieghe emotive, forse perché particolarmente predisposta all’ascolto, o forse semplicemente perché proprio a quel frangente era legato un dettaglio emozionale rimasto inciso all’interno di sé. Le tonalità scelte sono quelle più cipriate, giocate sui toni di beige per enfatizzare l’atmosfera avvolgente di quel dettaglio scolpito nella memoria della Montanaro e che non può non diffondersi anche all’esterno coinvolgendo l’osservatore e attraendolo in un mondo sospeso e senza tempo.
In Silere, che in latino significa silenzio, l’artista esalta il tema del Classicismo sottolineando metaforicamente quanto tutto ciò che è appartenuto a un passato molto lontano faccia comunque parte della base culturale dell’uomo contemporaneo che non può, di fatto, prescindere da ciò che è stato; o forse, secondo un’altra chiave di lettura il suo approccio è nostalgico nei confronti di una civiltà che tanto è stata in grado di dare dal punto di vista di valori e regole di vita i quali però sono andati perduti secolo dopo secolo fino a dissolversi in un vivere attuale dove tutto ha perso quel senso mistico che invece era fortemente presente nell’antichità, lasciando i nostri avi a osservarci in un attonito silenzio cercando di suggerirci che è il momento di cambiare rotta. La Montanaro però volge lo sguardo anche verso le icone moderne, quei personaggi emblematici della storia più recente che hanno cambiato il modo di vedere le cose, che sono stati capaci di trasformare l’arrivismo, la competizione, la corsa verso il raggiungimento di un obiettivo, in qualcosa di positivo, di rispettoso dell’altro, erroneamente definito antagonista, e che proprio in virtù di questo atteggiamento aperto e positivo hanno lasciato un segno nell’immaginario comune.
La grande sfida ripercorre in una sola immagine tutte le sfide in cui Bjorn Borg e John McEnroe, due tra i più grandi tennisti di ogni tempo, si sono sfidati nel corso degli anni Ottanta del Novecento, sovvertendo regole, entrando in competizione, puntando alla vittoria senza esclusione di colpi eppure a fine partita, chiunque dei due avesse vinto, si percepiva la stima reciproca per aver avuto un avversario degno; la gamma cromatica scelta dalla Montanaro è più espressionista, meno soffusa bensì giocata sui toni del verde, il colore del campo di Wimbledon che li ha visti protagonisti di alcune delle sfide più dure, e del rosso che rappresenta la determinazione e la passione con cui i due si scontravano. Quest’opera sottolinea quanto pur essendo in contrapposizione le persone possono comunque trovare il modo di rispettarsi, di mantenere la stima reciproca e dunque quei grandi campioni possono costituire un esempio da seguire anche nella società contemporanea in cui troppo spesso l’obiettivo da raggiungere diventa pretesto per prevaricare l’altro.
Nel corso della sua carriera Anna Montanaro ha partecipato a molte mostre collettive e personali, così come a diversi concorsi di pittura, ricevendo un considerevole numero di premi di cui i più importanti il Diploma d’Onore Premio Arte Cairo Editore, il Premio Musei e l’Alta Onorificenza Artistica da parte del Comune di Acri.
ANNA MONTANARO-CONTATTI
Email: anna.montanaro.desio@gmail.com
Sito web: https://annamontanaro.webnode.it/
Facebook: https://www.facebook.com/anna.montanaro
Instagram: https://www.instagram.com/montanaroarte/
The discovery of the possibility of allowing different artistic techniques to interact and mix them, transforming them into a personal and recognisable style has generated in contemporary creative artists a tendency to explore emotions and sensations that are then manifested in the manner most akin to their own expressive inclination, without having to abide by stylistic rules or limitations that would not allow them to feel free to make their voice heard in a spontaneous manner. The artist I am going to tell you about today blends two apparently distant techniques, photography and painting, which, however, by virtue of her expressive ability, overlap and harmonise in a delicate and intense universe of strong emotional impact.
The twentieth century was a century of artistic experimentation, as well as technological innovations, and although in the early years a link was maintained with painting in the more classical sense of the term, towards the Fifties, contamination began to take place between art understood in the more traditional sense and the discoveries that were rapidly taking place. Photography, cinematography, research into kinetics, the discovery of objects as art forms, all served to give rise to artistic languages that were sometimes unconventional, sometimes provocative and, in the case of some movements, denigratory of the society of the time. Dadaism was the first current in which everything unconventional could be transformed into art, as in the case of the urinal turned into Fountain by Marcel Duchamp, but also where techniques such as collage, which distinguished the artistic production of Hannah Höch, and photomontage, which made John Heartfield famous, were transformed into a research base for later movements that took their inspiration from these innovations. Surrealism, which was born from the ashes of Dadaism, approached cinema, moving images that became the completion of the artwork or simply part of the experimental path of the artists who adhered to it, as in the case of Salvador Dali who made disturbing films together with director Luis Buñuel, or Man Ray where photography itself became a work of art through which to emphasise and give substance to the guidelines of the movement, while collage distinguished one of the few women belonging to Surrealism, Eileen Adgar. But the interaction between image and art did not stop with the avant-garde movements of the first decades of the 20th century; on the contrary, as time went on, it was collage that became emblematic of many exponents of Pop Art, from the Englishman Peter Blake to the Italian Mimmo Rotella who, with his Pop style mixed with Nouveau Réalisme in which he reassembled excerpts of advertising posters with icons from the 1950s, left an indelible mark on the history of international art.
