La crisi dell’occupazione e l’avanzamento della tecnologia in Occidente viaggiano alla stessa velocità. Ma in direzioni diametralmente opposte. Due forze tumultuose – negativa la prima, positiva la seconda – che producono effetti sorprendenti, spesso interagiscono, non sempre si compensano.
Lo sviluppo tecnologico ha ignorato lo tsunami che ha colpito i mercati, continuando a mettere a segno progressi in tutti i settori, soprattutto quello delle telecomunicazioni e degli appalti mobili, producendo effetti positivi sulla gestione aziendale e sulla razionalizzazione dei processi. Ma non è riuscito a compensare nella vecchia Europa, la crisi delle industrie tradizionali e la perdita di posti di lavoro.
Per assurdo, l’avvento delle nuove tecnologie non ha favorito le nuove generazioni che per età e mentalità sono le più adatte all’uso di pc, smartphone, tablet. Sono questi gli strumenti che hanno fatto crescere il telelavoro e la nuova generazione di “mobile worker” senza però creare un flusso di nuova occupazione tale da attutire gli effetti delle crisi aziendali. Ma il processo è irreversibile, su tutti i fronti. Come l’arrivo della Rete ha sconvolto gli ambiti della comunicazione interpersonale, così l’impatto di Internet nelle aziende ha iniziato a minare, senza ancora riuscirci completamente, la definizione di luogo di lavoro. Un processo lento ma costante che, con l’arrivo delle nuove generazioni di smartphone e di tablet, ma soprattutto l’avvento del cloud, è destinato a subire un’accelerazione violenta.
Gli strumenti hi-tech abbattono e sconvolgono i parametri spazio-temporali: si può lavorare in ogni momento e in ogni luogo. In un tablet sono contenuti decine di metri quadri dei vecchi uffici: compressi nella magica tavoletta ci sono posta, documenti, telefono, scanner, macchina fotografica e videocamera per teleconferenze solo per citare le “app” più semplici. I “mobile worker” non sono ancora nuovi lavoratori ma dipendenti o liberi professionisti che lavorano in modo nuovo.
Non si è ancora generata una massa critica di aziende “totalmente mobili” e innovative così forti e diffuse da compensare la crisi delle industrie tradizionali: la tecnologia è stata vista e vissuta, infatti, spesso come un’occasione di taglio di costi e di personale, più che come una leva di sviluppo. In Italia, poi, si segnala l’ennesimo ritardo. I “mobile workers” nel 2011, secondo una ricerca di Yankee Group, erano soltanto il 28% della forza lavoro, contro il 43% del RegnoUnito e il 38% degli Usa. Ma il nostro Paese è ben dietro anche a Francia (33%) e Spagna (32%).
Un altro gap da colmare in fretta per consentire all’Italia di tornare competitiva sui mercati mondiali.