ROMA – Chissà quante storie da raccontare avrà lei.
“Storie che la gente già conosce. Chi non è stato su un treno almeno una volta? Qui passa tutta l’umanità. E in più, una volta sul treno, la gente è più sincera. Racconta vita, morte e miracoli. Si apre. Il mio treno va da Roma a Milano, ma è come se attraversassi il mondo intero. Si comincia alla stazione Termini, prima ancora di partire, a vedere gente strana. Salgono sulla vettura vagabondi, extracomunitari, gente che chiede la carità. Ammetto che faccio fatica a rimandarli giù. Mi fanno pena, e un po’ mi incuriosiscono. Vorrei conoscerli uno per uno, capire se dicono la verità o recitano la parte dei disgraziati. Quelli che partono sono infastiditi dalla loro presenza. Qualcuno allunga 5 euro, ma sempre protestando. Poi si parte, i fortunati della prima classe vanno a fare colazione al bar, quelli della seconda bevono al carrello”.
Come fa a sopportare questa routine?
“É anni che io preferisco questa a quella di un ufficio, sempre con le stesse facce. Qui cambiano gli occhi, i sorrisi, le voci. Si ripetono soltanto i tic dei viaggiatori. Ci sono sempre due che hanno i biglietti con la stessa numerazione, c’è sempre qualcuno che ha troppo freddo o troppo caldo, e c’è sempre quello con l’orologio al polso che ti segnala i minuti di ritardo. Ma fanno parte del copione. Quando li incontro, io guardo fuori dal finestrino. La natura, invece, cambia istante dopo istante. E ogni viaggio ha un verde diverso dall’altro. I prati e gli alberi cambiano col treno da Roma alle 8 e 30 quasi a vista. Poi c’è un piccolo segreto che mi fa amare tutti i viaggi tra Roma e Milano”.
Posso conoscerlo?
“É il segreto delle 9 e 40. Lo incontro ogni volta che riesco a partire alle 8 e 30. Un segreto che magari sfugge a migliaia di viaggiatori. Alle 9 e 40 in punto, sulla destra del treno, c’è una collina, una piccola collina con in cima una casa, una specie di fattoria. É anni che io sogno di potermi comprare quella casa. É di mattoni chiari, e dal camino esce sempre un filo di fumo, anche d’estate. Intorno c’è una staccionata, e un sentiero in mezzo al prato, che scende giù, quasi fino ai binari. Io non so chi ci abiti in quella fattori. So che chi sta là dentro è molto fortunato. Mi sono fissato su quella casa. Pensi che dal treno ne vedo migliaia. Ma quella casa, ha un fascino particolare. Io sono sicuro che là dentro ci sia la felicità. C’è una famiglia che conosce l’amore. Magari dei contadini, che vivono soltanto con la loro terra. Sicuramente c’è gente che si ama, e si rispetta. Lo capisco dall’ordine di quelle due o tre aiuole che stanno davanti all’entrata. C’è anche una capra, e qualche pecora. Ma a tenerle a bada non è un pastore. É un cane nero che quando passa il treno ulula, col muso verso l’alto”.
Ma le è mai venuta voglia di conoscere la gente che ci abita? Perché non va a rintracciarla in auto?
“Ho paura d’amarli subito. Non potrei più sognare di rubare a loro quella fattoria. Voglio illudermi che da un giorno all’altro io posso comprare quelle mura, quel prato, e anche la capra, le tre pecore, e il cane nero”.
Ma li ha i soldi per comprare?
“Sto risparmiando dalla prima volta che ho visto quella casa. Ho messo via un gruzzolo che può bastare. Proverò a comprarla appena avrò la pensione. Certo, io lo comprerò il mio segreto delle 9 e 40”.
Perché mi ha raccontato di quella casa?
“Lei non s’è accorto, ma prima quando siamo passati davanti al mio segreto, lei ha guardato verso la collina. Non so se ha notato proprio quella casa, se ha visto il fumo che usciva dal tetto. Mi è sembrato di capire che lei mi somiglia. Non voglio che s’illuda. Quella casa è mia”.
Stia tranquillo, non ho visto la sua casa. Ne ho viste altre, forse più grandi e più belle. Ma io amo il mare. Il mio segreto sta in riva al mare.
“Mi faccia vedere il suo biglietto. Così penso ad altro. Ogni giorno che passa diventa sempre più difficile non provare a comprare quella casa”.
E se non gliela vendessero?
Il controllore abbassa la testa, buca il mio biglietto, e non risponde. Poi guarda fuori dal finestrino. Le colline volano via, insieme ai pali della luce. Il treno entra in una galleria. Il controllore, fissando il buio oltre il finestrino, si sfoga.
“Una mattina tirerò la leva del freno d’emergenza. Alle 9 e 40 in punto il treno farà una frenata. Io uscirò dallo sportello, e correrò verso la casa. Lungo la salita, butterò via il cappello, la giacca, e resterò in camicia come un uomo qualunque. Salirò fino alla mia casa. E anche se non me la venderanno, mi fermerò la, a lavorare la terra, a pascolare quella capra e quelle tre pecore. Mi farò amico il cane nero. Un piatto di minestra non me la possono rifiutare. Amo troppo quella casa delle 9 e 40. Dentro, è già mia. E quella mattina varcherò la piccola porta di legno scuro. E vedrò finalmente le mie sedie, il mio tavolo, la mia poltrona. Capirò da dove arriva quel fumo che esce dal tetto. Mi siederò, e comincerò a raccontare la mia vita agli amici che stanno là dentro”.
Il treno esce dalla galleria. Tornano il sole e il verde. Non potrei giurarlo, ma gli occhi del controllore, mi sembrano umidi di pianto.