Esistono artisti che nascono tali e assumono la consapevolezza della loro indole creativa fin da subito, pur effettuando nella loro evoluzione un cammino di scoperta dello stile più affine alla propria natura creativa, e ve ne sono altri a cui l’impulso a manifestare per immagini la propria interiorità si svela tardivamente, a seguito di strade differenti che però erano necessarie per immagazzinare emozioni e sensazioni che poi si liberano sulla tela. La protagonista di oggi è tra quegli artisti, quelli per cui l’approccio con la tela rappresenta un liberare tutto ciò che fino a poco prima era rimasto nel fondo del mondo più intimo.
Il movimento pittorico dell’Espressionismo Astratto si accorda perfettamente all’urgenza espressiva di quel mondo emotivo, interiore, che spesso nella storia dell’arte precedente al Novecento era stato messo in secondo piano rispetto alla forma esteriore, alla ricerca dell’aderenza alla realtà osservata e alla necessità di attenersi a quelle regole accademiche indispensabili per l’approccio pittorico. Già nei primi anni del Ventesimo secolo i Fauves prima e gli espressionisti poi avevano determinato un distacco dagli schemi più tradizionali sconvolgendo le regole del disegno, della prospettiva e affermando il diritto di non conformarsi all’estetica, al bello, se non in accordo con i moti interiori, quelli più profondi e incontenibili che perciò non potevano obbedire a regole formali per manifestarsi. L’affermazione della liberazione più completa dall’esteriorità, dal contatto con ciò che lo sguardo è abituato a riconoscere, avvenne in un secondo momento, quando l’Espressionismo Astratto reclamò il proprio diritto a essere riconosciuto come forma d’arte in occasione dell’esclusione del gruppo da parte del Metropolitan Museum of Art di New York che si apprestava a preparare nel 1950 una grande mostra sull’arte contemporanea; l’indignazione degli espressionisti astratti, da cui il soprannome Gli indignati, arrivò alle pagine dei principali quotidiani dell’epoca, facendo loro guadagnare il diritto di far conoscere al grande pubblico un manifesto pittorico innovativo e da quel momento entrare nei principali circuiti culturali e artistici dell’epoca. La spontaneità e immediatezza furono il mezzo attraverso cui le tele di Jackson Pollock, di Franz Kline, di Willem de Kooning, di Clyfford Still, solo per citarne alcuni, raggiunsero i fruitori in maniera istintiva, primordiale quasi, trascinandoli all’interno di un vortice emotivo da cui si sentivano attratti solo e unicamente per l’intensità espressiva e per la capacità di far vibrare le loro corde interiori. L’artista austriaca Brigitta Stritezsky si avvicina all’arte esattamente attraverso quell’impellenza di liberare emozioni trattenute nel corso della sua vita, quella in cui non aveva ancora preso consapevolezza di un’inclinazione artistica che probabilmente aveva bisogno di crescere e di maturare prima di manifestarsi; lo stile più affine a quell’impulso irrefrenabile è stato l’Espressionismo Astratto per la libertà e l’individualismo difeso e perseguito dai suoi fondatori degli anni Cinquanta del Novecento, e che continua ad affascinare per l’indipendenza da ogni tipo di regola e per l’immediatezza pittorica che lo contraddistingue. Il mondo interiore della Stritezsky è tumultuoso in alcune opere, travolgente proprio a causa di quel lungo tempo durante il quale ciò che è stato vissuto, percepito, assorbito durante il percorso precedente, si era impigliato all’interno del suo mondo interiore, manifestandosi così sotto forma di passione, di rabbia, di desiderio di spezzare quelle catene che lo avevano tenuto immobile.
Le opere appartenenti a quella prima fase del suo approccio alla tela sono infatti contraddistinte dai colori rossi, declinati in varie sfumature, e da un’irruenza espressiva che non può non raggiungere l’osservatore coinvolgendolo con immagini esplosive, veementi, che però narrano di emozioni primordiali, appartenenti alla natura dell’essere umano.
Come la passione sentimentale magistralmente rappresentata dall’opera Love Intoxication che sembra essere uno sguardo poliedrico sulle varie forme di amore, inteso nel senso più ampio del termine, e al tempo stesso un monito a non lasciarsi travolgere o, al contrario, un invito a farlo perché in fondo il sentimento è capace di elevare l’esistenza di ciascuno e di rendere ogni cosa, ogni istante, immensamente più interessante.
Anche In-Action rappresenta un’esortazione a non restare immobili, inattivi, perché è solo in virtù di una singola azione che cominciano a concatenarsi effetti e cause in grado di aprire nuove e impensabili percorsi; spesso è esattamente l’incapacità di prendere in mano la propria vita, restando ingabbiati dentro pigre certezze che impediscono all’individuo di evolvere, a determinare un’infelicità latente, un’apatia inconsapevole che, a lungo andare, non solo logora bensì atrofizza le stesse emozioni.
Dopo un primo impatto impetuoso, Brigitta Stritezsky trova una dimensione espressiva più calma, più riflessiva, meno irruenta forse perché apprende a convivere con le sensazioni che premono per liberarsi senza farsene più sopraffare e così le tonalità delle sue opere appaiono più spirituali, più sublimi, come se la sua interiorità avesse raggiunto una dimensione superiore, più elevata e distesa, e scopre anche la materia, la lentezza dell’inserire elementi concreti, tangibili, che entrano nella tela e ne divengo parte integrante con il loro spessore che supera la bidimensionalità.
I colori sono prevalentemente gli azzurri, i blu, che hanno il potere di donare all’osservatore un senso di calma, di contemplazione anche in virtù delle tematiche affrontate da questa nuova serie, quelle dell’ambiente, come nella tela Im Eis (Nel ghiaccio) del mistero mai svelato dell’universo, Aus das Universum, in das Universum (dall’Universo, nell’Universo) dunque riflessioni più globalmente esistenziali, meno intime, meno ripiegate sulla propria interiorità bensì più aperte verso l’esterno, verso una connessione con il mondo che abitiamo e che accompagna tutta la nostra vita. Il tratto pittorico è meno irruento, più pacato, pur sempre manifestando e raccontando la necessità di tuffarsi dentro le proprie sensazioni, prenderne atto e accoglierle come parte di sé, con tutta la loro urgenza, impellenza, prorompenza che però non destabilizza più come nella fase precedente bensì genera quella connessione fondamentale tra anima e mente, tra istinto e ragione, tra il sentire e l’osservare.
Ecco dunque che in Hoffnung (Speranza), l’approccio della Stritezsky è di quieta apertura nel saper cogliere quella luce, rappresentata dallo scorcio giallo su uno sfondo in scala di grigi, in grado di modificare completamente il punto di vista, di costituire quel gancio di uscita da una situazione che sembra chiusa ma che è proprio in virtù della fiducia che tutto possa cambiare che induce le energie sottili a trasformarsi e far sì che quel cambiamento avvenga. Nel corso della sua carriera artistica cominciata nel 2016, Brigitta Stritezsky ha partecipato a numerose collettive in Austria ma anche all’estero, tra cui recentemente anche in Italia, incontrando l’apprezzamento del pubblico e degli addetti ai lavori.
BRIGITTA STRITEZSKY-CONTATTI
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