Un poeta di Stromboli

229

quadernoSTRONBOLI – Mesi fa, sono stato a Stromboli. Volevo affittare una casetta per nascondermi lì a scrivere. In una scrivania tarlata, sulla destra della porta d’ingresso, ho trovato un quaderno a righe, uno di quelli che si usavano alle scuole elementari, con la copertina nera, e un rettangolo bianco per il nome e il cognome. Ma là sopra non c’erano né nome né cognome. E il quaderno lo trascrivo per voi.

Pagina uno.

Se le notti avessero un nome, da quattro anni si chiamerebbero per me Paola, Paola, ancora e sempre Paola. La gelosia è un serpente che dorme sul collo degli amanti. Guai a svegliarlo. Alle dolcezze di una donna, l’uomo dovrebbe rispondere con la tenerezza della parte femminile che ha dentro di sé.

Per viaggiare, porta con te una grande valigia piena di mille cose utili. Per sognare, porta con te una piccola valigia, con dentro un grande amore: non importa se ricambiato. Preferisco vivere fino in fondo la mia malattia, piuttosto che essere miracolato. Una volta guarito, mi sentirei accusato da milioni di occhi di gente condannata a morte, che magari continua a pregare inutilmente per un miracolo.

Pagina due.

Che strano odore hanno le camere da letto dei vecchi. Sanno di passato inutile, di ricordi impotenti. Anche se apri le finestre per ore, non riesci a far sparire quell’odore. E’ dentro al letto, nel materasso, dentro i mobili, e se non fai in fretta a uscire è dentro di te. Nascondi nella sabbia il tuo orologio, e sali nella barca con me. Andiamo insieme verso il largo, finchè abbiamo forza. Non c’è una luna che sia uguale a un’altra luna. E’ inutile che cerchi di ritrovare il profumo del primo bacio.

Sono una rondine senza memoria. Continuo a ritornare. Ma non trovo il mio nido. E volare solo per il viaggio di ritorno, è come respirare con un solo polmone. Poi ci sono delle pagine bianche, con qualche disegno. Lune, cieli stellati, e occhi sospesi nell’aria. Cento occhi che ti guardano da quelle pagine. Uno diverso dall’altro. Chi è il padrone di queste pagine? Chi è l’uomo o la donna che ha sofferto per queste pagine? Poi quadrifogli, gabbiani, e pesci che volano sull’acqua. Fino all’ultima pagina. Là sopra c’è acora qualche frase…

Non è vero che uccidere in guerra ti fa soffrire di meno che uccidere in tempo di pace. Gli occhi sbarrati di chi è morto ti guardano dall’eternità. Non conoscono divise o abiti borghesi. Ti ripetono assassino, per l’eternità. Per amore posso imparare a dipingere, a suonare il flauto, a diventare intonato. Chiedimi tutto per amore. Ma non mi chiedere di imparare a smettere di amarti.

Con gli occhi chiusi puoi immaginare paesaggi meravigliosi, colori di arcobaleno. Poi li riapri, e capisci che la tua fantasia è opaca e meschina in confronto a quella sfrenata e perfetta del Creatore. Quando parti, metti in tasca la nostalgia e il rimorso. Soltanto così il tuo viaggio è proiettato verso il futuro. Di un amico conosci il cuore e l’anima. Non la pelle. Ma di un amore conosci anche quella.

Sul cuscino di morte del poeta, accanto alla testa c’è un fiore rosso: che nessuno ha portato. E’ un pensiero del vento, che ringrazia chi l’ha capito. Se perdi sangue, la vita se ne va goccia dopo goccia. Se perdi l’entusiasmo, l’amore se ne va delusione dopo delusione. Non correre verso il tuo funerale. Vivi più lentamente. Ti illuderai persino di essere eterno.

E in fondo all’ultima pagina, il disegno a matita di un uomo, forse avanti con l’età, che tiene in mano il filo di un palloncino sospeso in aria. Il disegno è in basso, in un angolo a destra, come se fosse una firma, un autoritratto.

Non so, se dopo aver chiuso a chiave questo quaderno nel cassetto, quell’uomo col palloncino sia volato via, o abbia continuato a camminare per chissà quanto tempo. So solo che lo ritroverò a mendicare, o a comandare un esercito di poeti.