La capacità e la necessità di esprimere un mondo interiore inarginabile dalla mente e dall’equilibrio, è una caratteristica di un ampio gruppo di artisti che hanno fatto dell’indefinito il mezzo imprescindibile per arrivare nelle profondità dell’istinto e comunicare in modo diretto con l’osservatore che dalle loro opere viene letteralmente avvolto e catturato. Il protagonista di oggi lega indissolubilmente il suo approccio pittorico all’energia dei colori.
Già verso la fine dell’Ottocento vi fu un gruppo di artisti che cominciò a effettuare una ricerca sulla forza delle tonalità più irreali, meno attinenti alla realtà conosciuta, per affermarne la priorità e la capacità di andare a liberare quelle emozioni che fino a quel momento erano sempre dovute rimanere all’interno dei canoni accademici, accennate e lasciate fuoriuscire delicatamente sempre all’interno della ricerca di una perfezione estetica. Quel gruppo di artisti che vollero uscire dagli schemi e sottolineare la necessità di dare priorità alle sensazioni che spesso volevano essere gridate, furono i Fauves i quali non volevano mettere limiti all’impulso espressivo per assecondare lo stile ordinato ed estetico che predominava l’epoca in cui il movimento nacque bensì scelsero di sconvolgere le regole. In seguito fu l’Espressionismo a fare proprie le linee guida dei Fauves, trasformando le opere d’arte in mezzo comunicativo delle proprie incertezze, dei dubbi esistenziali ma anche della ricerca di una dimensione più ideale e positiva, come nel caso di Marc Chagall e di Paul Gauguin. Il passaggio alla scomposizione dell’immagine, della rinuncia alla figurazione per rendere le emozioni più libere di fluire inarginate da tutto ciò che era ordine, razionalità ed equilibrio, condusse verso l’Espressionismo Astratto, quel movimento rivoluzionario che unì sotto il suo nome artisti diversi per intenzione creativa e per approccio pittorico eppure tutti legati alla forte e irrinunciabile esigenza di raccontare attraverso la tela la propria unica sensazione, un’interiorità che non voleva rientrare all’interno di confini definiti.
Vittorio D’Ascia, artista nato e cresciuto nella solare Napoli, appartiene indubbiamente all’Espressionismo Astratto che però personalizza in maniera sorprendente scegliendone l’aspetto più istintivo, più travolgente e coinvolgente in virtù della scelta di tonalità vive, energetiche, vibranti suscitando nell’osservatore una partecipazione emotiva all’opera, come se quelle emozioni raccontate dall’artista entrassero in dialogo con la parte più pura dell’interiorità, quella più facile da catturare proprio in virtù della capacità di andare a far vibrare le corde intime di ognuno.
Emerge positività, sguardo sorridente alla vita da parte dell’artista, la tendenza ad assaporare intensamente le emozioni perché essenziali all’essere umano tanto quanto lo è la capacità di osservare e trovare il bello e il lato favorevole di ogni esperienza, di ogni evento, perché è esattamente in quella sottile linea che si nasconde la capacità di affrontare le circostanze o lasciarsene travolgere. La luce è il comun denominatore delle tele di Vittorio D’Ascia, attraverso la quale l’artista sembra voler sottolineare e suggerire quell’appiglio, quella speranza che deve sostenere anche nei momenti più bui, più duri, più difficili perché ciò che importa è comprendere come superarli, come rafforzarsi e come uscirne per ritrovare velocemente il nuovo sé che da quelle difficoltà nasce.
L’opera Desert racconta proprio di quel percorso che induce a contrastare l’aridità del deserto, a volte parte fondamentale del proprio cammino, osservando la luminosità che lo avvolge piuttosto che soffermarsi sull’aspetto più disagevole e impervio che inevitabilmente la sua presenza induce ad affrontare; in Stone D’Ascia riprende sottovoce una figurazione nascosta da una sovrapposizione di geometrie in grattage attraverso la quale sembra raccontare di ciò che c’era prima e che potrebbe di nuovo esservi se solo si fosse in grado di fare un passo indietro, di ritrovare valori del passato che spesso vengono dimenticati in virtù di un progresso, di un’innovazione che tende a stratificarsi occultando il bello preesistente che tuttavia è ancora lì, a portata di mano, pronto a essere rivelato e nuovamente svelato.
Il medesimo tema del presente che tende a coprire e celare il passato emerge dall’opera Eternity, un omaggio a Roma, città di una bellezza struggente e piena di storia che non può e non deve essere nascosta e adombrata da una modernità che può dimenticare di ascoltare le note silenziose di ciò che è stato; così come il flusso e il via vai di persone che ne riempiono le strade e le piazze non dovrebbero occultarne l’atmosfera magica, le parole dense di storia, che dai suoi palazzi e monumenti fuoriescono. Ma l’energia pittorica travolgente di Vittorio D’Ascia si libera quando l’approccio è completamente astratto, come nelle tele Before e Myth’s fall, differenti per tonalità cromatiche eppure entrambe con una capacità comunicativa diretta, in grado di far toccare i tasti interiori.
Before più rasserenante, come se quel prima di cui parla il titolo costituisse la base e l’equilibrio di un adesso che in fondo è il fulcro dell’esistenza, quel momento presente che è un tutto di cui spesso ci si dimentica perché troppo impegnati a ricordare il prima o a correre verso il dopo; Myth’s fall invece è decisamente più energetico nella scelta dei colori, esplosivo quasi, come se la caduta fosse una fonte di rinascita, di rigenerazione positiva dopo la discesa, perché in fondo è solo dopo aver attraversato il buio che si riescono a vedere più lucidamente i colori, è solo dopo essere scesi che si trova la forza per risalire. Usa materiali naturali inusuali per le sue opere Vittorio D’Ascia, come la sabbia e il bitume che danno alle opere una consistenza ruvida grazie alla quale l’immagine tende a uscire dalla tela proprio in virtù della matericità diversa dal semplice colore e su cui il colore stesso si aggrappa, modificando il suo aspetto. Vittorio D’Ascia, socio straordinario della storica Associazione Cento Pittori di via Margutta, ha partecipato a molte collettive in città italiane ed estere, Londra, Bruges, Utrecht, tra le più importanti.
VITTORIO D’ASCIA-CONTATTI
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