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Storia di Michele, guardia del corpo milanese: “Proteggo il corpo degli altri. Mai il mio…”

MILANO – Grazie alla “mediazione” di un amico, direttore di un Istituto di Vigilanza (che si occupa anche della protezione delle persone), in un bar di Piazza San Babila, nel centro di Milano, incontro Michele, guardia del corpo. Presentazioni molto veloci e subito Michele, un fiume in piena, attacca: “Questo è il mio ultimo incarico che accetto, poi cambio vita. Sono quindici anni che proteggo le spalle degli altri. E’ vero, mi pagano bene, ma non mi stancherò mai di ripeterlo: il denaro non è tutto a questo mondo. Quindici anni fa ero più magro, avevo i muscoli flaccidi. Avevo il terrore delle pistole, di qualsiasi arma”.

Poi si è “inventato” un lavoro…

“Ho cominciato a prendere anabolizzanti, a fare ginnastica giorno e notte. Anche al poligono sono stato giornate intere a sparare contro le figure in quei cerchi e in quei numeri: sulla testa e in mezzo al petto. Mi sono inventato guardia del corpo. Il mio difetto è quello di affezionarmi alle persone che curo”.

Con chi ha cominciato?

“Ho iniziato con un magistrato. Parlava poco, era anziano, mi costringeva a una fatica doppia perché si muoveva lentamente, portava gli occhiali, e aveva una voce rauca. Dopo di lui ne ho passati tanti. Anche qualche cantante. Straniero. Io non conosco l’inglese. Però mi arrangiavo a gesti. E loro si sentivano protetti. Che soddisfazione tranquillizzare la mente degli altri”.

Ha avuto qualche cliente un po’ “particolare”?

“Ho avuto dei clienti che mi hanno obbligato a dormire nelle loro stanze. Loro in un letto comodo, e io su un divano, a leggere libri gialli, o giornali sportivi. Mi passavano quelli, perché per loro la guardia del corpo non deve essere una persona che pensa troppo. Deve essere soltanto pronta ad agire, determinata, provvidenziale”.

Ha avuto a che fare con gente ricca o anche arricchita?

“Ho scortato a scuola figli di industriali. Una volta ho portato un cardinale da Città del Vaticano a Parigi. E lì non l’ho lasciato un solo istante. Ho ascoltato per ore, per giorni, i racconti di tutti i miei clienti. Prima qualche frase prudente, poi una sigaretta, e poi confessano nei minimi particolari le loro esistenze. Io ascolto senza mai ribattere, per timore di irritarli, o comunque di metterli in difficoltà psicologica”.

Ascoltare, mi vien da dire, è diventato il suo mestiere

“Direi di sì e mi lasci dire quanti pochi amici sono rimasti a questo mondo. Più la gente ha un nome, esce dall’anonimato, e più gli amici scompaiono, si fanno rari. Restano gli sciacalli, quelli che spillano denaro, che approfittano dello stato di tensione di questi personaggi alla ribalta”.

Ha mai avuto momenti di panico?

“Una volta un jazzista americano mi ha costretto ad andargli a cercare la droga per le strade di Milano. Lui è rimasto in albergo. Io ho dovuto girare tutti i locali notturni per mettermi in contatto con qualche spacciatore. Poi, quasi verso l’alba, gli ho trovato l’eroina. Quando sono tornato in albergo mi baciava le mani, diceva che ero suo fratello. Forse è stata quella volta, mentre quel jazzista era in ginocchio, che ho cominciato a pensare alla follia della mia professione. Guardia del corpo. Il corpo degli altri, mai il mio. Coprivo le spalle degli altri, non le mie. Io ero scomparso dalla faccia della terra. Non vedevo la mia faccia neanche allo specchio, quando la mattina mi facevo la barba”.

Il suo lavoro cominciava a nausearla

“Non potevo andare avanti a dormire sui divani, a leggere libri gialli o giornali sportivi. Dovevo pensare anche a me… E adesso voglio assumermi…”.

Cioè?

“Intendo dire che voglio essere la mia guardia del corpo. Programmarmi, scortarmi nei quartieri più rischiosi della città. Oppure passeggiare su un prato, e poi voltarmi di scatto per vedere se c’è qualche fucile puntato alle mie spalle. E accorgermi che nessuno mi sta seguendo. Che sono libero. Che nessuno sta mirando alle mie tempie”.

Se ho ben capito vuol diventare guardia del corpo di se stesso…

“Ho messo qualche soldo da parte in questi quindici anni di pericoli. Posso pagarmi e anche bene. Posso pensare ad innamorarmi… Perché mai, giuro, ho soltanto pensato di mettere una mano addosso a una mia cliente, e ne ho viste di donne belle. Profumate. Ma io guardo il mio corpo. E so che lui cerca donne che sanno soltanto di sale, di mare, di erba, o di terra. Semplici, come mia madre. Parto, senza lasciare indirizzi. La guardia del corpo è stata assunta a vita da se stesso. Semmai una notte mi incontrerete per le vie del centro di Milano a cercare la droga, sappiate che dovete arrestare me, perché la richiesta viene dal mio padrone. Il mio nuovo padrone. Me stesso”.

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Pubblicato da
Pino Ezio Beccaria

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