And the famous contemporary Michelangelo Pistoletto even breaks every scheme and inserts photographic images of ordinary people inside mirrors in which the illusion between the real and the observed gives the viewer disorientation and at the same time the fascination of imagining a dimension other than the one normally experienced. The Lombard artist Anna Montanaro returns to a much more traditional style than the above-mentioned 20th-century masters, in the sense that the figuration and order of the artwork tend towards a realistic representation, though characterising her canvases with photographic inserts that she mixes with an evanescent painting, almost dissolving between dream and memory, a middle world that everyone encloses in their emotional treasure chest, and this is why the nostalgic sensation cannot fail to envelop the observer. However, the artist’s journey backwards is not limited to his own emotional baggage, that which belongs to the interiority and life story of each of us, but extends to the collective memory, dedicating a series of canvases to great events, to the great personalities of the sporting past, to the symbols of Classicism, always using what distinguishes all her work, that is, the superimposition of photographic images and pictorial contribution through which she succeeds in instilling that suspended atmosphere where colour becomes emotional emphasis.
The black and white represent nostalgia for a view or a landscape that no longer belongs to the present but is still alive in the artist’s memory, the beige embodies a symbol deposited in the emotional treasure chest and which has the sweet taste of a pleasant juncture, of the magic moment in which something beautiful linked to that view has become linked to the emotional world, and then the bright colours bring back to life a past that needs to be described in stronger colours. With a diploma in Art Restoration from the Brera Academy of Fine Arts, Milan, Anna Montanaro is well aware of the fascination of the past and the strong link with the present, which is not only a starting point for knowledge but also the basis for developing an interregnum in which everything coexists, evoked with pictorial superimpositions; that is exactly the moment narrated in his artworks, that coexistence in a timeless dimension of the soul, without pragmatism, without the need to determine the how, the when and the why, but rather letting oneself be lulled by that unreal and almost enchanted atmosphere. The canvas Amarcord recounts exactly that magical instant observed by the artist a hundred, a thousand times, yet in that particular view, in that particular corner of the city, it remained engraved in her emotional folds, perhaps because she was particularly predisposed to listening, or perhaps simply because an emotional detail remained engraved within her at that very juncture. The tones chosen are more powdery, playing on shades of beige to emphasise the enveloping atmosphere of that detail sculpted in Montanaro’s memory and which cannot but spread outwards, involving the observer and drawing him into a suspended, timeless world. In Silere, which means silence in Latin, the artist exalts the theme of Classicism, metaphorically underlining how everything that has belonged to a distant past is nevertheless part of the cultural base of contemporary man, who cannot, in fact, ignore what has been; or perhaps, according to another interpretation, her approach is nostalgic towards a civilisation that was able to give so much in terms of values and rules of life, but which have been lost century after century until they dissolve into present-day life, where everything has lost that mystical sense that was so strongly present in antiquity, leaving our ancestors to observe us in an astonished silence, trying to suggest that it is time to change course. Montanaro, however, also turns her gaze towards modern icons, those emblematic characters of recent history who have changed the way we see things, who have been able to transform careerism, competition, the race to achieve a goal, into something positive, respectful of others, wrongly defined as antagonists, and who precisely because of this open and positive attitude have left their mark on the common imagination. The great challenge retraces in a single image all the challenges in which Bjorn Borg and John McEnroe, two of the greatest tennis players of all time, challenged each other during the 1980s, overturning rules, competing, aiming for victory with no holds barred, and yet at the end of the match, whichever of the two won, you could feel the mutual esteem for having had a worthy opponent; The colour range chosen by Montanaro is more expressionistic, less subdued, playing on shades of green, the colour of the Wimbledon court where they played some of their toughest matches, and red, representing the determination and passion with which they fought. This artwork emphasises how, despite being in opposition, people can still find a way of respecting each other, of maintaining mutual esteem, and therefore those great champions can be an example to be followed even in contemporary society in which all too often the objective to be achieved becomes a pretext for prevaricating the other. In the course of her career, Anna Montanaro has taken part in many group and personal exhibitions, as well as various painting competitions, receiving a considerable number of awards, the most important of which are the Diploma d’Onore Premio Arte Cairo Editore, the Premio Musei and the Alta Onorificenza Artistica from the Municipality of Acri.
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