La nostra brava ala sinistra ci lasciò proprio all’ultima giornata del torneo giovanile di calcio. Partì per gli Stati Uniti alla metà d’agosto grazie ad una borsa di studio del suo liceo. Così noi naturalmente perdemmo lo spareggio con i “Rangers” e di conseguenza finimmo al secondo posto. Però più ci dispiacque d’avere perduto un amico.
Ma solo un uccello se resta privo di un’ala smette di volare. Infatti nella stagione successiva avemmo modo di rifarci, Ripresentammo l’iscrizione alla stessa competizione, inserendo tra i nomi dei soliti titolari anche quello dll’amico lontano. Un pò per affetto e un pò per scaramanzia.
In fondo un anno passa in fretta, Finiva un’altra estate e la nostra posizione in classifica non era cambiata. Eravamo ancora i più forti.
Anche senza di lui in campo ormai ci intendevamo a ochi chiusi. La nostra squadra battezzata quell’anno “Locomotiv” in omaggio a l’omonima formazione socìvetica di volenterosi dìlettanti, era sempre in testa alla classifica del torneo estivo, quello riservato alle squadre giovanili dei paesi chesi affaccìavani su entrabe le rive del Grande Fiume. Mancavano ancora due gare quando ci fu detto che la nostra ala sinistra era ritornata dall’America da ameno dieci giorni. A quel punto avevamo già un vantaggio incolmabile sui “Rangers”, i nostri rivali di sempre,
Andammo tutti a casa sua per salutare l’amico. Trovammo il nostro “americano” sui libri, più robusto, più alto, perfino più biondo. Una magnifca ala sinistra, Sarebbe stato imbattibile nel gioco di testa. Di certo un attaccante prezioso da esibire almeno negli ultimi cent’ottanta minuti del torneo.
Gli portammo la nuova maglia, la sua maglia con il numero undici. Volevamo che la indossasse subito. Risultò fuori misura, corta e piuttosto stretta, Penò a levarsela – attento a non spettinarsi – così come aveva faticato a provarla e ce la restituì. Sembrava che da un anno all’altro fosse cresciuto soltanto lui.
No, non poteva tornare a giocare, doveva prepararsi per degli esami, ma sarebbe venuto a vederci, promise.
Parlava stentatamente, inframezzando nel suo discorso tante parole straniere. Schioccava spesso le dita come per aiutarsi a trovare la buona traduzione. Mi chiamò “Gion”, invece di Giovanni.
Mi meraviglia: come si può dimenticare la propria lingua in così poco tempo? Non è che facesse tutta quella scena solo per noi?
Ci intrattenne a lungo nella sua strana parlata. Descrisse una traversata tempestosa sul lago Ontario (“An-te-riu) e di quando il capo del traghetto che collegava Kingston con Toronto gli aveva concesso di impugnare il timone. Parlò delle metropoli attraversate dalle ragazze che aveva conosciuto. E cercando la nostra complicità ci strizzò l’occhio. insisteva tanto su quei particolari che pareva fosse tornato solo per raccontarceli. Erano molto disponibili, molto emancipate quelle ragazze lì al college, Si era trovato molto bene con qualcuna di loro, ammmiccò ancora con un tono allusivo. Anche con delle americane!
“So many girls… ra-gaz-ze! You understand?
Noi gli ripetevamo di avere ormai vinto il torneo del Grande Fiume, ma sembrava non ci ascoltasse.
Raccontava che il soccer non gli piaceva più ma il football, più spettacolare, più aggressivo, più maschio del nostro calcio. Si vantò di aver provato un pò tutti quegli sport durante il suo soggiorno in America. Poi lo avevano chiamato nella squadra di football del college dove aveva studiato quell’anno. Avremmo dovuto vederlo in campo: le imbottiture protettive sulle spalle, il casco, il paradenti, le coreografie delle “cheerleader” ai bordi del campo di gioco con i loro pon pon e i gonnelini corti fino all’inguine!
Ci volle mostrare un album di fotografie: lui con la divisa della squadra, lui insieme a degli altri studenti nel parco della scuola, lui in piscina abbracciato a una ragazza dai capelli ramati.
“La mia amica di laggiù – ce la mostrò orgoglioso – …my girlfriend… you understand?”.
Poi ad un tratto, mentre parlava, si mise a fissare l’orologio e la porta della sua camera. Stranamente preoccupato, aveva l’aria di aspettare qualcuno.
Infatti si affacciò sua madre. Lo chiamò fuori. Parlarono sottovoce. “Saluta i tuoi amici”, si udì forte dal corridoio. Un pò troppo forte. Lui ricomparve e ci salutò.
Sua madre, mentre ci riaccompagnava all’uscita ci confermò che stava preparandosi per degli esami molto importanti. Fu gentile, anche se ci raccomandò di non invitarlo più a giocare, di non cercarlo più. Almeno per un pò, concesse poi con fare più cortese ma fermo. ne andava del suo avvenire, You understand?
Noi ragazzi color terra promettemmo.
Però venne davvero a vederci giocare nell’ultima partita del torneo. Era assieme ad altri due “americani” vestiti come lui, in un completo blu notte. Sul taschino della giacca si leggeva in rosso “Rochester”, con la “erre” in maiuscolo circondata da un ricamo di fii d’orom come una coroncina d’alloro. Portavano tutti la stessa cravatta “Regimental” a strisce blu e rosse che esibiva lo stemma del college. E aggrappata al suo braccio c’era Loredana adesso tutta truccata – Lory, immagino – la nostra Loredana che indossava uno splendido abitino che le arrivava appena sopra il ginocchio. E che lo guardava compiaciuta.
Lory sembrava più alta anche lei, ma solo perchè portava dei sandali con tacchi. Però nessuno di noi si era mai accorto che avesse delle gambe così belle.
Pur con il minimo sforzo, ci capitò di vincere anche quell’ultima partita. Poi la squadra si dovette sciogliere per sempre: troppo inesperti per continuare a giocare sul serio in altre categorie e ormai tutti fuori età per quel torneo giovanile.
E non ci saremmo nemmeno rivisti nell’unica fotografia che Loredana ci aveva scattato e si trattenuta per sè. Immagino solo che apparissimo abbronzati e felici, stretti attorno alla coppa della vittoria che lui, “l’americano”, ci aveva chiesto di poter innalzare al cielo.
Fu proprio così che andò a finire. Ci rimase solo quella coppa che per un pò conservammo a turno, finchè qualcuno si scordò di restituirla. Ma ormai non aveva più nessuna importanza. Così finì anche l’amicizia. E poi non ci fu più altro. You understand?
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