“Bisogna dirsi la verità – aggiungono – oggi lo Statuto, nonostante sul sito del Partito Democratico se ne celebri ipocritamente il valore, è ridotto a poca cosa dopo l’eliminazione dei diritti fondamentali di lavoratrici e lavoratori. Non ci sono più il diritto alla reintegrazione a seguito del licenziamento illegittimo (articolo 18) né il divieto di controllo a distanza a fini disciplinari ed il divieto di dequalificazione (art. 4 e 13). E l’infinità quantità di norme prodotte da governi di centrosinistra e centrodestra hanno nel frattempo esteso la precarizzazione del lavoro a tal punto da renderla la condizione normale per milioni di persone”.
E ancora: “Il frutto di decenni di lotte è stato oggetto di un costante attacco da parte della politica al servizio del capitale a partire dagli anni ’90, ma i governi del centrodestra che provarono ripetutamente a manomettere l’articolo 18 non ci riuscirono. Alla fine ci sono voluti il governo Monti, sostenuto dal Pd di Bersani insieme alla destra dopo una lettera di Mario Draghi, e poi l’orrendo governo Renzi per stravolgere e svuotare definitivamente lo statuto. Il PD è riuscito laddove Berlusconi e Lega avevano fallito. Il governo e il parlamento restituiscano a lavoratrici e lavoratori l’articolo 18 e smantellino tutte le norme di precarizzazione e esternalizzazione del lavoro”.
Come Rifondazione Comunista “abbiamo sempre difeso lo Statuto convinti che non sia sinistra quella che non è schierata dalla parte dei lavoratori. Proponemmo anche un referendum nel 2003 per l’estensione dell’articolo 18 anche alle aziende sotto i 15 dipendenti come avrebbe voluto il PCI che si astenne proprio per questo motivo. Molti tra quelli che invitarono insieme alla destra all’astensione poi sostennero che l’articolo 18 era un privilegio di cui solo una parte dei lavoratori godevano e in quanto tale andava eliminato”.
Acerbo e Patta concludono: “Lo Statuto dei Lavoratori fu una conquista dei partiti della sinistra socialista e comunista e delle grandi lotte operaie del biennio 1968-69. Non ci sono scorciatoie alla ricostruzione di una sinistra di classe e al rilancio – nelle condizioni mutate – delle lotte della classe lavoratrice”.
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