Abitualmente, quando si pensa alla scultura, ci si orienta verso il senso di solidità e di pienezza delle opere classiche, in cui i volumi erano perfettamente proporzionati e fortemente occupanti lo spazio in cui erano collocate; eppure esiste un modo differente di intendere la scultura, più contemporaneo, più essenziale e al tempo stesso esistenziale, capace di infondere nuove sensazioni nonostante l’uso dei medesimi materiali del passato. Tra questi nuovi protagonisti della scultura vi è l’artista di cui vi racconterò oggi.
Il Ventesimo secolo è stato decisivo e fondamentale per indurre l’arte ad aprire il suo sguardo e la sua attenzione verso forme espressive nuove, a volte facilmente accettate, altre invece più osteggiate dalla critica e dal mondo culturale dell’epoca. In ogni caso ciascuno dei movimenti e delle correnti che si sono delineati e che hanno affondato le loro radici nei primi anni del Novecento, hanno poi aperto le porte a successive interpretazioni ed evoluzioni affascinanti tanto quanto le basi da cui sono partite. Una delle rivoluzioni più considerevoli dei primi anni del secolo scorso fu quella segnata dall’Astrattismo che letteralmente rifiutava ogni riproduzione o riferimento alla realtà per esaltare la pura forma non riconducibile ad alcun elemento visibile del vissuto quotidiano; l’impulso più forte ai fondatori della corrente astrattista venne dall’avvento della nuova tecnologia di riproduzione delle immagini a causa della quale era necessario permettere all’arte di riappropriarsi di un’originalità che riuscisse a distinguerla da tutto ciò che la fotografia poteva immortalare. L’Astrattismo Geometrico, in particolare, si orientò verso una fusione logica e razionale tra forme pure e definite e colori che erano necessari a esaltare ma al tempo stesso ad ammorbidire il rigore delle immagini; tonalità decise e colori primari hanno caratterizzato le opere dei grandi esponenti di questo affascinante movimento, da Piet Mondrian a Josef Albers, da Mauro Reggiani a Mario Radice. In particolare la Scuola di Como fu fortemente rappresentativa di un Astrattismo Geometrico che si ispirò al Geometrismo architettonico di Giuseppe Terragni in cui era fondamentale l’alternarsi di pieni e vuoti, sempre rigorosamente schematici, e che hanno costituito la ricerca di tutti gli appartenenti al gruppo comasco, di cui uno dei maggiori rappresentanti fu Aldo Galli.
Il romano Daniele Ruffini trae notevole ispirazione proprio da quell’equilibrio, quell’avvicendamento di spazi e volumi che Galli aveva impresso nelle sue celebri opere pittoriche, per dare vita a sculture di grande impatto visivo ma anche emozionale; sì perché nell’evoluzione che nella contemporaneità i vari movimenti hanno compiuto c’è stata anche la capacità di mescolare e bilanciare le tendenze e le linee guida definite e rigide del passato per plasmarle secondo il personale sentire, la individuale esigenza espressiva di ciascun artista.
Nelle sculture di Ruffini emerge non solo la ricerca rigorosa e schematica della forma nello spazio ma anche un’esigenza di leggerezza, di discostamento di quei volumi che ne sottolineano la possibile fragilità compositiva, metafora di un’esistenza mutevole e in perpetuo cambiamento in cui l’ordine delle cose permane fin quando le condizioni, interiori o esteriori, sono costanti pur virando non appena gli eventi e le circostanze si trasformano.
Ed ecco dunque apparire un altro concetto esistenziale, la filosofia contemporanea dell’incertezza e della precarietà dell’esistenza a dispetto delle conquiste tecnologiche e delle sicurezze apparentemente raggiunte in ogni campo del vivere che però non possono costituire un punto fermo tra i dubbi e le perplessità dell’uomo di oggi.
L’equilibrio instabile è quello di cui narrano le opere di Ruffini, quel restare in bilico tra necessità di aggrapparsi a una solidità che sfugge e la tendenza ad allontanarsene non appena raggiunta, dissonanza che emerge evidente nella scultura Composizione Dodici, in cui il siporex dei blocchi più solidi in stabilità precaria, viene alternato al ferro che, pur essendo in apparenza più leggero in realtà costituisce lo scheletro che sostiene, e trattiene, quei pezzi di materiale identificabili con i passi compiuti nella vita.
E ancora in Composizione Duemila la scomposizione, da qui anche il gioco di parole del titolo dell’opera, avviene spostando i piani orizzontali, come in una sorta di sliding doors in cui tutto potrebbe essere differente solo posticipando o anticipando di una manciata di minuti le azioni che determinano la realtà.
In Composizione Cinquecento invece si manifesta l’esigenza di Daniele Ruffini di trovare un senso, di raggiungere una stabilità di qualunque tipo essa sia, questo è il significato delle linee oblique in ferro che attraversano e contengono le parti scultoree in siporex come se costituissero i passi da intraprendere, i gradini da salire per raggiungere l’obiettivo.
Nella scultura Composizione Ducento l’artista sembra voler accantonare i concetti esistenziali che fuoriescono dalla maggior parte della sua produzione, per tornare alla purezza dell’astrazione, a quella regolarità di forma geometrica che tanto fu cara ai fondatori del movimento a cui Ruffini ha scelto di appartenere. La perfetta modularità e alternanza di siporex e di ferro e la regolarità dell’opera permettono all’osservatore di riposare la mente, di lasciare per un attimo indietro l’emotività e di concentrarsi sul mistero che ogni geometria da sempre simboleggia. Daniele Ruffini, che ha avuto una formazione artistica accademica laureandosi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, allievo e poi assistente di studio del maestro Michele Valenza Cossyro, ha al suo attivo molte mostre collettive internazionali sia a Roma che a Milano e la sua prima personale ha avuto luogo presso il Centro di Ricerca Artistica di Roma dove tutt’oggi sono conservati alcuni suoi lavori.
DANIELE RUFFINI-CONTATTI
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Sito web: http://www.danieleruffini.com
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