Tolstoj, una fuga fatale verso il Sud

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tolstoj house jasnaja pljanaSiamo partiti in autobus per visitare il mondo di leone Tolstoj a Jasnaja Poljana. Dopo poche ore di corsa ci siamo fermati a krapivna, un paese che tutti gli anni festeggia l’ortica.

Una borgata attorno alla chiesa, col campanile leggermente piegato a sinistra. La popolazione era già ammucchiata sulle panche davanti al palcoscenico del teatrino ambulante. Gli occhi, pieni di stupore, guardavano le danzatrici in costume che si muovevano con suggerimenti della memoria.

Quando siamo arrivati noi, anche un gallo conduceva il suo gruppo di galline alla festa in piazza. Credo che per un moscovita portare i pensieri a respirare quest’aria non sia soltanto un viaggio di poche ore ma l’arrivo in un altro tempo, dove l’immensità dell’innocenza ignorante che vive in questi spazi sotto cieli alti, graffiati da cornacchie, è molto salutare. D’improvviso, un temporale violento ha messo in fuga gli spettatori e nella piazza è rimasto soltanto il gallo che si specchiava in una pozzanghera, guardato dalle sue galline che sgocciolavano acqua dai becchi lucidi.

Nell’abbandonare questo paese, un tempo pieno di uffici importanti e autorità, ho intravisto la chiesa del cimitero di mattoni rossi con ciuffi d’erba e rami alti di vegetazioni disubbidienti cresciute sul tetto e attorno al buio delle finestre indifese, mi ha riempito di stupore.

Spero non sia mai restaurata ma sia lasciata a lungo coi segni del suo abbandono, non soltanto per una denuncia a chi l’ha trascurata, ma perché il suo aspetto sia per sempre un grido di poesia più chiaro e convincente di una struttura rimessa a nuovo, cancellando una sofferenza che si unisce meglio al dolore delle tante tombe del cimitero.

Eravamo riparati nell’autobus che ci conduceva verso Jasnaja Poljana, sotto un fiume verticale di pioggia che ci teneva sott’acqua, poi la pioggia è cessata e il sole è venuto subito a dare un’occhiata a questa terra ondulata segnata da boschi di betulle.

Entrare nel viale lungo che porta nel cuore di Jasnaja Poljana è come affondare in un mare verde. Ci ha accolto uno dei pronipoti di Tolstoj, il conte Vladimir che ci ha portati in carrozzella a visitare la tomba del grande antenato, in una zona appartata del parco.

Ci siamo fermati a pochi metri da una aiuola rustica al centro del quale c’è un cumulo di terra a forma di bara per indicare il punto sotto cui è sepolta la vera salma. Eravamo sotto una cupola di alberi altissimi che reggevano sulla cresta richiami di piccoli uccelli in festa.

La casa dove abitava Tolstoj e che abbiamo visitato subito dopo è rimasta com’era. Abbiamo sostato nella stanza da pranzo, nel salottino personale di sua moglie Sofia Andreijvna e lì accanto c’è il piccolo terrazzo dove Tolstoj scriveva gran parte dei suoi capolavori.

Appoggiato alla parete c’è un divano nero su cui sono nati i tredici suoi figli. Nella stanza vicino mi ha stupito il suo letto corto e il boccale bianco posato sul fondo del catino per i suoi lavaggi mattutini.

Il pronipote che ci accompagnava con i suoi commenti illuminava la mia curiosità. Quando ha detto che Tolstoj scriveva spesso anche su pezzetti di carta o sul fondo di vecchi fogli, che ritrovava in tasca quando passeggiava nel bosco, ho chiarito la mia abitudine di raccogliere appunti sulle buste delle lettere e sul bordo di giornali.

Nei giorni di festa è pieno di visitatori che si muovono lungo i viali. Con noi c’erano diversi cinesi che tenevano in mano la macchina fotografica e una bottiglia d’acqua per dissetarsi continuamente.

Il conte Vladimir ci ha portati poi a vedere la piccola stazione dalla quale alle sei della mattina un bel giorno è partito Tolstoj in fuga verso il Sud della Russia. Il vagone di terza classe era pieno di operai che fumavano e lo scrittore restò molte ore nello spazio ventoso tra due vagoni, così si prese la polmonite e morì nella casa di un capostazione a ottocento chilometri dalla sua jasnaja Poljana.