“Attualmente l’incidenza del colangiocarcinoma in Italia va dai 3 ai 4 casi su 100mila per anno – spiega Domenico Alvaro, preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’università Sapienza di Roma e coordinatore del ‘Cholangiocarcinoma Working Group’ che ha sviluppato nuove linee guida dell’Istituto superiore di sanità sulla malattia – Vi è però un enorme differenza tra i vari Paesi nel mondo a seconda della variabilità di incidenza dei fattori di rischio, ad esempio in Thailandia l’incidenza è di oltre 100 casi su 100mila abitanti per anno”. L’aumento progressivo di incidenza riguarda principalmente la forma intraepatica, mentre per quella perilare l’incidenza è più o meno stabile. L’incremento di incidenza registrato in Italia è nell’ordine del 4-5% per anno, il che significa che in 15 anni si registrerà quasi un raddoppio dei casi.
“Vista la sua prognosi così infausta, ci deve preoccupare questo progressivo aumento di incidenza – ammonisce Alvaro – Deve impegnare tutta la medicina a ricercare dei fattori predittivi e identificare i pazienti a rischio per poter effettuare screening e sorveglianza, che è il modo più efficace per prevenire e diagnosticare in fase precoce questo tipo di tumore”. Ad oggi infatti non vi sono metodi per la diagnosi precoce, perché la malattia di solito è asintomatica per lungo tempo. Non esistono, quindi, test di screening o esami diagnostici di routine in grado di identificarla in fase iniziale, quando è ancora possibile la rimozione chirurgica. Sintomi più specifici (ittero ad esempio) compaiono solo in fase avanzata di malattia neoplastica.
“Purtroppo la diagnosi nella stragrande maggioranza dei casi è tardiva – sottolinea lo specialista – quindi ci si arriva quando almeno nel 60% dei casi i pazienti non possono essere sottoposti all’unico trattamento efficace che è la chirurgia. Questo accade perché questo tumore dà segni solo nelle fasi tardive, nella forma intraepatica solamente quando è talmente diffusa nel fegato da cominciare a dare sintomi quali dolenzia addominale, perdita di peso, nausea, malessere o ittero”. Questo rappresenta un grosso problema per la medicina perché, o si riusciranno a identificare i soggetti a rischio da sottoporre a sorveglianza, o la medicina preventiva risulterà ancora fallimentare per il colangiocarcinoma.
Le nuove linee guida appena pubblicate dall’Iss e condivise da quasi tutte le società scientifiche afferenti all’area gastroenterologica, oncologica, radiologica e chirurgica e da associazioni di pazienti, evidenziano la necessità che questi pazienti vengano gestiti da un team multidisciplinare di cui fanno parte gastroenterologi, radiologi, oncologi e radiologi interventisti, perché sono pazienti estremamente complessi che necessitano l’interazione tra i vari specialisti. “La forza di queste linee guida è quella di delineare passo per passo il comportamento suggerito nella pratica clinica quotidiana. Il fatto che alla stesura abbiano partecipato anche associazioni di pazienti – conclude Alvaro – conferisce loro ulteriore forza e importanza”.
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