Presentato in luglio al Festival di Cannes, dove è stato accolto con 11 minuti di applausi, Tre piani è un lungometraggio che parte dalla stratificazione di vite e microdrammi familiari elaborata da Eshkol Nevo nel suo romanzo e arriva a un’elaborazione ulteriore dell’universo morettiano, cristallizzato nella forma algida, quasi inespressiva che impone alla messa in scena. Moretti adatta il romanzo come conseguenza di un percorso che lo ha portato a un dialogo implicito con il superamento del confine privato dell’ego, un cammino che nell’abbattimento dei muri, nello scavalcamento dei confini proprietari, persino identitari, si sta aprendo allo sgomento del mondo.
Intrighi incrociati, colpi di scena e partitura corale, “Tre piani” è un film difficile e disincantato: affronta l’effetto di un destino cinico sulle vicende di un mondo adulto, complesso e sgomento, spesso impreparato alle scelte e ai comportamenti delle nuove generazioni. Soggetto non originale, “Tre Piani” segna anche un netto cambio di registro narrativo per Moretti che passa dall’ironia e dal grottesco alla serietà greve con cui tenta di sollevare il velo dai grandi temi dell’esistenza, della colpa e del castigo. I piani del film sono quelli di una palazzina borghese dove abitano tre famiglie. Tante famiglie e altrettante storie che si intrecciano e finiscono per tratteggiare il quadro di un mondo incapace di generosità, sicuro delle proprie certezze, che Moretti racconta depurando il suo stile, già sobrio, fino ai limiti dell’astrazione.
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