Nella moltitudine di artisti contemporanei, molti dei quali tendono a correre verso l’innovazione, ad anticipare le tendenze e a trovare nuovi linguaggi per rappresentare emozioni e sensazioni, ne esistono alcuni che restano talmente legati alle proprie tradizioni, alle origini lontane da cui, per varie vicissitudini o motivazioni, sono stati costretti ad allontanarsi, da diventare il fulcro della loro produzione artistica. Il protagonista di oggi manifesta quel forte legame, quel voler rendere omaggio e testimonianza al suo mondo, distante eppure indelebile nel suo ricordo.
L’Arte africana è stata un’incredibile fonte di ispirazione e di studio da parte di grandi artisti europei di fine Ottocento e di inizi Novecento, per la semplicità della rappresentazione di volti e personaggi presi dalla vita comune ma anche per i simboli della loro religione animista e per l’affascinante significato che assumevano i colori. I primi a lasciarsi conquistare da questo tipo di arte e dall’energia del rosso, simbolo della fecondità, del bianco, vita eterna, e del nero, l’oscurità e le forze occulte, furono i Fauves, gruppo nel quale le tonalità forti e intense erano sostanziali per evidenziare e dare un senso alle linee guida di quella corrente che tendeva a semplificare le forme, ad annullare la prospettiva ma soprattutto dare spazio all’uso di colori vivaci, a volte anche aggressivi, perché funzionali a raccontare le emozioni pure. Per un breve periodo ai Fauves si avvicinò un giovane Pablo Picasso che restò fortemente colpito dalle maschere e dal mondo africano al punto di elaborare, partendo proprio dai volti e dalla semplicità dei tratti e delle forme rappresentate, un nuovo movimento artistico che a lui per sempre resterà legato: il Cubismo. La necessità di Picasso di distaccarsi dalle regole rigide della prospettiva classicamente intesa, il cercare un approccio che desse un’inedita tridimensionalità alle immagini osservandole da un punto di vista plurilaterale pur mettendo ogni elemento di fronte allo sguardo dell’osservatore, trovarono importanti spunti proprio nelle maschere e nelle icone africane che tanto lo stavano affascinando. La descrizione oggettiva della realtà inseguita dal Cubismo, senza nulla lasciare alle emozioni che non riuscivano a entrare in un’osservazione tanto analitica di ciò che veniva osservato e che doveva essere descritto secondo quelle linee guida, era però lontana dallo spiritualismo e dal legame con il senso più primordiale invece assolutamente presente nell’Arte Africana, quello indissolubilmente fuso alle tradizioni e alla religiosità che era, a sua volta, fortemente legata e dominante nella vita quotidiana del popolo. Laurent Tia, originario della Costa d’Avorio ma da tempo residente in Francia, ha scelto il Cubismo come stile espressivo pur sentendo l’esigenza di distaccarsi da alcune delle linee guida di questa corrente proprio in virtù dell’esigenza di imprimere nelle sue opere l’emozione più pura, quel senso di nostalgia, di ricordo e di spiritualità che sente essere indissolubilmente legato alla sua terra, al suo popolo e a tradizioni che, attraverso le tele, vuole far conoscere e sopravvivere nel tempo.
Non solo, Tia sceglie di approcciare alla terza dimensione, rifiutata dal movimento a cui ha scelto di appartenere, attraverso l’uso del bassorilievo, tecnica tipicamente classica eppure incredibilmente attualizzata dall’artista, che rende le sue opere uniche e decisamente coinvolgenti per l’osservatore.
Usa pigmenti naturali su legno per rappresentare le maschere religiose, quelle che indicano al popolo il modo di vivere, di comportarsi, l’opposizione tra il bene e il male, l’incombere della punizione qualora le regole non vengano osservate; a questa serie appartengono i bassorilievi Masque et philosophie primaire e Masques et initiation, in cui le maschere sono fondamentali per indicare a quale momento della quotidianità della gente del luogo si legano.
Ma Laurent Tia, nato e cresciuto come cittadino francese in terra d’Africa, non può non indicare a chi osserva i suoi lavori anche la via dell’integrazione, quella in virtù della quale due culture apparentemente opposte possono trovare un punto d’incontro, mantenendo la propria distinta identità ma senza bisogno di combattersi o di generare occasioni di attrito.
Emblematica di questo concetto è l’opera L’union des cultures, in cui il simbolo dell’arte di ogni tempo, la Monna Lisa di Leonardo da Vinci esposta al Museo del Louvre, viene unita a una donna africana, come se le loro figure fossero due parti di una stessa identità, di una medesima appartenenza, quella al genere umano che nell’arte si può elevare e può abbattere tutte le barriere.
Le marché Dogon invece, pur descrivendo una scena di vita quotidiana che attraversa la memoria di Tia, di cui si percepisce in ogni lavoro la sottile nostalgia, quel mal d’Africa che lo assale e che lo induce a raccontare il suo paese in ogni suo aspetto, sembra essere un omaggio alle Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso. Anche in questo caso Laurent Tia tende a sottolineare quanto il colore della pelle non sia in grado di marcare una profonda differenza nel modo di vivere e nelle abitudini che, tutto sommato, si trovano anche in quel mondo occidentale che a volta si ritiene tanto lontano.
Ed è proprio la nostalgia la protagonista assoluta di una delle opere puramente pittoriche di Tia dal titolo appunto Nostalgie culturelle, nella quale emerge quel forte legame atavico e incancellabile con tutto ciò che i suoi occhi hanno visto e vissuto e che la sua anima conserva gelosamente dentro di sé; qui l’atmosfera si avvicina al Surrealismo per quel collocarsi all’interno di un percorso della memoria in cui le bolle, che ricordano quelle di sapone, conservano frammenti di immagini che compongono lo scrigno del ricordo. Nel corso della sua trentennale carriera Laurent Tia ha esposto in Francia, Svizzera, Austria e Italia e ha vinto due importanti premi d’arte, il Premio promessa della scultura a bassorilevo riconosciuto da Le calendrier agricole di Abidjan in Costa d’Avorio, e il Premio Raymond Van Leden con la scultura Le voyage de Crist e con l’opera pittorica Trésor; è iscritto alla Maison des Artistes e membro dell’ADAGP, Societé des auteurs dans les arts graphiques et plastiques di Parigi.
LAURENT TIA-CONTATTI
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